Non ci sono più i comitati etici di una volta… ed è giusto che sia così, anche in ragione della normativa europea. Negli ultimi anni, infatti, questi strumenti essenziali per garantire sicurezza e diritti nell’ambito della sperimentazione clinica e non solo, hanno subito nel nostro paese notevoli cambiamenti. Cambiamenti che, però, sembrano aver disegnato un sistema ancora connotato da notevoli opacità normative che rischiano di renderne complesso e meno efficiente il funzionamento in concreto, come sottolineato da un recente documento pubblicato dalla Società Italiana di Farmacologia e dal Progetto Forward, per il quale “purtroppo nel nostro Paese è mancata la volontà e il tempo” per svolgere un dibattito tale “da favorire l’operatività del nuovo Regolamento Europeo 2014/536 e consentire al Paese di tener conto per tempo di tutti gli aspetti e gli approfondimenti necessari per evitare che questa occasione di rinnovamento si trasformasse in uno stallo nella ricerca scientifica clinica nazionale.”
Comitati etici: cosa sono e perché sono essenziali per la nostra salute
I Comitati Etici (CE) sono organismi indipendenti e multidisciplinari la cui principale funzione è la valutazione degli aspetti etici e scientifici delle sperimentazioni cliniche al fine di tutelare i diritti, la sicurezza e il benessere delle persone coinvolte. Per l’attività di valutazione e decisione circa l’ammissibilità delle sperimentazioni, i CE fanno riferimento a documenti e strumenti giuridici condivisi a livello internazionale e alle normative vigenti in tale ambito a livello nazionale e internazionale. In Italia, l’attuale normativa ha fissato in 43 il numero dei comitati etici, 3 nazionali e 40 territoriali. I tre Comitati etici nazionali (CEN) sono dedicati rispettivamente alle sperimentazioni cliniche relative alle terapie avanzate, a quelle in ambito pediatrico e a quelle degli enti pubblici di ricerca e altri enti pubblici a carattere nazionale. I CEN hanno competenza esclusiva, in materia di terapie avanzate, rispettivamente in ambito pediatrico e in relazione alle sperimentazioni degli enti pubblici, per ciò che concerne le sperimentazioni sui medicinali, le indagini cliniche di dispositivi medici e gli studi osservazionali farmacologici.
Confusione su competenze e spazi di manovra fra i vari comitati etici
Ci sono poi i quaranta Comitati etici territoriali (CET) che, nelle materie non coperte dai CEN, avranno competenza esclusiva per ciò che concerne le sperimentazioni sui medicinali (in collaborazione con AIFA), le indagini cliniche di dispositivi medici e gli studi osservazionali farmacologici. Proprio sulla ripartizione di competenze da documento pubblicato dal Progetto Forward di cui Antonio Addis è uno degli autori, sono emerse alcune perplessità. “In questa divisione tra nazionale e territoriale – spiega Addis – non viene definito bene esattamente che cosa fa uno e che cosa fa l’altro, cioè la normativa dice alcune cose, ma manca di dirne tante altre e quindi si creano delle aree un po’ di sovrapposizione, un po’ di vuoto”. Un problema che riguarda anche i Comitati etici locali (CEL), che sono comitati rimanenti dal precedente assetto normativo e che le Regioni potranno scegliere se mantenere operativi o meno. Anche in questo caso, continua Addis: “non sempre è chiarissimo quale spazio di manovra avranno. Bisogna arrivarci un po’ per esclusione”.
