La normativa per la protezione dei dati sanitari va rivista, non ci sono alternative. È quanto emerso dal XV Congresso ‘SIMMNERGIE, integrazioni, intersezioni, allineamenti a sostegno del SSN’, dove la Società Italiana di Leadership e Management in Sanità (SIMM) ha presentato un’iniziativa per discutere con il Ministero della Salute di una proposta in merito al trattamento dei dati sanitari. L’utilizzo dei dati in sanità è, infatti, un aspetto cruciale per la realizzazione sia di un’efficace programmazione sanitaria, sia di tutti i progetti della medicina d’iniziativa che hanno l’obiettivo di andare incontro alle esigenze del paziente. La normativa, però, per via del suo carattere piuttosto stringente, pone degli ostacoli all’accesso di questi dati da parte dei professionisti sanitari: di conseguenza sarebbe auspicabile prevedere un’applicazione diversa, ma ugualmente regolata, in ambito sanitario, della normativa sulla privacy.
Come affermato da Mattia Altini, Presidente della SIMM e Responsabile del Settore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna: “È giusto difendere le informazioni sanitarie sensibili, ma da chi le difendiamo? Se le difendiamo da chi cura, facciamo un autogol. Bisogna chiedersi che cosa vogliono tutelare i cittadini; il ricercatore non può immaginare subito quali interessi scientifici possano essere collegati a una determinata informazione, la scienza non ha questo modello di evoluzione. Ha un’ipotesi, ma mentre si guarda poi a ciò che accade nella realtà, ci rendiamo conto che le più grandi scoperte della medicina siano avvenute non come conseguenza di una programmazione, ma di casualità collaterali, dall’osservazione soprattutto”.
Dott. Altini, quali sono gli ostacoli principali causati dalla normativa per il trattamento dei dati personali per quanto riguarda le strategie di programmazione sanitaria e di medicina d’iniziativa?
In medicina, per poter analizzare un fenomeno ed esercitare quella che noi definiamo “medicina d’iniziativa” – cioè, andare incontro al cittadino con la consapevolezza che appartiene a un target di popolazione che ha determinati bisogni – è necessario poter profilare i cittadini e le loro storie cliniche. Immagino che tutti auspichiamo questo, cioè che il SSN e i diversi SSR vadano sempre più incontro in modo proattivo al bisogno dei cittadini tanto più quando questo è cronico e dunque acclarato, ripetitivo e rende necessario ciclicamente un farmaco, un check o un follow up ecc. Le storie cliniche si ottengono da una serie di episodi, che potrebbero avvenire in Ospedali, strutture o addirittura province diverse che hanno una connessione intima con la medicina generale, cioè con il medico che ognuno di noi sceglie per motivi di fiducia e che frequenta più assiduamente. Ecco, oggi, questo linkage, questa possibilità di tracciare in modo trasversale ciò che succede al cittadino, è reso quasi impossibile dalla normativa sulla privacy. La cosa che a me stupisce, non in termini tecnici, ma da cittadino, è che veniamo profilati ogni giorno da diversi siti online in ambito di Mass Media e Intrattenimento, e per ragioni sicuramente meno nobili di quelle che riguardano la nostra salute. Le Istituzioni, però, non possono invece farlo per la tutela della salute del cittadino. Addirittura, tra i comparti dello stesso ambito sanitario, questo scambio non è sistematico e non può avvenire senza il consenso del cittadino. Siamo di fronte alla necessità di tutelare i dati sensibili dei cittadini, ma allo stesso tempo dobbiamo domandarci per quale motivo raccogliamo quei determinati dati e soprattutto a cosa servono. Perché, se noi informiamo il cittadino rispetto al fatto che quel dato sia funzionale a un’equipe di professionisti per poterlo curare o per anticipare i suoi bisogni, io penso che nessuno si tirerebbe indietro dall’acconsentire a questo utilizzo”.
Se pensiamo anche all’ambito della digital health, ci troviamo di fronte a un altro problema, quello dell’interoperabilità tra i diversi sistemi. Che cosa si sta facendo per affrontare questo tema?
