Migliorare la gestione dell’area critica, investire in risorse e in formazione, permettere ai medici di medici d’urgenza di occuparsi della loro specialità, mettere la sanità, tutta, al centro delle politiche di questo paese. Questa sembra essere la ricetta per superare le enormi difficoltà che sta attraversando la medicina d’urgenza ed emergenza in Italia. Ne abbiamo parlato con il Professor Vito Marco Ranieri, Ordinario di Anestesiologia all’Università ‘Alma Mater’ di Bologna e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Anestesia e Terapia intensiva Polivalente del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna; Fausto D’Agostino, Anestesista Rianimatore presso il Campus Bio-Medico di Roma e Direttore International Training Center American Heart Association “Centro Formazione Medica”; l’Onorevole Maria Domenica Castellone, vice presidente del Senato, medico e ricercatrice in oncologia ed endocrinologia molecolare.
Un problema di posti letto…e non solo
La sfida principale nel gestire la medicina d’urgenza, soprattutto quella legata alla terapia intensiva, riguarda l’organizzazione del lavoro e il numero di posti letto. Un tema venuto alla ribalta durante la pandemia da Covid-19, quando l’Italia si piazzava agli ultimi posti in Europa per numero di posti letto in terapia intensiva (7 ogni 100.000 abitanti), numero che si è cercato di raddoppiare con il Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 (misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), ma siamo ancora lontani dall’obbiettivo.
“Ma non basta raddoppiare i posti letto” afferma il professor Ranieri, i cui studi si concentrano proprio nell’ambito della terapia intensiva e in particolare sul trattamento delle diverse forme di insufficienza respiratoria acuta. Fu lui, durante la pandemia, a ideare un ventilatore che potesse essere collegato a due pazienti in contemporanea. “ Questo raddoppio – continua – implica una sfida dal punto di vista organizzativo, vale a dire il coinvolgimento di altre discipline nella gestione del malato clinico e la riorganizzazione della rete ospedaliera. Su questo tema la prima commissione del Consiglio superiore di Sanità, di cui faccio parte, ha prodotto un documento per risolvere la compartimentalizzazione tra diverse discipline, che prova a superare il concetto di posto letto di terapia intensiva e subintensiva. E propone una visione unica dell’ area critica dove, sulla base dei diversi livelli di gravità e quindi di intensità di cure, si propone un modello organizzativo unico e multidisciplinare che renderebbe sostenibile quello che la legge impone, cioè passare da 7 a 14 posti letto in terapia intensiva ogni 100.000 abitanti”.
Questo documento vuole fornire ai politici a livello nazionale e regionale una proposta per migliorare il sistema in modo strutturale, non solo in funzione di un’emergenza sanitaria.
Anche se il tema principale rimane quello delle risorse: “Noi investiamo il 3- 4% del Pil nella sanità, in paesi come la Francia e la Germania si investe il doppio. Quindi se uno guarda alle risorse che vengono spese nella sanità pubblica, paesi come la Francia e la Germania sono sicuramente più avanti di noi”. Dal punto di vista della medicina d’urgenza, è facile fare i confronti con l’estero: maggiore è il numero di posti letto di terapia intensiva, minore è la mortalità. “In questo senso, il Portogallo è in basso alla classifica, la Germania domina. Prima della Covid-19 noi eravamo vicini al Portogallo, ora stiamo risalendo la classifica perché stiamo aumentando i posti letto, ma non siamo ancora a regime”.
I pronto soccorso esplodono perché la medicina territoriale non funziona

La pressione sui pronto soccorso è proporzionale alla carenza dei sistemi territoriali. “Quanto meno la medicina territoriale è in grado di recepire la richiesta del malato – taglia corto Ranieri – tanto più la pressione sui pronto soccorso aumenta per casi che non sono di competenza del pronto soccorso e della medicina d’urgenza, ma della medicina territoriale. Mi spiego meglio: nel pronto soccorso lavorano specialisti di medicina d’urgenza, consulenti, chirurghi rianimatori, anestesisti, cardiologi, etc. Qui confluiscono malati di qualsiasi grado, anche e soprattutto coloro che non hanno bisogno di questo livello di competenze, di intensità di cure, per i quali basterebbe la medicina territoriale. Non avendo risposte dalla medicina territoriale, questi malati vanno in ospedale”.
