È arrivato il via libera in Conferenza Stato-Regioni per la definizione dell’assetto della Rete Nazionale Tumori Rari (RNTR). La Rete, articolata nelle tre “famiglie” di tumori rari (solidi rari dell’adulto, oncoematologici dell’adulto e pediatrici) prevede la sua complessa attività in centri individuati secondo specifici criteri già definiti in precedenza, che riguardano l’elevato standard di cure garantito, la capacità di collaborare in tutti i casi trattati con almeno un centro provider all’interno della Rete e l’interesse ad occuparsi della “famiglia” di tumore raro di riferimento, maturando nel tempo un expertise specifico al riguardo. L’istituzione della Rete Nazionale Tumori Rari ha potuto contare sul grande lavoro svolto e sui risultati raggiunti dalla Rete Nazionale Malattie Rare (RNMR), nell’ottica di un’integrazione sempre più frequente e diffusa tra le equipe multidisciplinari, con l’obiettivo di soddisfare i bisogni specifici di ogni paziente.
La RNMR, infatti, è stata istituita già nel 2001, e in questi anni si è sviluppata capillarmente sul territorio nazionale grazie al modello Hub&Spoke, che prevede la presenza di un Centro Interregionale di Riferimento in ogni regione, a sua volta collegato ai diversi presidi sanitari, chiamati Centri di diagnosi e cura. La struttura della Rete consente dunque la collaborazione continua tra i diversi centri e tra esperti che, grazie a competenze multisettoriali, contribuiscono alla definizione di diagnosi accurate, specifiche per singolo paziente e veloci. Questo consente, dunque, una presa in carico più rapida e personalizzata, e soprattutto permette alla persona affetta da malattia rara di essere curata vicino a casa. Inoltre, grazie alla RNMR è stato possibile in questi anni per le regioni produrre dei registri regionali, che sono utili sia in termini di monitoraggio sia per quanto riguarda una gestione efficace della spesa sanitaria.
Per tutti questi motivi la Dott.ssa Rita Treglia, Segretario di UNIAMO, Federazione Italiana Malattie Rare, è convinta di come sia la Rete Nazionale Tumori Rari, sia le diverse Reti Oncologiche regionali, siano chiamate a replicare il virtuoso modello della RNMR, a sua volta collegata a livello europeo con le European Reference Networks fo rare diseases (ERN).
Segretario Treglia, in questi giorni è arrivato l’ok della Conferenza Stato-Regioni sull’assetto della Rete Nazionale Tumori Rari. Quanto è stato utile, in questo senso, il lavoro già fatto per la Rete Nazionale Malattie Rare?
Non è un caso che la struttura della Rete Nazionale Tumori Rari abbia come modello organizzativo quello delle ERN. Dunque, il lavoro che ha fatto al momento AGENAS – Agenzia Nazionale Servizi Sanitari Regionali – è stato quello di individuare quei centri che diventeranno o HUB o SPOKE sulla base degli stessi criteri di riferimento usati per entrare a far parte delle ERN. Ad oggi sappiamo, come mi ha confermato la Dott.ssa Manuela Tamburo De Bella – coordinatrice della Rete presso AGENAS – che si è arrivati a questa identificazione, però manca ancora l’attivazione vera e propria, che potrà partire con questo accordo. Già però qualcosa in questi anni è stato fatto. Ad esempio, per quanto riguarda i tumori solidi nell’adulto, è già attiva un’organizzazione molto simile a una Rete, che fa capo al Prof. Paolo Casali dell’IRCCS Istituto Nazionale Tumori e che può contare su circa 200 healthcare provider (HCP). In questo caso è già attiva una collaborazione permanente tra i diversi centri. Ovviamente, non si occupano di tutti i tumori rari, ma di quelli nell’ambito dei tumori solidi: non ci sono dunque gli ematologici e i pediatrici, che verranno integrati dalla nuova Rete, e mancano quelli familiari. Alcuni centri avevano già partecipato alla prima call ERN, e dunque rispondevano già a quel tipo di organizzazione e modello, e avevano già la propensione a lavorare in quel modo.
Quale sarà, dunque, la struttura della Rete Nazionale Tumori Rari?
