«Non c’è cura senza ricerca». Appassionata e appassionante, a tratti ironica, decisamente coinvolgente: la lectio magistralis di Elena Cattaneo ha aperto la seconda giornata del 63° Simposio AFI. Una lectio che ha tessuto magistralmente un filo rosso tra la determinazione e la genialità di Rita Levi Montalcini e l’intuizione e la perseveranza di Katalin Karikó, tra il lavoro straordinario e pionieristico di Michele De Luca e Graziella Pellegrini e quello di chi, ogni giorno, fa sì che la ricerca e lo sviluppo diventino una cura.
Storie – ha sottolineato la farmacologa e senatrice a vita dal Palacongressi di Rimini – che testimoniano il coraggio e i continui inciampi a cui va incontro chi affronta la fatica di scalare un gradino in più nella scala della conoscenza, e innovare. Storie che hanno in comune il metodo: quello scientifico, sperimentale, trasparente, verificabile e ripetibile, quale modalità regina per capire come stanno le cose intorno a noi, per produrre mattoni di conoscenza con cui edificare la nostra società, libera e democratica. E un futuro migliore.
«È un onore – ha affermato in apertura Giorgio Bruno, Presidente AFI – iniziare la giornata con la lectio della Professoressa Cattaneo: una panoramica sul mondo della ricerca, quella ricerca che ci dà la possibilità di lavorare sui farmaci».
Dalla ricerca alla cura
Ed è proprio sottolineando l’importanza della ricerca e delle fatiche insite nel lavoro di chi si adopera per far sì che dalla ricerca si arrivi a una cura che Cattaneo ha iniziato il suo intervento.
«Spesso non riusciamo a spiegare le tante competenze e il lavoro, serio e appassionato, che è necessario affinché ricerca e cura si possano realizzare ogni giorno». Un lavoro per lo più ignoto ai non addetti ai lavori. «E quando non c’è conoscenza subentra la diffidenza».
Eppure basterebbe fare un salto indietro nel tempo – «quando non c’era nemmeno un’industria farmaceutica e il cibo era biologico, ma nessuno viveva oltre i 30 anni» – per capire come la ricerca e l’innovazione tecnologica abbiano cambiato la nostra vita.
«Dalla comparsa di Homo sapiens a oggi ci sono state 8.000 generazioni di sapiens» ha ricordato la Professoressa, ma solo negli ultimi 150 anni abbiamo assistito a un cambiamento radicale e «l’aspettativa di vita media è schizzata a 86 anni per le donne e 82-83 per gli uomini».
Dietro tutto questo – ha puntualizzato Cattaneo – c’è la fatica delle generazioni precedenti che hanno reso potabili le acque, sanificato gli ambienti, sono riuscite a produrre cibo per sfamare un numero di persone sempre maggiore; c’è l’avvento delle prime tecnologie (che aprono la mente), la formazione di società organizzate, l’idea che ciascuno con il suo fare e le sue competenze possa contribuire a migliorare la condizione di tutti. E ci sono il nostro Sistema Sanitario Nazionale, i vaccini, gli anticorpi, la medicina, la sperimentazione clinica, la capacità di trasformare la conoscenza e lo studio in applicazioni a beneficio per le persone.
«Così abbiamo conquistato uno stato di salute via via migliore, almeno in questa parte del mondo».
Una storia esemplare: Rita Levi Montalcini
Rita Levi Montalcini è l’esempio paradigmatico, per Elena Cattaneo, della gioia di affrontare, capire, studiare e condividere qualcosa che prima nessuno aveva mai affrontato, studiato, capito e condiviso. Esempio di chi resta in piedi nonostante le difficoltà e «sceglie la terra del no: quel no che ci impone di non accettare condizionamenti e vie privilegiate a danno di altri. Una donna che, in un periodo storico in cui alle donne veniva consigliato di essere donna e madre, ha voluto studiare medicina».
Cattaneo ha raccontato con trasporto e commozione come Montalcini abbia allestito un piccolo laboratorio di ricerca sulla scrivania della sua stanza da letto, a Torino, e sotto le bombe abbia cominciato a condurre quegli esperimenti che l’hanno portata alla scoperta per cui è stata insignita del Premio Nobel: il nerve growth factor (NGF), che è poi diventato un farmaco efficace per le malattie oculari.
Ma non è mancata l’ironia quando ha sottolineato quelle storture burocratiche che complicano oggi la vita di chi fa ricerca: «Rita per comprare il microscopio non doveva richiedere tre preventivi e non doveva fare nessuna dichiarazione di unicità del venditore di uova, quelle uova sui cui lei faceva gli esperimenti, non doveva cercare in tutta Italia un rivenditore di uova ancora più unico e non doveva aspettare settimane per un reagente».
