Plaudono la manovra del Governo i rappresentanti delle aziende farmaceutiche, in particolare in merito alla rimodulazione dei tetti di spesa farmaceutica, e c’è ottimismo anche per il via libera dalla Conferenza Stato-Regioni alla riforma di Aifa. Ci sarà più spazio per l’innovazione del farmaco e per alleggerire ovviamente la questione del payback, sostengono i rappresentanti del settore, presenti alla tavola rotonda dell’Healthcare Summit organizzato da Il Sole 24 Ore. Perché la situazione, sostengono, non è per nulla facile, e molti farmaci e dispositivi stanno scomparendo dagli scaffali. Voci fuori dal coro criticano la manovra (Gimbe) e sottolineano che le voci di spesa non sono l’unica questione: bisogna parlare della produttività del sistema sanitario, con dati alla mano. Sulla medicina territoriale, la questione aperta riguarda il personale che andrà a lavorare nelle nuove strutture.
Troppi costi, e così spariscono farmaci e dispositivi medici
“Non potendo nemmeno aumentare i prezzi, ci ritroviamo a far fronte all’inflazione e a ripianare delle cifre che sono diventate veramente insostenibili”, afferma Nicoletta Luppi, Vicepresidente Farmindustria. “I costi sono aumentati di un ordine del 20%, c’è tutta una serie di produzioni che non si sostengono, quindi questo innesca il fenomeno delle carenze di farmaci esistenti e ci saranno sempre meno farmaci disponibili sul mercato”, fa eco Stefano Collatina, Vicepresidente Egualia. Che rincara: “Se andate a vedere il numero di offerte all’interno di gare, queste stanno diminuendo, quindi che cosa chiediamo? Chiediamo di avere ossigeno, perché realmente siamo arrivati- come si dice in gergo- a tappo, non ce la facciamo più ad accogliere nuovi ulteriori incrementi di costi e questo porterà a una riduzione dei prodotti”.
Utilizzare farmaci generici per liberare risorse per l’innovazione
Collatina introduce un altro tema: “Dobbiamo cercare di dare la possibilità di liberare risorse utilizzando farmaci generici e biosimilari per poter poi reinvestire in innovazione, questo è il meccanismo virtuoso; in Lombardia la penetrazione ai biosimilari è al 26%, ed è assurdo, ci sono alcune regioni in Sud Italia in cui la penetrazione è ancora più bassa, questo significa che noi non stiamo utilizzando prodotti a basso costo”.
Gellona: le Regioni dialoghino con noi sui reali fabbisogni
Fernanda Gellona, Direttrice Generale Confindustria Dispositivi Medici, richiama l’attenzione sull’importanza di saper calcolare i fabbisogni e di programmare la spesa: “noi sogniamo il giorno in cui una Regione ci chiama e ci chiede: voi quali innovazioni avete per il bisogno della mia popolazione regionale su questo tipo di patologia? Sarebbe veramente il sogno di una reale partnership perché a noi serve sapere quali sono i bisogni per poter pianificare e organizzare le nostre attività. Per il presente va cancellato il payback, vanno trovate altre risorse”.
Decisioni in merito al payback avrebbero ricadute sulle Regioni, ma per ora, ricorda Angela Stefania Lorella Adduce, Ispettore Generale Capo per la Spesa Sociale, “la tematica dei dispositivi medici non ha visto finora delle proposte da parte del ministro della salute. Ma quando arriveranno sarà compito nostro valutarne gli effetti finanziari e valutarne la loro compatibilità”.
Non è solo una questione di soldi: dobbiamo parlare di produttività
Qualche voce controcorrente si è sentita durante il dibattito. Non si può parlare solo di fondi e di spesa, afferma nel suo intervento l’economista sanitario Donato Scolozzi, Partner KPMG: bisogna parlare di come utilizzare l’innovazione per incrementare la produttività del nostro servizio sanitario nazionale. L’enorme quantità di dati a disposizione è una risorsa importante in questo senso: “Prendere dei dati e metterli negli scrigni non aiuta certamente a migliorare il servizio sanitario nazionale: noi abbiamo investito tantissimi soldi in modo intelligente nel nuovo sistema informativo sanitario e secondo me quei dati li usiamo troppo poco. E quando avremo finito di misurare, dovremo prendere quei dati e cominciare a parlarne con le reti professionali”.
