Le Società Benefit (SB) in Italia crescono, sono quasi 4.000 e sono diffuse in tutti i settori. Non più solo nei servizi, ma anche nel manifatturiero e nell’industria. Assistiamo a un vero e proprio cambio di paradigma sul piano culturale, che porta moltissime imprese a scegliere di affiancare allo scopo di lucro nella propria mission anche uno scopo di impatto sociale e ambientale. I vantaggi di questa scelta, inoltre, sono numerosi e si riflettono anche sul business, ma sul piano normativo è ora necessario un aggiornamento, sia per quanto riguarda il contesto italiano sia a livello europeo. Nicoletta Alessi, Co-Founder e Presidente di Goodpoint Srl e Membro del Consiglio Direttivo di Assobenefit, scatta una fotografia sul presente delle Società Benefit in Italia, partendo dai motivi che portano un’azienda ad intraprendere questo percorso fino ad arrivare ai vantaggi che conseguono da questa scelta. A maggio 2023, Goodpoint Srl ha presentato l’ultima ricerca sul mondo delle Società Benefit in Italia, analizzato da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo.
Dott.ssa Alessi, quali sono i processi che si innescano quando un’azienda decide di diventare Società Benefit?
Per quanto riguarda la mia esperienza, la primissima fase di collaborazione tra noi e un’azienda che si avvicina a questo mondo è quella che io chiamo di “orientamento”, che ha l’obiettivo di capire che cosa significhi diventare Società Benefit. Dedichiamo moltissimo tempo a parlare con le aziende, con i vertici e con la proprietà, per aiutarli a capire come la Società Benefit si colloca nello scenario della sostenibilità. Innanzitutto, spieghiamo loro che essere SB non è un modo di fare sostenibilità, ma è invece un modo di essere impresa. La scelta di scopo dell’impresa ha ovviamente un livello concettuale molto più alto, molto più identitario rispetto alle scelte di sostenibilità, per questo spingiamo gli imprenditori a interrogarsi sul perché stanno facendo impresa, su che cosa li motiva e che cosa vogliono ottenere. Un’azienda non nasce mai solo per un motivo economico, ma esiste sempre una spinta diversa, che può essere una passione dell’imprenditore o un’idea che ha pensato di portare nel mondo. Da questa spinta nasce anche la voglia di generare valore per qualcuno, e questo diventa lo scopo dell’azienda. Noi partiamo esattamente da questo: aiutiamo gli imprenditori a interrogarsi – o a reinterrogarsi se sono già tanti anni che fa impresa – su quello che è lo scopo della loro attività.
E questo è un punto cruciale della differenza tra Società Benefit e B-Corp. Essere SB significa avere come mission anche un beneficio comune, essere B-Corp significa invece rispettare determinati standard di sostenibilità.
Esattamente. Per le Società Benefit cambia proprio lo statuto, cambia la mission aziendale. Per questo lo scopo di una Società Benefit sarà diverso da quello di un’altra SB, perché dipende da scelte imprenditoriali e da contesti specifici. Non è solo una misurazione della sostenibilità. Quello delle Società Benefit è un universo multiforme, un contenitore inclusivo dentro cui possono coesistere approcci anche molto diversi. Ciò che conta è cercare di creare valore qualsiasi cosa l’azienda faccia, non c’è un settore al quale è precluso questo cambiamento.
Proprio parlando dei diversi contesti, qual è attualmente la fotografia delle SB in Italia e perché ci sono dei settori in cui questa modalità è più diffusa che in altri? Penso ad esempio ai servizi.
Ad oggi sono quasi 4.000 le Società Benefit in Italia e sono cresciute con un ritmo molto importante, soprattutto dal 2020 in poi. È vero che ci sono dei settori più rappresentati, in particolare quello dei servizi, ma la crescita degli ultimi anni è legata più ad altri settori, anche molto diversi fra loro, come ad esempio le imprese manifatturiere. Io credo che le società di servizi abbiano fatto per prime questa scelta per un paio di ragioni: da un lato per l’opportunità di differenziarsi dagli altri competitors, dall’altro perché per una società di servizi è meno complicato ridurre gli impatti negativi causati dalla propria attività rispetto alle grandi imprese di produzione. Queste ultime hanno dovuto fare percorsi un po’ più lunghi per avere i requisiti minimi per diventare SB e arrivare a generare un beneficio comune. Ciò che diventa interessante nelle aziende che vogliono essere SB è l’identificazione delle modalità attraverso le quali misurare il beneficio comune specifico che intendono creare, quello scopo di impatto di cui si parlava prima. Pensiamo ad esempio al mondo della salute, che intrinsecamente per proprie caratteristiche produce già un beneficio comune: il tema in questo caso è quantificarlo, misurarne la portata e valorizzarlo attraverso il monitoraggio.