Oggi gran parte delle informazioni sono già contenute in data repository diversi. Si pensi che i MMG hanno una loro cartella che raccoglie la sintesi clinica delle attività fatte sul paziente e non sempre questi data repository sono interconnettibili. L’interoperabilità è quel passaggio fondamentale per il quale garantiamo che le informazioni siano accessibili anche ad altri sistemi in forma sicura e protetta. È il pre-requisito strutturale perché quella revisione della normativa della privacy di cui ho parlato prima diventi un’opportunità per il cittadino. Dobbiamo fare in modo che tutte le informazioni connesse alla salute di un paziente, anche quella che in un primo momento può sembrare superflua, siano leggibili anche in momenti futuri della vita in relazione, ad esempio, a bisogni che si modificano o che evolvono. In questo momento c’è un buon inquadramento sul tema a livello di sistema paese, in termini di linee guida e normativa, i contributi di AGENAS e i finanziamenti del PNRR spingono in questa direzione, quindi sono ottimista in questo senso. Mi preoccupa di più il vincolo legato alla raccolta dei dati sanitari che va contro l’interesse del cittadino.
Come si concilia, dunque, la necessaria protezione di dati sensibili, come quelli sanitari, con una maggiore tutela della salute dei cittadini?
Chiedere a un ricercatore di programmare preventivamente quali interessi scientifici possa avere un determinato dato in funzione dei bisogni dei cittadini è eccessivo. E non dimentichiamoci che comunque quando un medico prende un dato da un paziente, spiega sempre il perché lo sta facendo. Allora siamo dentro una relazione umana di fiducia, quella tra il medico curante e il curato. Chiedere ogni volta di ottenere il consenso per la raccolta dei dati è anti-economico e difficile da attuare, alcune volte non è proprio possibile. In questo è molto importante il rapporto tra i DPO e i Comitati Etici: il Data Protection Officer deve avere un canale di comunicazione privilegiato con i Comitati Etici, proprio per decifrare l’obiettivo della raccolta del dato, non mediante solo una norma fredda e asettica. Questo, ad esempio, potrebbe essere un buon approccio per trovare una conciliazione tra due diritti che hanno entrambi grande valore.
La SIMM ha recentemente pubblicato un comunicato con una proposta da portare al Ministero per quanto riguarda un rinnovamento della normativa che regola i dati sanitari. Ci può dire quali sono le soluzioni che avete presentato?
Non sono ancora soluzioni, ma delle piste d’indirizzo che abbiamo messo a confronto con le posizioni di altre importanti sigle quali la FIASO, l’ANMDO, il CIPOMO ed altre per lavorare assieme ad una consensus che uniformi il messaggio diretto al Ministero arricchendolo con le posizioni di tutti i comparti della sanità. Siamo stati attenti al contesto regolatorio nazionale ed europeo, e ci siamo resi conto che la nostra interpretazione della tutela dei dati rispetto al regolamento europeo è ancor più rigida di quella della media degli altri Paesi. Quindi innanzitutto vorremmo aderire con maggior forza alle proposte di politiche europee, in particolare sulla proposta di European Health Data Space, che intende aiutare le persone ad assumere il controllo dei propri dati sanitari e al contempo sostenere l’uso di questi dati per una migliore programmazione sanitaria, per la ricerca e per l’innovazione. Quindi l’approccio europeo è molto più in linea con il nostro pensiero, avendo già messo al centro l’interesse del cittadino europeo.
La seconda proposta di discussione riguarda l’ambito della ricerca, che è regolato in Italia dal consenso informato, ma che limita di molto le opportunità – come dicevamo prima – perché i ricercatori devono poter impostare i progetti di ricerca essendo sempre più orientati all’open science e pertanto progettare i propri studi in ottica di condivisione. Abbiamo bisogno di essere meno rigidi, anche in termini di uso secondario dei dati, sempre nell’alveo dell’interesse del cittadino e nell’ambito della massima garanzia di sicurezza di conservazione e trattamento dei dati.
Infine, la medicina preventiva, che significa sapere quali sono i cittadini a cui dobbiamo consigliare di stare attenti a determinati comportamenti. Conosciamo l’importanza dell’accesso agli screening preventivi per l’early detection della patologia. Ad esempio, oggi se un Direttore di un USL che ha accesso ai dati delle mammografie di persone sane, volesse inviare l’informazione a un medico curante sulle donne che non sono andate al centro ospedaliero per suggerire a lui di motivare le sue pazienti che non l’hanno fatto, questo utilizzo dei dati sarebbe sanzionabile. Penso, però, che, se la politica fosse chiara, spiegando ai cittadini per quale motivo quei determinati dati sono raccolti e con quali finalità, credo che la maggior parte dei cittadini non avrebbe problemi a renderli disponibili.
Ritengo che tutto il mondo professionale in sanità, non solo i medici ma anche le società scientifiche e le associazioni di cittadini siano tutte allineate a questa posizione della SIMM; alcune sigle hanno già aderito al nostro appello, ma stiamo continuando a raccogliere adesioni perché vorremmo far capire quale peso ha questo tema per chi ogni giorno si dedica alla tutela della salute dei cittadini.