L’innovazione è indispensabile per migliorare. E per innovare bisogna avere il coraggio di cambiare. Ma il cambiamento va programmato, attraverso un processo partecipativo, e va gestito e pubblicamente rendicontato.
Su questi principi si fonda l’impegno di Antonio Davide Barretta, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Siena.
«Il “si è sempre fatto così” – dice – in sanità non funziona, perché il contesto evolve e solo innovando si può migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi offerti».
Ordinario di Economia aziendale all’ateneo senese, di cui è stato Direttore Amministrativo dal 2009 al 2010, e già Direttore Generale della Regione Toscana, dal 2010 al 2020, Antonio Davide Barretta è il nostro innovatore del mese.
Professore, quali sono i principali obiettivi che si è posto come Direttore dell’Aou senese?
«Gli obiettivi strategici che ci poniamo, e che tengono conto degli obiettivi regionali, nascono da un percorso partecipativo, con i sindacati, il comitato di partecipazione aziendale, il mondo del volontariato. Da questi momenti di confronto allargato emergono proposte che si traducono in obiettivi. Un obiettivo prioritario è il miglioramento costante dei percorsi di cura. E a tal fine, stiamo cercando di prestare sempre più attenzione anche agli aspetti relazionali della cura: perché il tempo della relazione è esso stesso tempo di cura. Altro obiettivo che perseguiamo con diverse iniziative e strategie aziendali è la valorizzazione del personale, per fronteggiare il problema della ridotta attrattività delle professioni sanitarie e l’emorragia verso il privato. Inoltre abbiamo avviato la ristrutturazione della struttura ospedaliera, e grazie a una partnership pubblico-privato stiamo investendo 20 milioni in efficientamento energetico».
A proposito di innovazione, come innovare al fine di salvaguardare la sanità pubblica?
«L’innovazione in ambito sanitario deve mettere al centro le esigenze dei pazienti e dei loro familiari. Per questo è fondamentale l’ascolto e la condivisione: l’ascolto dei pazienti e il coinvolgimento del mondo del volontariato e dei nostri professionisti. Potrà sembrare scontato, ma bisogna partire dalla consapevolezza che innovare implica cambiare, andare oltre lo status quo. Il “si è sempre fatto così” in sanità non funziona: perché chi sta fermo in realtà va indietro se non è pronto a cogliere i benefici che derivano dalle innovazioni terapeutiche, tecnologiche e di processo. La nostra è un’azienda Ospedaliero-Universitaria, il che vuol dire che ci occupiamo anche di ricerca applicata all’ambito medico e cerchiamo di trasferire i risultati delle scoperte scientifiche nella pratica clinica. Detto questo, l’Italia deve fronteggiare una cronica carenza di finanziamenti destinati alla sanità pubblica: noi cerchiamo di impiegare le risorse al meglio, dato che l’efficienza nell’uso delle stesse è condizione fondamentale per offrire più servizi a parità di risorse. Saremmo tutti più soddisfatti se ci fossero più risorse per il sistema sanitario pubblico, nel frattempo abbiamo il dovere morale di usare ciò che abbiamo nel modo più efficiente possibile».
In effetti, dalla scarsità di risorse alla carenza di medici, dai lunghi tempi di attesa ai Pronto soccorso affollatissimi, oggi la sanità pubblica si trova a dover fronteggiare non pochi problemi. Quali sono, secondo lei, i driver per innescare reali miglioramenti?
«Servono sforzi organizzativi importanti. Noi, per esempio, per gestire al meglio le liste d’attesa, da tempo ormai monitoriamo le attività ambulatoriali e chirurgiche e questo monitoraggio ci consente di governare al meglio le priorità e usare meglio le risorse per far sì che l’offerta sia allineata quanto più possibile alla domanda. Grazie a questo, per esempio, il 90% degli interventi chirurgici oncologici viene eseguito entro trenta giorni. Se non c’è una regia efficace non si possono dare risposte tempestive ed efficaci. Un altro esempio di come fronteggiamo le liste di attesa è la ricerca del giusto equilibrio tra attività istituzionale e attività in intramoenia: nell’azienda che dirigo l’attività istituzionale rappresenta il 90% delle prestazioni effettuate e solo il 10% viene erogato in intramoenia. E quelle rare volte che un singolo professionista offre più prestazioni in intramoenia di quelle offerte per il SSN, interveniamo al fine di riequilibrare.
Sul fronte del Pronto soccorso, la gestione infermieristica dei codici minori e l’assunzione di nuovi medici specializzati in medicina dell’urgenza e di infermieri, grazie a una capacità di assunzione ancora residua, ha consentito di migliorare i tempi di attesa. Il Pronto soccorso è la porta di accesso dell’ospedale e deve essere curato con attenzione. Noi abbiamo lavorato molto anche in sinergia con il volontariato del trasporto sanitario: abbiamo istituito un tavolo di confronto per capire cosa fare per migliorare complessivamente il servizio, ragionando come un team e non come fazioni contrapposte. E dal confronto sono nate idee che hanno effettivamente migliorato il servizio».
Quali per esempio?
«Durante il Covid c’era il problema delle barelle da sanificare e i conseguenti tempi di attesa. Abbiamo allora deciso di comprarne alcune in modo da liberare prima gli equipaggi, trattenendo le loro barelle per l’opportuna sanificazione e dando loro le nostre. Una piccola innovazione, in fondo, che ha consentito anche di accelerare la dismissione dal nostro ospedale dei pazienti non autonomi. Ma a proposito dei driver che possono innescare reali miglioramenti, non sottovalutiamo l’importanza della fiducia».
Cioè?
«La fiducia è fondamentale. È fondamentale che i pazienti abbiano fiducia nell’azienda sanitaria. È importante che una volta definite le strategie aziendali il grado di conseguimento delle stesse venga puntualmente rendicontato. Ed è fondamentale alimentare la fiducia tra professionisti di discipline diverse. Alcune patologie non sono di competenza di un solo professionista, ma è determinante un approccio multidisciplinare per l’efficacia del percorso di cura. Noi, per esempio, siamo un centro di riferimento per il trapianto di polmone ed è indispensabile che l’equipe di chirurgia toracica lavori in concerto con la pneumologia, la diagnostica per immagini, la psicologia, ecc. In altre parole, è determinante riuscire a fare rete. Io credo molto nel gioco di squadra e nel confronto, all’interno della stessa azienda sanitaria e tra diverse aziende sanitarie. Perché credo che si possa innovare anche non necessariamente inventando qualcosa di nuovo ma replicando buone pratiche altrui adattandole alle peculiarità del proprio contesto».
Direttore non possiamo non parlare dell’innovazione digitale: telemedicina e Intelligenza Artificiale possono rivoluzionare l’assistenza sanitaria.
«Sicuramente e per questo da diversi anni si guarda alle applicazioni dell’intelligenza artificiale in ambito medico e ai benefici della telemedicina, che ha fatto un balzo in avanti con il Covid. Per una diffusione capillare di queste innovazioni è importante la formazione della classe medica, l’acquisizione di competenze nuove. L’attuale dibattito sull’intelligenza artificiale, però, secondo me non dovrebbe sottovalutare il contributo che l’IA potrà dare alla qualità degli aspetti relazionali della cura: l’auspicio è che possa diventare un ausilio, una leva, uno strumento che consente al medico di risparmiare tempo per elaborare, per esempio, una diagnosi o identificare il percorso terapeutico più adeguato. Tempo da investire nella cura della relazione medico-paziente»