Le dispute tra partiti in vista delle elezioni europee rischiano di mettere a rischio il settore farmaceutico. Lo affermano i rappresentanti del Forum Disuguaglianze e Diversità, preoccupati per il clima di incertezza che si è creato attorno alla loro proposta di creare una European Medicines Facility, inizialmente accolta con favore in dagli europarlamentari e supportata con una petizione firmata da figure di spicco come Silvio Garattini, i Premi Nobel Amartya Sen, Barry Barish e Giorgio Parisi e organizzazioni internazionali come The Democracy Collaborative.
L’infrastruttura pubblica avrebbe il compito di stabilire le priorità sanitarie dell’UE nell’interesse pubblico, indirizzando la ricerca e lo sviluppo di farmaci, in particolare quelli non sufficientemente coperti dall’industria farmaceutica privata, o ritenuti troppo costosi. Doveva rientrare tra le proposte della riforma farmaceutica, ma una parte del Parlamento Europeo sembra ora mettere un freno al suo inserimento.
Il Professor Massimo Florio, membro del ForumDD e docente dell’Università Statale di Milano, che ha seguito la proposta in questi anni, richiama alla responsabilità gli europarlamentari chiamati a discutere ed approvare il Rapporto sulla proposta di Direttiva e Regolamento da parte della Commissione Europea sulla revisione della legislazione farmaceutica europea. Rimuovere l’infrastruttura pubblica per vaccini e farmaci dal Rapporto sarebbe un passo indietro per l’interesse pubblico e la credibilità delle istituzioni europee, dice.
Prof. Florio, su che basi è nata l’idea della European Medicines Facility?
È nata dalla lezione della pandemia da Covid 19. Il Parlamento Europeo ha istituito una commissione speciale incaricata di esaminare le elezioni nel contesto della pandemia. Questa commissione, composta da una rappresentanza trasversale di tutti i partiti politici e formata da circa trenta parlamentari provenienti da diversi paesi, ha completato il suo mandato formulando una serie di raccomandazioni. Tali raccomandazioni si sono avvalse del contributo di una serie di studi indipendenti. Personalmente, ho avuto il privilegio di guidare due di questi studi. Il primo proponeva l’istituzione di un’ampia infrastruttura pubblica dedicata alla ricerca biomedica e allo sviluppo farmaceutico in specifici settori. Il secondo studio che ho diretto analizzava il contributo dei finanziamenti pubblici nello sviluppo dei vaccini anti-Covid. In aggiunta, un ulteriore studio condotto da colleghi italiani, guidati dalla Professoressa Simona Gamba dell’Università di Milano, ha contribuito alle conclusioni finali. Complessivamente, questi lavori hanno influenzato la raccomandazione finale del comitato sul Covid, che sottolinea fortemente la necessità di istituire un’infrastruttura pubblica per la ricerca e lo sviluppo farmaceutico, con particolare attenzione alle cosiddette “unmet medical needs”, ovvero quelle aree meno lucrative per l’industria ma di fondamentale importanza.
Che ruolo avrebbe l’infrastruttura?
Si tratterebbe di un ente unificato, sostenuto dalla comunità scientifica europea, per superare la dispersione e la frammentazione dei finanziamenti e delle iniziative, che attualmente si manifestano su scala nazionale o addirittura regionale. Il principale beneficio di questo approccio è la creazione di una massa critica di risorse e competenze.
Ci sono ambiti in cui l’investimento risulta più rischioso e meno redditizio, come nello sviluppo di nuovi antibiotici per combattere la resistenza batterica. La pandemia ha insegnato che è cruciale non attendere l’ultimo momento per agire, evitando di dipendere esclusivamente da piccoli gruppi di imprese che ricevono finanziamenti d’emergenza. Invece, è preferibile sviluppare un ecosistema che incoraggi la partecipazione di aziende piccole, medie e innovative, diversificate rispetto ai soliti attori, per inserirsi in progetti con una chiara priorità di interesse pubblico.
Infine, è necessario di rafforzare l’autonomia europea e ridurre la dipendenza da paesi terzi, specialmente per quanto riguarda la capacità di produrre industrialmente principi attivi e farmaci in modo efficiente e conveniente. Non è sufficiente scoprire nuove molecole se poi manca la capacità produttiva per realizzarle su larga scala, sottolineando la necessità di un’industria farmaceutica europea più forte e indipendente.
Su una scala globale, perché è così importante che la proposta finisca nella bozza della riforma farmaceutica?
Il governo federale degli Stati Uniti spende per la ricerca biomedica 50 miliardi l’anno attraverso il National Institutes of Health. L’European Molecular Biology Laboratory, l’unico organismo sovranazionale che abbiamo un campo biomedico, ha un bilancio di 300 milioni l’anno. Siamo su un altro pianeta, altrimenti non si spiegherebbe tutta la forza del settore farmaceutico, dei dispositivi, e le capacità innovative americani. E non si spiegherebbe la difficoltà del settore farmaceutico europeo, che perde colpi dal punto di vista dell’innovazione, della filiera.
Come si posizionerebbe l’Italia nell’ambito della European Medicines Facility?
L’Italia sarebbe in una buona posizione e potrebbe offrire molto. Abbiamo una certa capacità produttiva ad esempio. Supponiamo che ci sia l’antibiotico di nuova generazione europea, in cui anche la proprietà intellettuale sia europea, ci sarà bisogno di produrlo, e noi in Italia siamo bravi in questo. Potremmo diventare fornitori di un sistema.
Ora, quindi, c’è bisogno di responsabilità della classe politica per riuscire ad inserire la proposta nella riforma farmaceutica europea. Rimuovere l’infrastruttura pubblica per vaccini e farmaci dal Rapporto sarebbe un passo indietro per l’interesse pubblico e la credibilità delle istituzioni europee.