Elisabetta Iannelli: "Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro"

Elisabetta Iannelli: “Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro”

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Angelica Giambelluca

Perché l’abbiamo scelta
Elisabetta Iannelli ha fatto del suo percorso di paziente, una strada per il riconoscimento della disabilità oncologica a livello nazionale, scrivendo testi che ancora oggi sono un riferimento per i diritti delle persone con il cancro, e facendo approvare leggi per la tutela sociale di chi convive con questa malattia.

L’innovatrice del mese di novembre è Elisabetta Iannelli. Avvocato, 55 anni, da 30 convive con una patologia oncologica che tra momenti di stasi e brutte recidive, non l’ha mai fermata. Si è laureata in giurisprudenza mentre si sottoponeva a estenuanti sedute di chemioterapia, perché studiare per lei significava continuare a vivere. All’inizio membro AIMAC (Associazione Italiana Malati di Cancro) poi entra nel direttivo FAVO (Federazione Italiana Associazioni Volontariato in Oncologia)  e mette a disposizione dell’associazione e di tutti i pazienti oncologici italiani la sua esperienza: dal libretto sui diritti del malato oncologico fino alla legge sul diritto all’oblio, Iannelli, insieme alle persone con cui lavora ogni giorno, ha segnato una svolta nel riconoscimento della disabilità oncologica, ottenendo per questo il titolo di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana. Una paziente che ha deciso di trasformare il suo percorso di malattia in un percorso di svolta per tutti coloro che vivono questa esperienza.

Elisabetta, partiamo dall’inizio, dalla tua diagnosi di cancro

Ho ricevuto la diagnosi a 24 anni, mentre stavo completando gli studi universitari: tumore al seno, non ancora metastatico, anche se aveva preso alcuni linfonodi. La diagnosi ha cambiato il corso dei miei programmi di vita: ho dovuto interrompere momentaneamente gli studi per curarmi, ma non li ho abbandonati. Ho continuato a dare esami anche durante le chemio. Non ho permesso al tumore di prendersi la mia vita o i miei impegni.

Ma la diagnosi è stata uno shock, ero poco più che ventenne. La malattia, però, ha tirato fuori risorse impreviste ed incredibili. Il mio motto, pensato d’istinto tanti anni fa, è stato: “Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro”. Descrive bene tutta la mia esperienza successiva. Mi ero già fidanzata, ci siamo sposati un anno dopo la diagnosi. Il tumore si è ripresentato violentemente sette anni dopo, con metastasi in organi vitali. E sono tutt’ora in cura, si può dire che il mio tumore si sia cronicizzato, non sono ancora guarita.

Quali difficoltà hai incontrato all’università e nella carriera per la tua condizione di paziente oncologica?

Tante piccole cose che mi hanno fatto comprendere quanto lavoro ci fosse da fare per far valere i diritti delle persone con disabilità, e quanto la disabilità oncologica, nello specifico, non fosse proprio riconosciuta. Ad esempio, chiesi di poter spostare una sessione d’esami perché cadeva nei giorni in cui stavo male per le chemio. Alcuni colleghi insinuarono che volessi essere avvantaggiata e che volessi impietosire “con quel turbante in testa”. Mi sono sentita umiliata: per me dare quell’esame significava dimostrare di essere viva nonostante il cancro.

Com’è nato il tuo impegno per i diritti dei malati oncologici?

C’è un aneddoto che credo abbia dato il via a tutto questo. Ero andata allo sportello Asl per informarmi sui miei diritti (esenzioni, invalidità, handicap e altro) e ricordo che l’impiegato, per rispondermi, prese una fotocopia di un articolo di giornale che aveva conservato e dove si riassumevano i diritti delle persone disabili. Non c’era altro, l’impiegato della Asl usava un articolo di giornale per offrire risposte che avrebbe dovuto conoscere. Capii che a livello di informazione non c’era nulla, si parlava di come diagnosticare e curare il cancro, ma nessuno parlava di come poterci convivere. Da lì è nata l’idea di far conoscere i diritti delle persone con tumore in modo approfondito e con un linguaggio semplice. Nel 2003, ho pubblicato per AIMAC il primo libretto sui diritti dei malati di cancro (quattordici edizioni a oggi, ndr). Da lì è iniziato un processo lungo, che ancora deve concludersi, se mai si concluderà. Perché oltre alla mancanza di informazione sui diritti, noi non avevamo nemmeno i dati sui guariti, solo sugli ammalati, morti e neo-diagnosticati. Il concetto che dal cancro si potesse guarire non era contemplato! Dieci anni fa con FAVO e AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori) abbiamo ottenuto la pubblicazione del primo dato sui guariti dal cancro. Sempre come FAVO (che raccoglie centinaia di associazioni) abbiamo fatto approvare altre leggi come quella per l’accertamento tempestivo della disabilità oncologica e quella per concedere il part time ai pazienti oncologici, che poi ha fatto da apripista per altre patologie croniche gravi e per i caregiver.  Ora puntiamo alla legge sull’oblio oncologico, già passata alla Camera e in attesa di approvazione definitiva in Senato: sarà una tappa cruciale per il riconoscimento sociale oltre che clinico della guarigione.

