PNRR: un debito tossico per l’Italia

PNRR: un debito tossico per l’Italia

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Marco Pugliese

Perché ne stiamo parlando
Con il PNRR, l’Italia sta contraendo un debito enorme, senza riuscire a investire i soldi in modo efficace e flessibile, per i troppi vincoli. Altri paesi Ue hanno fatto scelte diverse, indebitandosi molto meno o per nulla. Hanno avuto ragione loro? Oggi è giusto domandarsi se il PNRR ha avuto e ha ancora senso.

Fu l’ex premier Giuseppe Conte che propose alla Ue un modello economico keynesiano che sostenesse l’intervento governativo durante i periodi di recessione, di fatto evitando i vincoli del patto di stabilità, che impedisce d’investire. Questa teoria nel 2020 fu adottata da giganti economici come gli Stati Uniti e la Cina, alle prese con una crisi strisciante.

Tuttavia, mentre le banche centrali di Giappone, Cina, Stati Uniti e Regno Unito iniettavano liquidità nei loro mercati interni e finanziavano le proprie aziende senza indebitarsi, l’Italia si ritrovava con un prestito vincolato, noto come Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questo prestito, più politico che efficace, si è rivelato un fardello per l’economia italiana, la terza più grande del continente europeo e l’ottava a livello mondiale.

Il PNRR, presentato come un salvagente per il nostro sistema economico, ha in realtà aggravato il debito del paese. Questo prestito, che dovrà essere rimborsato con interessi, rappresenta un debito tossico per l’Italia. Le sue regole, stabilite non dall’Italia ma dalla Commissione Europea, non prevedono la possibilità di rinnovarlo.

Il PNRR è purtroppo simile (come approccio, non come struttura) al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), si è rivelato più dannoso che benefico per l’Italia. Non solo ha aumentato il debito del paese, ma ha anche imposto obiettivi irraggiungibili e vincoli burocratici che hanno ostacolato la crescita economica. Inoltre, ha limitato la capacità dell’Italia di investire in settori chiave come l’istruzione e la sanità, che sono stati fortemente colpiti dalla pandemia.

In particolare, il settore dell’istruzione è stato accostato molto alle “soluzioni” del PNRR, ma di fatto il pacchetto presenta obiettivi irraggiungibili se non inutili ed una corsa alla spesa che ha portato a investimenti fuori scala.

Non si può spendere per assumere o formare professori, solo per attrezzature che il più delle volte non servono a nulla. Ad esempio, è impensabile costruire una ferrovia in tre anni, considerando i tempi necessari per le gare d’appalto e la chiusura dei lavori.

Il PNRR, pur essendo presentato come una soluzione alla crisi economica causata dalla pandemia, ha in realtà aggravato i problemi dell’Italia. Invece di fornire il sostegno necessario, ha aumentato l’esposizione del debito del Paese e imposto vincoli burocratici che hanno ostacolato la crescita economica. L’Italia avrebbe avuto bisogno di una soluzione più flessibile e adatta alle sue specifiche esigenze economiche e sociali.

La Germania, al contrario, ha scelto di sostenere le proprie imprese attraverso debiti non vincolati, ignorando il PNRR. Ha fornito dieci miliardi di euro di denaro pubblico a Lufthansa e ha nazionalizzato la sua più grande azienda energetica. Inoltre, ha sostenuto le piccole e medie imprese con obbligazioni statali, un approccio che l’UE ha generalmente proibito, ma che la Germania ha aggirato trasferendo le obbligazioni sulle aziende di stato, creando così “obbligazioni aziendali”.

Con questo sistema Berlino ha potuto evitare di caricare il debito grazie ad una legge ad hoc, impianto legislativo che la Ue non ha mai impugnato, benché permetta palesi aiuti di stato.

L’approccio del PNRR, caratterizzato da un sistema iperburocratico e da obblighi “casalinghi”, non sembra essere la soluzione più efficace per l’Italia. In effetti, una soluzione più semplice potrebbe essere quella di congelare il contributo netto versato all’UE, una strategia che richiederebbe un esercizio di leadership politica e gestione statale. Inoltre, sarebbe più utile finanziare settori chiave come l’istruzione e la sanità con debiti, dato che questi settori hanno subito tagli significativi a causa dei vincoli di bilancio dell’UE.

