Recentemente l’OMS Europe ha messo a disposizione un documento di indirizzo per l’applicazione e la contestualizzazione nei Paesi membri delle linee guida basate su evidenze scientifiche accettate a livello globale. Che cosa ha spinto l’OMS a scrivere un documento di indirizzo simile? E quali sono le questioni che emergono rispetto alla effettiva applicazione delle linee guida?
La metodologia “adolopment” dell’handbook: adozione, adattamento e sviluppo da zero
Le Linee guida sono raccomandazioni per la pratica clinica che si basano su prove scientifiche e che aiutano i medici a prendere decisioni informate per garantire cure di qualità, limitando il rischio clinico. Il manuale dell’OMS, fondato sulla metodologia GRADE-ADOLOPMENT, dalla fusione di tre parole inglesi “adoption”, “adaptation” and “de-novo development”, è progettato per aiutare i paesi a adottare, adattare e sviluppare nuove raccomandazioni sanitarie che siano pertinenti al loro contesto specifico. La metodologia “adolopment” è particolarmente significativa perché riconosce che le raccomandazioni sanitarie efficaci non sono universali, ma possono richiedere una personalizzazione per rispecchiare le circostanze uniche di ogni paese.
Nel documento sono stati inclusi casi reali ed esempi pratici per aiutare a creare linee guida basate sui bisogni di singole popolazioni di pazienti, includendo anche dati “qualitativi” e integrandoli con dati quantitativi, statistici (spesso risultati di studi clinici randomizzati).
Scarsa fiducia, poco allineamento con i bisogni clinici, mancanza di risorse
Benché le linee guida per la pratica clinica siano formulate per consolidare le migliori informazioni disponibili e aiutare i clinici a fornire cure ottimali, la loro implementazione pratica incontra diversi ostacoli, come dimostrano studi in tutto il mondo.
Da un lato, si osserva una mancanza di consapevolezza e di accordo con i contenuti delle linee guida, spesso considerate troppo generiche, come dimostra questo sondaggio realizzato in Svizzera per l’utilizzo delle linee guida nella gestione conservativa non farmacologica del gonartrosi. Dallo studio emerge infatti che le linee guida cliniche internazionali non sembrano essere sistematicamente applicate da nessuna delle categorie di specialisti intervistati (medici di medicina generale, reumatologi e chirurghi ortopedici).
In particolare, benché le linee guida raccomandino l’esercizio fisico come trattamento di prima linea, si stima che solo il 54% dei pazienti con gonartrosi venga inviato a programmi specifici di esercizio.
In questa decisione, le linee guida cliniche risultano avere un’influenza minore rispetto ad altri fattori come le aspettative e il livello di sofferenza del paziente, l’esperienza clinica del medico stesso, il quadro clinico dell’artrosi.
In secondo luogo, come si evidenzia in un recente studio americano, i clinici devono sentirsi non solo informati, ma anche abili nell’applicare le linee guida. Nelle ricerche condotte riguardo la difficoltà di applicare le linee guida, si evidenzia anche il frequente disallineamento tra gli obiettivi di clinici e quelli dei pazienti.
Infine, studi identificano anche barriere esterne, come la mancanza di risorse, che possono limitare seriamente l’implementazione delle linee guida.
I tempi di chi produce le linee guida rischiano di essere troppo lenti
“Il mondo scientifico per la verità produce una quantità tale di linee guida con cui è difficile stare al passo. E non è facile per le società scientifiche accreditate produrre rapidamente linee guida di alta qualità che poi dovrebbero andare ad alimentare il database nazionale delle linee guida”, afferma Stefano D’Errico, professore associato di Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Trieste, e direttore della struttura complessa di Medicina Legale dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina.
Una questione da ponderare, considerando anche che l’attualità delle linee guida è un elemento importante, dovendosi basare su prove scientifiche il più possibile aggiornate. Un processo di creazione lento potrebbe diminuirne il valore, rendendole meno utilizzabili.
Nelle piccole realtà mancano le risorse per adattare le linee guida ai PDTA
Una volta che istituzioni e società scientifiche hanno armonizzato raccomandazioni internazionali o steso nuove linee guida, esse vengono valutate dal Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) e successivamente pubblicate. Un passaggio delicato è la loro applicazione sul territorio: “Ciò che è applicabile nel policlinico universitario di una grande realtà nazionale o internazionale potrebbe non esserlo in realtà più piccole, e per tutta una serie di motivi, in primis la difficoltà di organizzare percorsi in cui inserire queste linee guida”, sostiene il professor D’Errico.
Da anni, prestazioni complesse mediche o chirurgiche vengono centralizzate in realtà più grandi, più abituate a trattare un certo tipo di patologie e che consentono di avere livelli di performance eccellenti. “Ma non è pensabile che tutta la prestazione sanitaria venga centralizzata in sistemi hub; il sistema hub e spoke vale per un certo tipo di percorsi assistenziali, ma non può essere veramente valido per tutti”.
Il nodo, anche dopo l’emanazione della legge 24 del 2017, non è tanto nel verificare l’aderenza alle linee guida, sostiene D’Errico, “ma riproporre l’evidenza scientifica delle linee guida attraverso i cosiddetti percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA)”.
I PDTA adattano l’applicabilità delle linee guida al contesto: questo significa far sì che il paziente che entra in una struttura sanitaria venga inserito in un iter diagnostico che porti alla definizione della terapia secondo criteri e orientamenti scientifici assolutamente validati ed attuali.
“Lo sforzo è di tradurre le indicazioni delle linee guida all’interno di questi percorsi in tutte le realtà ospedaliere, e questo definirà la portata della presa in carico del paziente nei prossimi anni”. Va da sé che un’organizzazione sanitaria che non ha risorse e competenze per fare ciò troverà grandi ostacoli nell’integrare al proprio interno tali linee guida.
Linee guida non un libro di istruzioni, ma un riferimento per la medicina personalizzata
“Con l’obbligo delle direzioni strategiche di far sì che all’interno delle strutture sanitarie ci siano percorsi ispirati ad evidenze scientifiche si cerca di evitare di lasciare tutta la gestione del paziente alla singola iniziativa del professionista sanitario”, ricorda Stefano D’Errico.
Ma se le linee guida si basano su un processo di standardizzazione e oggi invece l’approccio è verso una medicina sempre più personalizzata, come possono essere utilizzate in modo efficace? “Le due cose vanno insieme. In verità la linea guida è un riferimento, ma bisogna considerare che è stata redatta sulla base di corti di pazienti molto ampie. Invece la malattia non è sempre uguale, cambia nel singolo paziente, ed ecco perché questa spinta verso la medicina personalizzata. La linea guida deve essere presa in considerazione e deve essere verificata la sua applicabilità su quel tipo di paziente. E se non è applicabile perché il paziente è differente rispetto alla corte di pazienti che hanno ispirato la linea guida, il professionista sanitario non solo potrà, ma è tenuto a discostarsi dalla linea guida, motivando il perché”.
Le linee guida sono pertanto importanti, ma non sono un “cook book medicine”, ricorda il professor D’Errico.
In effetti, lo sforzo organizzativo e di mentalità sta proprio nel renderle strumento flessibile, includendo nel contesto la valutazione del singolo paziente (e dei suoi bisogni), piuttosto che guardarle come un rigido decalogo, difficilmente applicabile in contesti diversificati.