«L’innovazione è una dimensione necessaria all’interno di un mondo complesso come il sistema sanitario. Bisogna coltivare però il terreno su cui mettere il seme dell’innovazione affinché possa germogliare». E per fare questo, secondo Mattia Altini, è fondamentale la capacità di leadership e di visione della direzione medica di un presidio o di un’unità complessa di un ospedale. «Perché l’innovazione è il passaggio successivo alla visione di miglioramento delle attività cliniche, assistenziali, delle cure…».
Laurea in Medicina e Chirurgia, specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Dottorato in Medicina del Lavoro e Sanità Pubblica. Poi dalla clinica al management. Il corso “Quality Management in Health Care” alla Harvard Businees School di Boston, il Master in Amministrazione dei Servizi Sanitari all’Università di Montreal e ancora il Master in Promozione e Governo della Ricerca nelle Aziende Sanitarie all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Mattia Altini è Presidente della Società Italiana di Leadership e Management in Medicina (SIMM) e Direttore dell’Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna.
Cosa l’ha spinta dal prendersi cura del paziente al prendersi cura dell’ospedale?
«Durante il mio percorso all’Università di Bologna ho fatto parte degli organi di rappresentanza degli studenti e mi sono appassionato alla cura delle organizzazioni, all’idea che qualcuno lavorasse affinché la collettività dei professionisti potesse lavorare bene per mettere a terra le migliori energie. Da quella esperienza ho maturato la volontà, come dice mia figlia, di curare l’ospedale invece di curare le persone».
Quali sono le principali leve dell’innovazione in ambito sanitario che possono innescare reali miglioramenti?
«Innanzitutto l’ammodernamento dei modelli organizzativi. Mentre i valori della Legge 833 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale sono immutati, valgono oggi come nel 1978, le forme con cui dobbiamo rendere esigibili quei valori devono essere ammodernate: devono evolvere insieme all’evoluzione delle conoscenze in campo medico. Innovazione significa in fondo cambiare la forma con cui facciamo le cose.
Un esempio di tutto ciò è la riforma dell’emergenza-urgenza che abbiamo condotto in Emilia-Romagna, modificando l’approccio della continuità assistenziale della guardia medica. Un modello che era cristallizzato dall’inizio della riforma del Sistema Sanitario Nazionale e il più grande rischio è adagiarsi: non riuscire a immaginare qualcosa di nuovo.
Il cambiamento significativo che abbiamo apportato ha a che fare con la divisione dei percorsi dei bisogni tempo dipendenti, quindi infarto e ictus – che devono trovare una risposta entro un tempo standard per avere successo e sono patrimonio dell’emergenza-urgenza, sono bisogni per cui bisogna recarsi al pronto soccorso – da altre categorie di bisogni non tempo dipendenti, che possono trovare una risposta anche non specialistica, di prossimità, senza lunghe attese.
In pratica, riformando la continuità assistenziale abbiamo definito delle strutture territoriali, i Centri di Assistenza e Urgenza (CAU), destinati alla gestione di bisogni a bassa complessità clinico assistenziale dove personale sanitario non specialista si fa carico delle cure primarie.
In questo saremo aiutati dal 116117, Numero Unico europeo per l’accesso alle cure mediche non urgenti e a altri servizi sanitari territoriali a bassa priorità di cura, che vorremmo che i tutti cittadini usassero con la consapevolezza di trovare personale dedicato, capace di indirizzarli verso il percorso dell’emergenza o dell’attività programmata, quindi verso il pronto soccorso o verso il CAU116117».
A proposito di presa in carico dei malati e di sostenibilità del SSN, è necessario anche identificare modelli innovativi di governance delle malattie cronico-degenerative, sempre più diffuse nella popolazione.
«Certamente, parliamo del 40% circa della popolazione italiana. Le malattie cronico-degenerative rappresentano un carico importante in termini di volumi e bisogni, carico che non può che essere parte del grande disegno innovatore del DM 77 che introduce il modello organizzativo delle Case della Comunità.
Ma anche un approccio normativo nuovo ha bisogno di essere declinato sulla realtà e per gestire il cronico in modo diverso bisogna immaginare un modo diverso di relazione tra gli specialisti e la medicina generale: bisogna far sedere gli attori intorno a un tavolo comune e cambiare la formula con cui dialogano e cercare di spostare verso il territorio, verso le cure primarie, gran parte delle attività che oggi svolgiamo in ospedale».
Quanto è importante la leva del digitale per innovare il sistema?
«Il digitale probabilmente è l’unico strumento che ci consentirà di aumentare il rendimento delle performance del sistema sanitario senza aumentare i costi del personale: è uno strumento talmente potente da consentirci di fare più cose con le stesse persone.
Uno in particolare dei tanti strumenti che ci mette a disposizione la tecnologia digitale, mi riferisco al teleconsulto, consente di mettere in relazione i medici con specialità e punti di erogazione diversi, come per esempio il medico di medicina generale e lo specialista, fornendo una leva formativa di comunità professionali con esiti positivi per il cittadino».
Anche l’Intelligenza Artificiale sarà sempre più uno strumento nelle mani di chi come lei deve “curare” l’ospedale per efficientarne la gestione.
«L’Intelligenza Artificiale è uno strumento molto potente perché può automatizzare alcune valutazioni che prima necessitavano di molto tempo ed energie. Se usata con attenzione, sarà un ausilio fondamentale, poiché si governa ciò che si misura. E se non si è in grado di raccogliere dati e analizzare le dinamiche, non si è nemmeno capaci di portare un pensiero innovatore. E poiché l’Intelligenza Artificiale è uno strumento che aiuta ad analizzare quantità di informazioni complesse e rilevanti, potrà contribuire a promuovere l’innovazione organizzativa, tecnologica, professionale».
A proposito di innovazione organizzativa, che dire della programmazione sanitaria?
«La programmazione è l’esito dell’analisi dei bisogni dei cittadini, a livello nazionale, regionale e locale. Credo che non ci manchino le informazioni necessarie per inquadrare i bisogni della popolazione: sappiamo bene cosa dovremmo fare. Il problema è riuscire a fare, quindi a trasformare in azioni concrete ciò che sappiamo che è bene fare. Per la parte attuativa dobbiamo essere in grado di immaginare una flessibilità dei nodi erogativi, penso alla Casa della Comunità, al territorio, all’ospedale, in modo da collocare il bisogno giusto nell’asset assistenziale giusto. E per fare questo abbiamo bisogno di risorse umane capaci di farlo, perché il primo cambiamento è generato dalle persone. Su questo, però, dobbiamo fare ancora molto. Perché gli strumenti formativi a nostra disposizione per costruire classe dirigente, responsabilità, leadership e capacità di innovare sono ancora deboli. E invece sono fondamentali per costruire il futuro. Non possiamo cioè immaginare di avere il distretto sanitario con un ruolo chiave nella programmazione e nello svolgimento dei servizi sanitari e non avere un percorso formativo per formare il Direttore del distretto: l’impalcatura così rischia di franare».
A proposito di questo, in che modo SIMM è un interlocutore del Servizio Sanitario Nazionale?
«La SIMM, con la mia presidenza, si è posta al servizio del SSN e svolge l’azione di confederare e lavorare insieme con le società scientifiche dei colleghi clinici, per raccogliere bisogni, istanze, riflessioni, e cercare di cross contaminarci in modo di immaginare insieme un futuro più aderente ai bisogni dei cittadini e più appassionante per i professionisti della salute».