Utilizzare in modo aggregato e anonimo i dati sanitari, da parte di soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro, per la realizzazione di sistemi di Intelligenza artificiale (Ai) per finalità di prevenzione, diagnosi e cura di malattie, sviluppo di farmaci, realizzazione di apparati medicali. Questo l’obiettivo del Ddl che approderà al Senato a marzo sull’uso secondario dei dati.
Un uso limitato agli enti pubblici e non a scopo di lucro: «Il principale fattore è la questione etica. In un momento in cui molti si stanno avvicinando all’Ai, non tutti lo fanno con la dovuta etica. L’intenzione è di tutelare la privacy e di non bypassare le normative europee», dice Andrea Cavalloni, avvocato partner di 42 Law Firm. Attualmente l’uso secondario prevede che ogni singolo utente dia un’autorizzazione specifica. Questo passaggio, di fatto, rallenta e in molti casi ostacola l’innovazione e la possibilità per i cittadini di ricevere cure e programmi di terapia sempre più avanzati e personalizzati perché realizzati sulla base di dati costantemente aggiornati e trattati nel pieno rispetto della privacy.
Avvocato Cavalloni, qual è la situazione attuale riguardo alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale (Ai), soprattutto nel contesto sanitario?
«Attualmente c’è un’assenza di normative specifiche sull’Ai pienamente in vigore, il che sta generando grande fermento tra gli operatori del settore. Molti player, sia nel settore sanitario che veterinario, stanno cercando di utilizzare l’Ia e di acquisire dati per istruire queste intelligenze artificiali. Le istituzioni si stanno interrogando su come armonizzare e tutelare la privacy, dato che in Europa c’è una forte attenzione a questo aspetto».
Quali sono i rischi principali in questo scenario di rapido sviluppo tecnologico e assenza di regole chiare?
«Uno dei rischi principali è quello di una normativa frammentata e reattiva, invece di un approccio proattivo. La tecnologia si evolve molto più velocemente delle regolamentazioni. C’è il timore che, aprendo troppo le porte, si possa perdere il controllo dei dati».
Cosa prevede il Ddl (Disegno di Legge) italiano in merito all’uso dell’Ai in sanità?
«Il Ddl dedica tre articoli all’ambito sanitario e stabilisce alcuni punti importanti: l’articolo 7 regolamenta l’uso dell’Ai in sanità e al comma 5 afferma che l’Ai può essere utilizzata come supporto, ma la decisione e quindi la responsabilità rimane in capo all’operatore; l’articolo 8 apre all’utilizzo del dato sanitario per istruire le Ai a scopo di sviluppo di farmaci e terapie per gli enti pubblici o privati non a scopo di lucro; il secondo comma dell’articolo 8 consente l’utilizzo secondario dei dati da parte di enti pubblici o non a scopo di lucro».
Qual è la sua opinione riguardo all’interpretazione del comma 2 dell’articolo 8?
«L’evidente volontà del legislatore in questa fase è di favorire enti pubblici e privati non a scopo di lucro. L’intento è di dare la possibilità a realtà come università e associazioni scientifiche di lavorare sulla ricerca».
Qual è l’importanza dell’anonimizzazione dei dati sanitari in questo contesto?
«È fondamentale garantire un’anonimizzazione efficace e l’aggregazione dei dati sanitari. In realtà, il Ddl non parla esplicitamente di anonimizzazione ma di rimozione degli elementi identificativi. L’anonimizzazione vera e propria è più complessa e richiede che sia assolutamente impossibile ricostruire l’identità del soggetto».
Cosa possono fare le aziende che operano a scopo di lucro interessate all’utilizzo dei dati sanitari per l’Ai?
«Devono continuare a percorrere strade come i sand box normativi e l’utilizzo di dati sintetici».
Cosa prevede l’European Health Dataspace e quali sono le tempistiche?
«L’European Health Dataspace è un processo che mira ad armonizzare l’utilizzo dei dati sanitari a livello europeo. È stato raggiunto un accordo tra la Commissione e il Parlamento europeo. Si prevede che il regolamento entri in vigore in autunno di quest’anno, ma ci vorranno almeno due anni perché gli stati si armonizzino. Alcuni aspetti potrebbero richiedere anche 4-6 anni per l’entrata in vigore. Saranno fondamentali gli enti nazionali di accesso ai dati per la gestione del dato secondario».
In conclusione, qual è l’obiettivo principale del DDL italiano?
«Il DDL mira a dare mani libere a università e società scientifiche per muoversi sulla ricerca sull’Ai, dato il suo potenziale trasformativo sia nella ricerca che in ambito sanitario».