Gimbe boccia la manovra: non c’è un vero rilancio
Meno entusiasmo e molte critiche emergono dalla disamina della manovra della Fondazione Gimbe: “La legge di bilancio è influenzata da interessi di categoria”, dice il Presidente Nino Cartabellotta, che presenta un’analisi indipendente dei dati, con un focus sugli incrementi di finanziamento previsti per il Servizio Sanitario Nazionale. La manovra, come aumento del fabbisogno sanitario nazionale, prevede 3 miliardi per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4 miliardi e 2 per il 2026. Tuttavia, questi aumenti includono anche gli incrementi contrattuali del personale sanitario. “Se si sottraggono gli incrementi contrattuali, l’aumento netto per il 2024 è di 600 milioni di euro, mentre per il 2025 è di 1,6 miliardi e per il 2026 è di 1 miliardo. Questi aumenti rappresentano solo una modesta percentuale del fabbisogno sanitario nazionale e non vi è un vero e proprio rilancio nel medio e lungo periodo”.
Anche Cartabellotta menziona la rideterminazione dei tetti di spesa farmaceutica, con un aumento dello 0,2% per la spesa diretta e una diminuzione dello 0,2% per la convenzionata, ma solleva preoccupazioni riguardo le ricadute sulle Regioni.
Inoltre, esamina l’incremento delle prestazioni acquistate da privati: regioni con alti livelli di spesa avranno la possibilità di spendere di più, mentre altre potrebbero avere meno spazio di manovra; l’intera cifra dell’aumento del fabbisogno sanitario nazionale è destinata a misure specifiche, fa notare Gimbe, riducendo così la flessibilità finanziaria delle regioni.
Sanità territoriale: il nodo del personale
Centrale nel dibattito anche l’importanza della riforma della sanità territoriale, con un focus sulle case di comunità e gli ospedali di comunità, e sulla necessità di definire gli accordi e i ruoli del personale medico in questi nuovi modelli organizzativi. Il modello basato sulla centralità degli ospedali ha fallito, fanno intendere alcuni, ma c’è anche il problema di capire quanto e come i medici siano disposti a lavorare nelle nuove strutture che verranno create. Insomma, non siamo ancora alla fine del percorso.
Domenico Mantoan, Direttore Generale di AGENAS, richiama il decreto ministeriale DM-77, reso possibile grazie ai fondi europei, che ha ridefinito l’organizzazione del territorio sanitario. Questo documento non riguarda solo le case di comunità, ma anche gli ospedali di comunità, fondamentali per alleggerire l’ospedale per acuti. Il PNNR finanzia la startup degli ospedali di comunità, e le Regioni possono costruirne di nuovi con i fondi. Per quanto riguarda il personale medico da impiegare, afferma che ci sono medici di medicina generale che saranno ben disponibili a lavorare nei modelli organizzativi delle case di comunità. Il problema attuale non è la mancanza di medici, ma la necessità di scrivere l’Accordo Collettivo Nazionale (CN) che definisca come i medici di medicina generale possano lavorare in questi nuovi modelli organizzativi. Il Ministro della Salute Schillaci ricorda: “per la prima volta ci sono i soldi per assumere per le case di comunità e per le medicine territoriali. Ci sono 250 milioni per le assunzioni per il 2025 e ci sono 350 milioni per il 2026. Confido nei medici di medicina generale.”
Il punto di vista dei rappresentanti dei medici e infermieri
Fiorenzo Corti, Vicesegretario nazionale FIMMG, sottolinea la necessità di attrarre giovani medici verso le nuove strutture, ma nota che l’attrattività della professione medica è in calo: “questa situazione richiede un cambiamento nelle politiche di reclutamento. È necessario anche chiudere l’accordo collettivo nazionale 2019-2021 e adattare le regole per consentire ai medici di medicina generale di lavorare nei nuovi modelli organizzativi previsti dal DM-77”. Sulla stessa linea anche Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale ANAAO ASSOMED che esprime preoccupazione: “non sono stati attuati interventi significativi per i medici e i dirigenti medici”.
“La legge DM77 fornisce le norme e le risorse necessarie per un approccio basato sul territorio, ma è importante che gli addetti ai lavori nel sistema sanitario siano pronti a un cambiamento radicale”, sottolinea Maurizio Zega, Consigliere Fnopi, Presidente Opi Roma, che invita a non dare per scontato (riferendosi agli interventi di Mantoan e del ministro Schillaci) che il personale medico ed infermieristico sia tutto pronto a lavorare in queste nuove strutture. “Il cambiamento di paradigma dovrebbe creare un filtro per l’ospedale, che rimane la risorsa più costosa del sistema sanitario, e promuovere un approccio basato sul percorso del paziente. Queste strutture saranno elementi chiave nella nuova modalità di risposta sanitaria centrata sulla gestione delle patologie croniche nel domicilio dei pazienti”.