La lezione da trarre potrebbe essere che in tempi di crisi, soluzioni più flessibili e meno burocratiche potrebbero essere più efficaci per sostenere la ripresa economica.

Tuttavia, nonostante le criticità del PNRR in Italia, altri paesi come la Romania, la Spagna, la Germania, la Francia, i Paesi Bassi e la Polonia qualcuno dirà che hanno implementato con successo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, raggiungendo obiettivi significativi e portando miliardi di euro nelle casse del Paese. Della Germania abbiamo spiegato, degli altri stati non si trova molto, anzi quasi nulla.

La Francia di fatto ha esercitato riforme a debito e gli accordi privilegiati con paesi della sua area coloniale (soprattutto per l’uranio delle centrali nucleari). I francesi non hanno fatto altro che sforare il patto di stabilità, investendo come non ci fossero vincoli. Sul piatto anche i rapporti con il Qatar (che risalgono ad una decina d’anni fa, proprio in concomitanza con l’assegnazione dei contestati mondiali di calcio) e stati come l’Egitto, nonostante le prese di posizione comuni degli uffici esteri Ue.
La Polonia (che stampa ancora moneta) ha più o meno fatto interventi come Usa e Cina (ovviamente sul lungo a danno degli altri Paesi Ue con l’euro), peccato che il mercato comunitario di cui fa parte non sia tarato per queste operazioni.
La Spagna ha continuato con i finanziamenti Ue (che riceve dal 2012 perché economia di seconda fascia,) di fatto non spostando il proprio baricentro economico: i governi di Madrid viaggiano da tempo con il pilota automatico, l’aridità industriale spagnola fa il resto come il crollo della manifattura che appunto non ha ricevuto l’aiuto richiesto.
PNRR assente anche in Romania e Bulgaria, paesi a cui conviene ricevere la contribuzione standard di sviluppo Ue (a cui l’Italia contribuisce con miliardi come terzo attore).
I Paesi Bassi – come anche Portogallo e molti altri – hanno invece cercato di recuperare solo i finanziamenti (minimi) a fondo perduto per sistemare infrastrutture e comprare materiali.
Ci sono poi paesi come la Grecia che hanno preferito infiltrazioni straniere, soldi in cambio d’infrastrutture. Rinnovato il porto del Pireo, Atene lo ha di fatto ceduto ai finanziatori cinesi, respinti dall’acquisizione di Trieste (su pressione tedesca). Perfino uno stato in crisi come quello greco ha preferito non rischiare con il Pnrr, considerato un piano abbastanza inutile per la Grecia.

Ma c’è un punto cruciale che non possiamo ignorare: i fondi del PNRR non possono essere utilizzati per assumere o formare lavoratori, due aspetti fondamentali per la ripresa economica e sociale di un paese. Questa limitazione rappresenta un ostacolo significativo per l’Italia, che ha bisogno d’investire in risorse umane per garantire una ripresa sostenibile e duratura. Invece di imporre vincoli burocratici e obiettivi irraggiungibili, l’UE dovrebbe consentire agli Stati membri di utilizzare i fondi del PNRR in modo più flessibile, adattandoli alle esigenze specifiche di ciascun paese.

Keypoints

  • Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) in Italia si è rivelato più un fardello politico che una soluzione efficace, aggravando il debito del paese
  • Le regole del PNRR, stabilite dalla Commissione Europea, non permettono il rinnovo del prestito, rendendolo un debito tossico per l’Italia
  • L’approccio del PNRR ha imposto vincoli burocratici e obiettivi irraggiungibili, ostacolando la crescita economica e limitando gli investimenti in settori cruciali come l’istruzione e la sanità
  • La Germania ha scelto di sostenere le sue imprese attraverso debiti non vincolati, ignorando il PNRR, e ha adottato un approccio più flessibile nel fornire aiuti di stato

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