In cosa consiste il diritto all’oblio oncologico?

Con questa legge, le persone guarite da più di 10 anni (o da 5 anni se la patologia è insorta prima dei 21 anni) non saranno più tenute a dichiarare la pregressa malattia. Non potrà più entrare nella valutazione per l’accesso ad assicurazioni, mutui, adozioni o lavoro. Questo avrà effetti di rilancio sociale ed economico, restituendo piena cittadinanza a chi ha vissuto il cancro. Soprattutto, si afferma che si può guarire e questo è un messaggio di speranza per chi è malato. Serve un cambiamento culturale prima ancora che giuridico sul tema della guarigione. Ad oggi molte aziende nell’ambito assicurativo e finanziario privato chiedono se si è avuto il cancro negli ultimi dieci anni, segno che sta cambiando la sensibilità, mentre in altri enti pubblici, come le Poste, ancora oggi nei moduli per accedere a prestiti o assicurazioni chiedono genericamente se hai avuto un tumore, senza data. E se rispondi sì, anche se lo hai avuto 20 anni fa e sei guarito, ti fermano la pratica. Questa legge serve infatti a tutelare soprattutto chi ha avuto il cancro da bambino e da giovane, persone oggi marchiate a vita che non possono accedere a mutui o altre agevolazioni.

Quali sono le principali criticità ancora irrisolte nell’ambito dei diritti dei malati oncologici?

Rimangono scoperte le persone non ancora guarite, soprattutto per l’accesso ad assicurazioni e mutui. Avevamo proposto una valutazione caso per caso dei rischi, ma il dialogo con ANIA (Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici) si è interrotto. E pensare che invece a livello globale, i gruppi che riassicurano le compagnie di assicurazione proprio per casi come questi, hanno tabelle molto dettagliate per la valutazione del caso singolo. Segno che, se c’è la volontà, si può fare tutto.

Per questo motivo, dopo la legge sull’oblio, vorrei tornare ad occuparmi  di chi ancora ci convive con il cancro. Serve una legge complessiva per la tutela sociale di queste persone, fino ad oggi abbiamo declinato le normative esistenti per gestire le varie tutele, ma credo sia utile una legge come quella del 1970 sul  miglioramento delle prestazione economiche a favore dei cittadini colpiti da tubercolosi.

Tornando a te e a come hai affrontato la tua vita, cosa consiglieresti ai giovani che oggi ricevono una diagnosi oncologica?

Le persone che ricevono una diagnosi decidono di reagire in diversi modi. Chi si lascia andare, chi prova a dare un senso a quanto successo. Io ho scelto questa seconda strada e la consiglio, se possibile. Consiglio di non lasciare che il cancro si prenda la tua vita. Di continuare a coltivare passioni, relazioni, progetti. Di circondarsi dell’affetto delle persone care. Di informarsi sui propri diritti e possibilità. Di credere nella scienza e nelle proprie risorse interiori. Di trasformare la malattia in battaglia e in messaggio di speranza per gli altri. Di non arrendersi mai: la vita può sempre sorprenderci.

Keypoints

  • Elisabetta Iannelli, la nostra innovatrice del mese di novembre, ha ricevuto una diagnosi di cancro a 24 anni, mentre stava completando gli studi, ma non ha permesso alla malattia di fermare i suoi progetti, continuando anche a dare esami durante le chemio
  • Ha incontrato difficoltà e mancanza di riconoscimento della disabilità oncologica all’università e nel lavoro. Questo l’ha spinta ad impegnarsi per far valere i diritti dei malati oncologici
  • Nel 2003 ha pubblicato il primo libretto sui diritti dei malati di cancro, poi con l’associazione FAVO ha contribuito a far approvare leggi per la tutela dei diritti dei pazienti
  • Ora è in attesa dell’approvazione della legge sul diritto all’oblio oncologico, che permetterà ai guariti da oltre 10 anni di non dichiarare più la pregressa malattia
  • Rimangono ancora criticità da risolvere, come la tutela dell’accesso ad assicurazioni e mutui per i malati non ancora guariti
  • Consiglia ai giovani malati di non lasciare che il cancro si prenda la loro vita, di circondarsi di affetti, informarsi sui diritti, credere in sé stessi e trasformare la malattia in una battaglia di speranza

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