La struttura sarà simile a quella delle ERN, sul modello Hub&Spoke. Avremo un grande centro di riferimento, che è collegato con degli SPOKE con l’obiettivo di rispondere a requisiti ben precisi: innanzitutto avere una presa in carico multidisciplinare, che è un’esigenza sollevata dai pazienti e dalle associazioni per arrivare a una diagnosi veloce. La parte critica è proprio quella relativa all’istopatologico: ad esempio nella rete dei tumori solidi è già attivo il trasferimento fisico del preparato istopatologico, questo consente una diagnosi certa, che è la cosa più importante. Una volta che si ha una diagnosi certa, la rete consente una presa in carico molto rapida che, come anticipato, è multidisciplinare. Dunque, c’è una discussione di diversi esperti sul caso specifico, che può avvenire anche in collegamento da remoto.
L’obiettivo è quello di andare sempre più incontro ai bisogni dei pazienti, al territorio e poter sviluppare reali interventi di medicina personalizzata?
Nel caso dei tumori rari le linee guida hanno peculiarità diverse da quello di un tumore non raro: stiamo parlando di poche casistiche, e dunque il consenso medico deve essere davvero condiviso, multidisciplinare e multi-specialistico. Inoltre, l’evidenza che si nota su una persona in merito a un trattamento, può aiutarne un’altra e dunque è evidente che soprattutto per i tumori rari ci debba essere una rete di esperti che comunica costantemente. La presa in carico olistica significa anche sapere dove abita una persona e poter arrivare lì. Non si può ragionare per silos, perché tra un silos e l’altro il paziente cade. Anche il fatto stesso di rimanere in casa non è solo una diminuzione della spesa sanitaria, ma anche e soprattutto un miglioramento della qualità della vita della persona, dal punto di vista psicologico, e anche per la famiglia che si sente maggiormente protetta. Una rete di tumori rari consente di rimanere quanto più vicino alla propria casa, perché c’è una collaborazione fattiva dei centri e le informazioni viaggiano veloci; dunque, ad esempio, c’è anche una maggiore possibilità per il paziente di entrare nei trial.
Sarà fondamentale, dunque, anche l’integrazione con la Rete Nazionale Malattie Rare e con le Reti Oncologiche Regionali, che però sappiamo non essere ancora attive in tutte le regioni.
Assolutamente sì. Alcune regioni sono organizzate con i modelli Hub&Spoke, altre hanno un’organizzazione ancora sulla carta e stanno faticando ad attivarsi. Uno dei pericoli è proprio questo, cioè che ci sia una Rete dei tumori rari staccata dalle reti oncologiche e dalla rete Malattie Rare. L’integrazione è davvero necessaria, per creare momenti comuni di lavoro tra i coordinamenti, ma soprattutto è importante poter contare sullo stesso modello. Se il modello delle ERN è un modello che funziona e che è stato premiato in Europa, è importante che venga utilizzato anche per tutte le Reti Oncologiche Regionali. Un modello efficiente e sostenibile anche a livello economico, oltre che efficace dal punto di vista sanitario. Un modello che è virtuoso anche nel suo ruolo di formazione e informazione tra le diverse strutture, che quindi possono garantire standard di qualità elevati. Un nodo del sistema della Rete Nazionale Tumori Rari, però, è non aver considerato le quattro European Reference Network lasciando di fatto fuori l’ERN Genturis, ossia i tumori rari eredo familiari. Quello che ci auspichiamo, come UNIAMO, è che si trovi un modo celere per riconoscere la valenza anche della rete Genturis nella rete tumori rari.
Nel PNRR sono previsti finanziamenti per programmi di ricerca sui tumori rari. Quanto è importante la ricerca sul tema? Si sta facendo abbastanza?
Sappiamo che le opportunità di ricerca, in termini di finanziamenti, per le malattie rare non sono moltissime, abbiamo invece più investimenti nei tumori. Quello che bisogna fare è incentivare la ricerca nei tumori rari, verso i tumori “negletti”, quelli che sono meno studiati. Non credo che i tumori rari siano differenti dalle malattie rare e non a caso la Rare Cancer Agenda 2030 afferma che i tumori rari sono le malattie rare dell’oncologia. Proprio per indicare che si ha necessità di farmaci, di sperimentazione, di trial e di pazienti che siano formati e in grado di dare un input verso la ricerca.