Il fatto di gestire pazienti che non hanno bisogno di cure specialistiche genera frustrazione tra i medici specializzati del pronto soccorso: “Perché il medico è costretto a gestire questi quadri patologici che non sono di sua competenza e non devono essere trattati in ospedale, ma sul territorio. E da questo punto di vista ci sono delle proposte interessanti: alcune regioni stanno lavorando per spostare i codici bianchi e gialli e i quadri meno complessi dalla competenza dell’ospedale alla competenza di strutture territoriali (le Case della Comunità previste dal PNRR), come Emilia Romagna, Toscana, Veneto, ma purtroppo mancano nella grande maggioranza delle regioni meridionali”.
La Senatrice Castellone già nel 2019 aveva presentato una riforma per la medicina d’urgenza per evitare questi sovraffollamenti: “Purtroppo, nella scorsa legislatura quella proposta non ha trovato l’appoggio delle altre forze di maggioranza e anche in questa legislatura ci sono visioni contrastanti tra chi crede che il SET-118 (Servizio di Emergenza Territoriale, ndr) debba essere un’appendice del pronto soccorso e chi, come me, crede invece che i due sistemi di emergenza urgenza, quello ospedaliero e quello territoriale, vadano integrati garantendo ad entrambi una propria autonomia di personale e mezzi”.
Oggi in Italia è più facile fare il dermatologo che il medico di medicina d’urgenza

“E’ molto più facile fare il medico di medicina d’urgenza in Germania, rispetto all’Italia, perché qui da noi le prospettive dopo la laurea sono di enorme difficoltà, il sistema sanitario è in difficoltà ed è in crisi: è molto più facile fare il dermatologo che fare il medico d’urgenza”, taglia corto Ranieri.
Un po’ più ottimistica la Senatrice Castellone, che è anche medico: “Fare il medico è ancora il lavoro più bello del mondo. Si diventa medici non per fare soldi ma per salvare vite. E quindi quando si deve decidere in che settore specializzarsi, certamente l’emergenza urgenza più di tutti assolve a questo nobile compito che ci è stato affidato nel giuramento di Ippocrate. Come diceva il filosofo Diogene, nel IV secolo a.c., le fondamenta di ogni Stato sono l’istruzione dei suoi giovani. E da questo bisognerebbe partire anche quando si programmano gli investimenti per il futuro”.
Anche la formazione è troppo compartimentalizzata
Anche sulla formazione, secondo Ranieri, l’organizzazione è divisa in segmenti, quando invece dovrebbe essere più “vettoriale”, lavorare su un continuum perché il paziente ha diversi bisogni assistenziali: “Sono pochi i momenti formativi in cui il vettore assistenziale si traduce anche in un vettore formativo. Dal punto di vista assistenziale questi malati rappresentano un vettore, ma dal punto di vista formativo e organizzativo noi continuiamo a lavorare per segmenti. Dobbiamo superare questa visione e lavorare nella logica del vettore assistenziale e del vettore formativo”.

Secondo il dottor D’Agostino la competenza è fondamentale per gestire le complessità peculiari che affrontano i medici di medicina d’urgenza: “Ci troviamo spesso a gestire eventi imprevedibili e complessi, caratterizzati da tempi imposti ed incalzanti, ad affrontare sfide e difficoltà dovute alla presenza di pazienti con patologie acute, che richiedono un trattamento immediato; ciò rappresenta un fattore di rischio elevato se non si possiedono competenze appropriate o specifiche doti cognitivo-comportamentali per affrontare determinati contesti critici, in cui è necessario un programma di formazione adeguato per sviluppare versatilità, capacità decisionali e di comunicazione, capacità di affrontare le problematiche cliniche poco usuali e difficili”.
Ecco perché è importante non solo la formazione universitaria, ma anche quella continuativa sul campo. D’Agostino sta infatti organizzando un Congresso teorico-pratico di Emergenza – Urgenza che si terrà a Bari il 24-25 novembre di cui è anche presidente. “Il congresso nasce dalla necessità di un confronto – spiega il giovane medico, nominato di recente anche Cavaliere della Repubblica per la lotta a COVID-19 – e di mettere in comunicazione gli operatori sanitari che lavorano in emergenza-urgenza, per arrivare agli alti vertici della sanità e della politica e portare alla luce le criticità del settore”.