Nonostante le sue caratteristiche specifiche, però, nel Life science e nel settore salute le Società Benefit non sono molte.
Anche qui stanno aumentando, si stanno avvicinando agli altri settori. Io credo che molte delle società che considerano di avere questo impatto immanente, che operano in settori che per definizione hanno un impatto sociale, forse finora hanno visto poco l’opportunità di diventare SB perché già avevano nel loro scopo un beneficio comune. Ci è capitato di lavorare con qualche azienda di questo settore: lo step in più, in questi casi, è proprio quello di osservare, monitorare i processi e valorizzarli. Quindi, definendo lo scopo e gli indicatori attraverso i quali osservarlo, non è più soltanto una dichiarazione di intenti, ma è possibile dimostrare in quale modo l’azienda sta generando salute, benessere comune, etc. Poi il perimetro Life science è molto ampio. A noi, ad esempio, è capitato di lavorare con una società, un campus, che ospita al suo interno imprese innovative nel settore Life science. Una di quelle imprese che noi chiamiamo “booster”, perché genera un impatto indirettamente, mettendo altre imprese nelle condizioni di produrre un beneficio comune. Allo stesso tempo, però, esistono aziende che si occupano di salute in modo diretto e che quindi hanno degli indicatori molto solidi per raccontare e mettere a fuoco il proprio impatto sociale.
Dal punto di vista normativo, l’Italia ha fatto il primo passo nel 2016, inserendo nel suo ordinamento il termine e la definizione di Società Benefit. Ora ci si aspetta un aggiornamento in questi termini, pensando anche a meccanismi incentivanti?
Penso che ci sia un grande rischio nel pensare alla premialità delle aziende che diventano SB, perché poi quella può diventare l’unica ragione di questa trasformazione, ed è ciò che il legislatore voleva evitare. Io sono d’accordo sul fatto che certi meccanismi di premialità non esistano per legge: sta agli stakeholder, ai clienti, agli investitori e ai talenti decidere con quali criteri premiare un’azienda rispetto a un’altra. Sul piano normativo però vedo almeno due punti di svolta che spero potremo raggiungere presto. Il primo è a livello internazionale: credo sia importante trovare un’uniformità a livello normativo e giuridico, anche perché sono tante le Multinazionali che stanno facendo questo percorso, e che si trovano a far fronte a diverse normative nei differenti Paesi in cui operano. Il secondo riguarda invece l’Italia, dove credo sia necessario un aggiornamento della normativa. Nel 2016 è stata fatta una norma – secondo me correttamente – molto ampia, per aprire una strada a chi volesse superare il puro scopo di lucro, inserendo anche uno scopo di impatto. Chiaramente dentro questa definizione ci sta di tutto. Ora che il panorama è cambiato, e lo scenario è molto cresciuto, penso sia necessario trovare indicatori più stringenti per identificare che cosa sia Società Benefit e che cosa no, anche e soprattutto alla luce della rivoluzione normativa degli ultimi anni in ambito di sostenibilità a livello europeo.
In termini, invece, di azioni per ampliare questo mondo, per diffondere sempre di più il concetto di Società Benefit, come si sta muovendo Assobenefit?
Abbiamo diversi progetti in campo. A fine maggio ci sarà la Giornata Nazionale delle Società Benefit, che è il momento in cui diamo conto dello scenario dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo. In questo senso, abbiamo in campo due ricerche, una con il Politecnico di Milano, l’altra con una rete di partner, tra cui anche il Centro Studi di Intesa Sanpaolo, che hanno l’obiettivo di indagare da un lato l’identità delle SB, dall’altro gli impatti economici della scelta di adottare questo modello. Lo scopo principale è quello di raccontare meglio chi sono le Società Benefit e quali sono le prospettive e i vantaggi di intraprendere questo percorso.
E quali sono, in breve, questi vantaggi?
Io dico sempre che il principale vantaggio risiede nella governance, nel senso più allargato del termine. La definizione dell’identità e dello scopo permette di chiarirsi le idee rispetto alle scelte che si fanno e di dare un indirizzo all’azienda. Si tratta di sviluppare una cultura, un’identità all’interno dell’impresa. Inoltre, definire uno scopo preciso e poterlo misurare significa portare tutti nella stessa direzione, e questo aiuta i risultati del business, come insegnano tutte le scuole di management. Infine, c’è ovviamente un vantaggio verso l’esterno, sul mercato. Serve ad attrarre persone – talenti, clienti e investitori – che la pensano nello stesso modo e che quindi sosterranno la causa dell’azienda nel lungo periodo. C’è un tema di nuova sensibilità delle persone. Gli studi dimostrano che le persone più giovani, che saranno i prossimi consumatori, lavoratori, e investitori, sceglieranno in base a criteri diversi rispetto a quelli che hanno guidato le generazioni precedenti. Di questo bisogna tenerne conto già da ora.