La scoperta che i meccanismi fisiopatologici della BPCO sono strettamente associati alla disfunzione endoteliale, caratterizzata dalla ridotta disponibilità di ossido nitrico, stress ossidativo e infiammazione sistemica ha ispirato il progetto “Capillaroscopia periungueale come strumento per la valutazione del danno endoteliale vascolare nella BPCO: implicazioni e ricadute per un trattamento sempre più personalizzato”, candidato al BPCOntest, iniziativa promossa da INNLIFES con il supporto non condizionante di Sanofi Regeneron, e che si è conclusa con un evento di premiazione tenutosi il 17 giugno presso il Palazzo dei Giureconsulti a Milano.
Come spiega Barbara Ruaro, professoressa associata dell’Università di Trieste, che racconta a INNLIFES come la videocapillaroscopia ungueale (NVC) sia una modalità diagnostica sicura, non invasiva e facilmente applicabile, capace di valutare i capillari del microcircolo a livello del letto ungueale (la zona alla base delle unghie) e facilitare la diagnosi precoce di anomalie endoteliali.

Come la videocapillaroscopia permette di identificare e quantificare le alterazioni del microcircolo nei pazienti BPCO?
«La videocapillaroscopia è una tecnica che utilizziamo principalmente per valutare il microcircolo nelle patologie reumatiche, soprattutto nelle connettiviti e nella sclerosi sistemica, dove abbiamo identificato dei pattern specifici di malattia che correlano direttamente con l’interessamento degli organi. Il nostro lavoro è iniziato quando abbiamo deciso di estendere questa valutazione anche ai pazienti con BPCO, perché vedevamo che c’erano alterazioni più frequenti, come la neoangiogenesi, soprattutto nei pazienti che avevano una storia di malattia più lunga.
Abbiamo osservato alterazioni specifiche: nei pazienti che sono all’inizio del percorso diagnostico, quando facciamo la diagnosi, ci sono alterazioni come capillari tortuosi, capillari incrociati e alcuni ramificati. Invece, in quelli che hanno una patologia da lungo tempo, si vede proprio un aumento della neoangiogenesi: questo significa che c’è un’alterazione dell’endotelio dovuta probabilmente al fatto che c’è un’ossigenazione ridotta, e per questo l’endotelio risponde mandando in circolo elementi che cercano di ristabilire il corretto flusso.
Si formano quindi questi capillari con ramificazioni che vengono definiti anche ‘bizzarri’ perché sono tutti frastagliati – mentre i capillari normalmente hanno la classica forma a forcina di capello. Nelle forme più avanzate sembra proprio di vedere un albero, con tutte queste ramificazioni.
Quello che è particolarmente interessante per il monitoraggio è che quando la diagnosi viene fatta precocemente e si instaura la terapia corretta, nelle valutazioni a 6-12 mesi la capillaroscopia mostra alterazioni minori. Questo ci permette di valutare il microcircolo periferico e quindi il danno endoteliale, utilizzando questa tecnica come un ulteriore aiuto per capire qual è la situazione dell’endotelio in questi pazienti e per monitorarli nel tempo in base alla terapia che stiamo somministrando».
La capillaroscopia può essere dunque utilizzata come biomarker?
«Cerchiamo sempre nuovi biomarker per seguire le varie patologie. La capillaroscopia potrebbe essere un ulteriore aiuto per noi clinici per capire qual è la situazione dell’endotelio in questi pazienti. È una tecnica che ci permette di valutare il danno nel momento in cui vediamo il paziente, monitorare nel tempo l’evoluzione in base alla terapia, e utilizzarla anche come biomarker innovativo per questa patologia.
La letteratura ci supporta sul fatto che c’è un danno a livello endoteliale nella BPCO, e questa tecnica può aiutarci a quantificarlo e seguirlo nel tempo».
Cosa cambia dal punto di vista del trattamento?
«Cambia molto perché, essendo dimostrato che questo danno endoteliale progredisce nella BPCO, la capillaroscopia ci offre uno strumento non invasivo, non doloroso e ripetibile. Per un paziente con BPCO ci vogliono solo 5 minuti per la valutazione completa. Il vero vantaggio è che si vede proprio il cambiamento: se si instaura la terapia corretta, tutte quelle alterazioni così bizzarre e arborescenti si riducono e l’architettura capillare tende a ristabilirsi. Questo mi dà un’idea se la terapia somministrata ha migliorato l’endotelio.
I nostri pazienti riferiscono non solo miglioramento respiratorio, ma anche che ‘non hanno più il problema alle dita’, che non diventano più blu durante l’inverno o passando da ambienti caldi a freddi».
Quali sono gli obiettivi futuri?
«I passi che vogliamo fare sono svolgere uno studio longitudinale, ossia seguire pazienti con BPCO in fase iniziale nel tempo per vedere come evolve il quadro capillaroscopico;
e uno studio trasversale, per valutare nei diversi stadi della BPCO se ci sono alterazioni particolari che li identificano. Abbiamo visto che negli stadi più avanzati c’era una riduzione del numero dei capillari perché l’architettura veniva sovvertita dai capillari arborescenti che toglievano spazio a quelli con architettura regolare».
Il test verrà somministrato su tutti i pazienti?
«Vogliamo somministrarlo a tutti proprio per raccogliere più casistica possibile, aumentando la potenza statistica. Anche se ci fosse un’alterazione non così frequente, aumentando la popolazione possiamo avere maggior potere statistico.
Soprattutto ci interessa la valutazione longitudinale per vedere i cambiamenti con la terapia, correlando il miglioramento della dispnea con il miglioramento dello stato endoteliale».
Esiste una correlazione tra alterazioni capillari e mortalità?
«La letteratura su questa correlazione specifica non esiste ancora: abbiamo già pubblicato un articolo di revisione sull’uso della capillaroscopia nella BPCO e questa correlazione tra aumento del danno e aumento della mortalità non è mai stata studiata.
È uno dei nostri obiettivi principali: valutare se pazienti con alterazioni peggiori, e quindi in stadi più avanzati della malattia, abbiano particolari alterazioni correlate con valore predittivo negativo per mortalità maggiore.
Oltre a stabilire la terapia corretta, vogliamo capire se il paziente la assume correttamente. Manca uno strumento che ci aiuti ulteriormente: fare spirometria, visita clinica e anche questo esame per vedere se tutti coincidono ci darebbe una prova in più dell’efficacia terapeutica».
Perché questo studio è importante oggi?
«Perché la BPCO è destinata ad aumentare a causa di molteplici fattori: dall’inquinamento ambientale crescente, alla vita passata sempre più in ambienti chiusi, dall’uso massivo di sigarette elettroniche tra i giovani all’invecchiamento della popolazione. Avere un nuovo biomarker per seguire questa patologia, un biomarker molto semplice da usare, senza prelievi, senza dover fare l’emogasanalisi, può essere di grande aiuto al clinico».