Aziende femminili: piccole e fragili, ma più innovative

Aziende femminili: piccole e fragili, ma più innovative

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Margherita Baroni

Perché ne stiamo parlando
Le imprese guidate da donne rappresentano solo il 22% delle aziende italiane, ma dimostrano di possedere un grande potenziale innovativo, soprattutto nell’adozione di tecnologie digitali e nell’attenzione alla sostenibilità ambientale, come emerso dall’ultimo rapporto di UnionCamere.

Le imprese femminili siano molto più accelerate di quelle maschili su digitale e green, ma non riescono a investire correttamente. È quanto certifica il V Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Centro studi Tagliacarne e Si.Camera, dove si descrive il profilo di un universo imprenditoriale molto dinamico, ma spesso fragile sul piano dimensionale e finanziario. Le imprese rosa incontrano infatti maggiori difficoltà nell’effettuare investimenti in innovazione tecnologica e scontano tassi di sopravvivenza inferiori rispetto alle imprese maschili. Ciò nonostante, i dati mostrano come le imprese femminili abbiano reagito meglio di altre alla crisi pandemica, intensificando gli sforzi verso la transizione digitale e ambientale.

Il rapporto è finalmente riuscito a mettere nero su bianco un aspetto poco noto dell’imprenditoria italiana, in particolare quella femminile, che dovrebbe invece essere valorizzato dal Sistema Paese per evitare di disperdere un indispensabile e apprezzabile patrimonio culturale ed economico. Le imprese “in rosa” sono infatti quelle più attente all’innovazione, pur scontando una maggiore fragilità, un ridotto incremento dimensionale e soprattutto una minore capacità di sopravvivenza.

Ritratto delle aziende “rosa”

Nella fotografia scattata a fine giugno 2023 dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, le imprese italiane a guida femminile sono un milione e 345mila e rappresentano solo il 22% del totale. Ciononostante, sono caratterizzate da grande vivacità e da un approccio tecnologico molto aperto e confidente. Tanto che il periodo seguito alla pandemia ha visto il consolidarsi in esse di investimenti in ambito digitale facendo segnare un +14% a fronte dell’11% delle aziende maschili e un +12% di investimenti nel green contro il 9% delle imprese a guida maschile.

Le donne d’impresa italiane si sono quindi lanciate nella duplice transizione suggerite dalle politiche europee e sostenute dal PNRR. Ma non senza incontrare gravi difficoltà. La metà delle imprese femminili ha infatti interrotto gli investimenti o addirittura pensa di non avviarli nel prossimo futuro. Vediamo perché, ma non prima di aver compreso di quali tipologie di impresa stiamo trattando.

Di piccole dimensioni e sviluppate al Sud

Stiamo parlando di un universo imprenditoriale con caratteristiche piuttosto distintive rispetto alle aziende gestite da uomini. L’imprenditoria femminile è infatti molto concentrata nel settore dei servizi (66,9% contro il 55,7%), e ha dimensioni assai minori: il 96,8% è rappresentato da microimprese fino a 9 addetti, contro il 94,7% delle maschili. Anche a livello territoriale ci sono notevoli differenze, essendoci una forte diffusione nel Mezzogiorno: ben il 36,8% delle imprese guidate da donne opera in queste Regioni, contro il 33,7% di quelle maschili.

La maggiore concentrazione di imprese femminili al Sud potrebbe risentire, secondo il rapporto, del fattore dell’autoimpiego e dal fatto che esiste un tessuto imprenditoriale già esistente sul quale si può intervenire per aumentarne la capacità competitiva, a prescindere dalle ragioni che l’hanno generato. Comunque, negli ultimi anni anche il fare impresa femminile si sta trasformando perché, con la progressiva eliminazione del gap di istruzione tra i due generi, l’avventura imprenditoriale viene vista dalle donne come un’opportunità di piena affermazione professionale, e non solo come semplice modalità di autoimpiego.

Minor capacità di sopravvivenza e forte vocazione individuale

I dati emersi dal rapporto mostrano inoltre che le imprese a guida femminile hanno una minore capacità di sopravvivenza: già a tre anni dalla loro costituzione resta in piedi solo il 79,3% delle attività guidate da donne, contro l’83,9% di quelle a guida maschile. E dopo cinque anni la percentuale di imprese femminili sopravvissute è del 68,1%, contro il 74,3% di quelle maschili.

Quello femminile risulta quindi un segmento produttivo assai meno “industrializzato” rispetto al corrispettivo maschile, dato che solo 11,3 imprese rosa su 100 operano nell’industria a fronte di quasi 26,6 su 100 di quelle condotte da imprenditori uomini. Merita tuttavia mettere in evidenza che nel 2021 nell’industria si è registrato un aumento, rispetto al 2020, delle imprese femminili di oltre 600 unità a fronte di una forte flessione di quelle non femminili (3.849).