L’obiettivo, infatti, è dare risonanza a questo mondo, che rappresenta l’epicentro della sanità ma che è inefficiente sia per mancanza di strumenti sia di una adeguata organizzazione.
La formula del convegno è innovativa, in quanto nella seconda giornata gli iscritti si potranno esercitare in prove pratiche, con manichini ad elevatissimo realismo, robotizzati, ad alta fedeltà, con la possibilità di simulare le procedure che ogni medico deve conoscere, grazie alla collaborazione di aziende leader nel settore della medicina simulata. “La simulazione è una valida strategia per la formazione sanitaria – sottolinea D’Agostino – per una medicina sempre più evidence-based, permettendo di operare in un contesto sicuro, attraverso simulazioni e manichini sempre più realistici. Spesso però vi è una mancata possibilità di formazione, dovuta sia alla turnazione frenetica sia alla mancanza dell’offerta formativa”. Anche il professor Ranieri sottolinea l’assoluta importanza della simulazione: “Questi strumenti aiutano enormemente nel creare i vettori formativi di cui ho parlato, perché superano tutta una serie di limitazioni che altrimenti renderebbero il modello molto più complesso dal punto di vista sia gestionale sia formativo”.
La politica deve mettere al centro dell’agenda la sanità
Tutto quanto detto finora è poco praticabile senza adeguate risorse pubbliche, ma soprattutto senza una visione politica che metta davvero la sanità al centro della politica italiana. “La sanità è un settore cruciale per il Paese – afferma l’Onorevole Castellone, già membro della Commissione Parlamentare Igiene e Sanità- alcuni ambiti in particolare, come quello dell’emergenza, attendono riforme da decenni. Ma il punto di partenza più logico dovrebbe essere non tagliare più. E invece siamo alle porte di una finanziaria che si preannuncia “lacrime e sangue” per la spesa pubblica e in primis per la sanità per la quale si prevede di tornare ai livelli di spesa del pre pandemia. Serve il coraggio di fare una riforma strutturale che sicuramente andrà a scontentare chi ha invece interesse a continuare a lavorare nella situazione precaria ed emergenziale in cui ci troviamo oggi: senza girarci attorno, sappiamo bene che le emergenze lasciano più margini di guadagno rispetto alle riforme che individuano, affrontano e risolvono i problemi. Guardiamo ad esempio ai pronto soccorso. Ormai sono diventati delle trincee. Dove gli operatori sanitari sono sottoposti a turni massacranti e ricevono quotidianamente minacce ed aggressioni da cittadini che sentono di non essere curati nel modo adeguato. Ad oggi quale è l’unica soluzione adottata? Far ricorso a medici gettonisti. Spesso assunti tramite cooperative che da questa emergenza chiaramente traggono vantaggio”.
Ma i medici gettonisti non possono essere una soluzione strutturale al problema, anzi semmai lo amplificano visto che sempre più medici ormai stanno lasciando il SSN per tornare poi a lavorare negli stessi ospedali pubblici come gettonisti. Guadagnando molto di più per lo stesso lavoro.
Quindi quale deve essere la soluzione per contrastare la carenza di personale nei pronto soccorso? Evidentemente assumere più operatori con contratti più gratificanti. “Che tengano conto del carico di lavoro e del rischio al quale sono sottoposti. Discorso analogo per l’emergenza urgenza territoriale. Riformare il 118 e rafforzare il ruolo del servizio pubblico vorrebbe dire ridimensionare il privato che oggi gestisce quasi per intero un settore così delicato come quello dell’emergenza urgenza territoriale”.
Ogni giorno i cittadini toccano con mano cosa vuol dire avere non solo un SSN efficiente, ma anche un pronto soccorso che possa gestire i pazienti nei modi e nei tempi più adeguati, con professionisti che possano lavorare in modo sereno e gratificante. Le ricorse ci sono, la volontà politica forse un po’ meno. Ma c’è la sensazione ormai che così non si può andare avanti.