Cagnazzo: “Perplessità anche sul fronte procedurale”
Altro aspetto che cambia è quello procedurale, in una ottica – quella derivante dalla normativa europea – di efficientamento e velocizzazione delle procedure. Come spiega Celeste Cagnazzo, con le nuove norme “il promotore dello studio dovrà scegliere un unico comitato etico territoriale che esprima un parere valevole a livello nazionale, indipendentemente dal numero e dalla localizzazione dei centri coinvolti; la scelta, che nel caso di studi interventistici con farmaco potrà essere demandata ad AIFA, dovrà essere effettuata in modo che il CE scelto sia indipendente rispetto ai centri clinici in cui si svolgerà la sperimentazione”. Nell’ottica di garantire una maggiore trasparenza, la nomina dei componenti dei CE territoriali è stata affidata alle Regioni, che stanno procedendo alla loro formazione. Ma anche in questo caso sussistono alcune perplessità: “Non sarebbe opportuno determinare criteri omogenei a livello regionale e/o nazionale per il reclutamento dei componenti dei CET?”, chiedono gli esperti del documento pubblicato dal Progetto Forward. “La composizione dei CET – continuano – è un aspetto essenziale in quanto l’attività di valutazione necessaria richiede competenze diverse, ma complementari fra loro. Per questa ragione è fondamentale che siano definiti dei criteri condivisi che possano guidare la selezione dei componenti. Potrebbe per esempio essere utile prevedere tra i componenti un esperto sulla normativa sulla privacy o un giurista esperto di regolazione delle sperimentazioni – campioni biologici oltre che dati. La nomina dei componenti del CET è di competenza delle Regioni e delle Province autonome, quindi dovrebbe essere il ministero a cambiare la norma o a dare indicazioni uniformi per cambiare i componenti del CET”. Rimane comunque ferma la possibilità, come in passato, in casi particolari, di affidarsi anche alla consulenza di professionisti esterni al CE; in questo caso la valutazione dovrà essere effettuata a titolo gratuito e il consulente dovrebbe essere scelto da appositi elenchi/albi costituiti dalle regioni.
Addis: “Necessario investimenti in risorse e competenze”
Pur con i limiti sottolineati, quando tutti i comitati etici territoriali saranno insediati il sistema, almeno formalmente, sarà a regime. Ma nel concreto, oltre a quelli già evidenziati rimangono diversi problemi da risolvere. A cominciare dalla questione risorse e impostazione del lavoro dei nuovi comitati. “Oggi come oggi – sottolinea Addis – noi sappiamo che il lavoro che prima facevano una miriade di comitati etici verrà aggregato e svolto da 40 comitati etici. Occorrerà un investimento in risorse, in competenze. Uno degli errori che si sta facendo è pensare che il lavoro del comitato etico sia un lavoro che uno può ‘rubacchiare’ a delle persone che fanno altre attività – era quello che succedeva prima con incontri mensili, nella migliore delle ipotesi due volte al mese – mentre invece adesso diventerà molto più impegnativo rispetto al passato”. Senza contare che perché il sistema della sperimentazione funzioni si dovrà pensare anche ad eliminare i colli di bottiglia a valle dei comitati etici: “Piano piano andremo a regime. Manca un po’ di allenamento con questo modo di procedere. Il problema è quello che viene dopo il comitato etico – aggiunge Celeste Cagnazzo –. Con il comitato etico abbiamo un parere etico, dopodiché ciascuna struttura coinvolta deve dare un’ autorizzazione aggiuntiva: purtroppo è lì che stiamo perdendo tempo perché ogni struttura comunque è legata a procedure specifiche, per questioni forse più ideologiche che veramente di sostanza e molto spesso si perde tempo banalmente per rivedere il contratto della sperimentazione, per firmare il contratto, per avere la firma del Direttore Generale. Quindi se non diventeremo abbastanza veloci anche da quel punto di vista, in quella procedura successiva, comunque non saremo competitivi come invece l’Europa richiede”.
In altre parole, in un panorama della ricerca, soprattutto farmacologica, in rapidissima evoluzione a livello globale, il nostro Paese rischia di restare indietro se non riuscirà a dare pienamente compimento al nuovo sistema. È una sfida complessa per la quale sembra mancare il dovuto livello di confronto tra mondo accademico e legislativo. Continueremo dunque a monitorare l’evoluzione di questa complicata metamorfosi dei comitati etici.