Tornando all’oggi, cioè alla data di fine giugno 2023, le ditte individuali rappresentano il 61,7% delle imprese femminili italiane. La percentuale è più bassa rispetto al corrispettivo maschile per quanto riguarda le società di capitali (24,3%), le società di persone (11,1%) e le altre forme giuridiche (2,9%). Inoltre le imprese giovanili costituiscono l’11,3% delle imprese femminili totali. Mentre è costituito sotto forma di cooperativa soltanto il 2,2% delle imprese femminili nazionali.

Le startup innovative

In Italia, al 31 dicembre 2021 risultavano iscritte alla Sezione speciale del Registro delle imprese poco più di 14.400 startup innovative, di cui circa 1.800 femminili, pari al 12,5% del totale. Si tratta di imprese a esclusiva (4,2%), forte (5,9%) e maggioritaria (2,4%) presenza femminile.

Sempre più giovani donne, tuttavia, scelgono la via dell’impresa: le imprese giovanili femminili sono il 10,5% del totale delle aziende condotte da donne, mentre l’imprenditoria giovanile pesa il 7,6% sull’insieme delle imprese maschili. Fondare un’impresa rappresenta anche una via importante di integrazione sociale ed economica e questo vale ancora di più per le donne. Le imprenditrici di origine straniera sono infatti percentualmente più numerose: tra le imprese femminili, quelle guidate da straniere sono l’11,8%, a fronte del 10,4% di quelle condotte da uomini.

Aziende femminili: piccole e fragili, ma più innovative

Barriere culturali ed economiche a investire

La stragrande maggioranza delle imprese incontra delle barriere nell’investire nelle tecnologie digitali così come nella sostenibilità. Sono le imprese femminili ad avere incontrato maggiori ostacoli: rappresentano l’80% di quelle che hanno investito nel green (contro il 76% delle imprese non femminili) e l’83% di quelle che hanno investito nel digitale (contro l’81% delle imprese non femminili). Focalizzandosi sulle imprese femminili, l’insufficienza di risorse finanziarie rappresenta un ostacolo maggiore per le imprese che hanno investito, che investono o che investiranno nella transizione digitale rispetto a quelle che non hanno investito e non investiranno nelle tecnologie digitali (44% contro 38%). Così come le imprese femminili investitrici segnalano maggiori difficoltà legati ai costi elevati delle tecnologie (21% contro il 15% delle non investitrici), alla scarsa conoscenza delle agevolazioni pubbliche e alla difficoltà di ottenerle(13%vs6%).

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Il ruolo del mix management

Un aspetto molto interessante della ricerca del Centro Studi Tagliacarne è il ruolo del mix management, cioè la presenza di manager sia di genere femminile sia maschile, nel campo dell’open innovation. Ebbene il mix management aiuta a colmare i gap delle imprese femminili, soprattutto nel caso delle startup fino a 5 anni di età. Infatti, mentre sul totale delle startup, quelle femminili hanno una minore propensione a investire nella open innovation, cioè l’attività di innovazione creata collaborando con altre imprese, università e centri di ricerca, istituzioni territoriali, consumatori (21% contro il 27% delle startup non femminili), all’interno delle sole startup con mix management il divario “rosa” si annulla in quanto la propensione a investire in open innovation è sostanzialmente la medesima tra startup femminili e non. Tra le imprese startup femminili senza mix management tale propensione si ferma al 12%. In sostanza il mix management annulla non solo il divario tra imprese femminili e non femminili, ma migliora di molto le performance all’interno della stessa imprenditoria femminile.

Keypoints

  • Nella fotografia scattata a fine giugno 2023 dal Centro Studi Tagliacarne le imprese italiane a guida femminile rappresentano solo il 22% del totale
  • L’imprenditoria femminile è molto concentrata nel settore dei servizi e ha dimensioni decisamente minori
  • Negli ultimi anni il fare impresa femminile si sta trasformando perché, con la progressiva eliminazione del gap di istruzione tra i due generi, l’avventura imprenditoriale è vista dalle donne come un’opportunità di piena affermazione professionale
  • Le imprese giovanili femminili sono il 10,5% del totale delle aziende condotte da donne, mentre l’imprenditoria giovanile pesa il 7,6% sull’insieme delle imprese maschili
  • Le imprenditrici di origine straniera sono percentualmente più numerose: tra le imprese femminili, quelle guidate da straniere sono l’11,8%, a fronte del 10,4% di quelle condotte da uomini.
  • La stragrande maggioranza delle imprese incontra barriere nell’investire nelle tecnologie digitali così come nella sostenibilità e le imprese femminili incontrano in tal senso maggiori ostacoli
  • Il mix management annulla non il divario tra imprese femminili e non femminili, ma migliora anche le performance all’interno della stessa imprenditoria femminile

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