Katalin Karikó: una storia esemplare
Altro esempio di determinazione e perseveranza la storia di Katalin Karikó. «La biotecnologa che ha lasciato l’Ungheria solo con 100 dollari in tasca e 900 nascosti nell’orsacchiotto della figlia» e che oltreoceano ha lavorato sodo fino a sviluppare i vaccini che hanno salvato milioni di vite dal Covid.
«Quando mi iniettavo felice la sua scoperta, pensavo alla sua storia» ha puntualizzato Cattaneo. Alla sua intuizione brillante: usare l’RNA come medicina. E ai 15 anni di esperimenti e fallimenti che hanno segnato la strada verso lo sviluppo dei vaccini a mRNA. «Fallimenti a cui inevitabilmente va incontro chi si spinge alla frontiera di ciò che è noto».
«Storie meravigliose che spiegano il coraggio e la fatica di innovare».
La libertà di ricerca va difesa
Altra parola chiave della lectio magistralis di Elena Cattaneo: libertà. Con vigore Cattaneo ha ribadito l’importanza di difendere la libertà di ricerca, di acquisizione di conoscenza, che ancora oggi non smette di essere sotto attacco. «Perché percepita come un pericolo da regimi e dittature e per questo limitata e ostacolata».
Il pensiero allora è andato a Giulio Regeni: «Uno di noi, un Dottorando dell’Università di Cambdrige, appassionato e dedicato, che con l’arma pacifica del metodo della scienza cercava risposte a domande brucianti e indomabili, forse scomode».
E in proposito ha ricordato l’impegno di Scholar at Risk «network di migliaia di persone e istituti di 39 paesi che aiuta e offre protezione a chi fa ricerca dove le libertà personali e di studiare si restringono».
Una libertà da difendere anche in un paese come l’Italia, «Paese delle eccellenze diffuse, che con pochi investimenti, sempre insufficienti, riesce a formare e a crescere».
L’Italia eccelle per la ricerca biomedica e farmacologica che – ha puntualizzato Cattaneo – «rappresenta un patrimonio inestimabile del nostro Paese, spesso sottovalutato, pericolosamente dato per scontato: noi dobbiamo difenderlo, valorizzarlo e farlo conoscere».
Un elogio della scienza e della conoscenza. «Dobbiamo studiare di tutto, a partire dai dinosauri, e dobbiamo far conoscere quanto complesso e tutelante sia il procedimento che porta all’autorizzazione di un farmaco che in farmacia viene dispensato da persone competenti. A monte c’è un lavoro lunghissimo».
Un’esortazione a farsi forza della scienza e del suo metodo – per costruire un futuro migliore – e a fornire ai cittadini gli strumenti per comprendere la scienza come processo conoscitivo fallibile, contraddittorio, fondato su continui silenziosi fallimenti, ma proprio per questo idoneo a consegnare prove verificabili.
Un monito, il suo, affinché non si ripeta «quell’inganno colossale, il più grande deragliamento della storia del nostro Paese in ambito sanitario degli ultimi 40 anni» ha affermato riferendosi al caso Stamina.
OGM: paradosso italiano
Nel ribadire l’importanza della libertà di ricerca – «non ci può essere alcun limite alla libertà degli studiosi di studiare, se non il requisito di non nuocere agli altri. Non ci può essere alcun timore nel perseguire la conoscenza» – Elena Cattaneo ha evidenziato come in un paese come l’Italia, che era leader nelle biotecnologie agrarie in Europa, una serie di norme abbiano impedito alla ricerca pubblica di studiare, e agli imprenditori di coltivare, piante geneticamente migliorate per resistere a parassiti e a condizioni climatiche sempre più estreme. «I progetti dei nostri ricercatori sono stati chiusi per 25 anni nei cassetti». Con esiti paradossali: in Italia la libertà della ricerca pubblica in questo campo è limitata da oltre vent’anni, ma «10mila tonnellate ogni giorno di mais e soia GM entrano nei nostri porti per nutrire la nostra zootecnia e produrre i nostri prosciutti e formaggi. In altre parole, non li studiamo, ma li mangiamo, non possiamo produrli, ma li importiamo».
E a fronte di queste limitazioni, l’Italia è anche «il Paese che nel 2022 fa fatica a rimuovere da una legge dello Stato sull’agricoltura biologica riferimenti a pratiche stregonesche della biodinamica».
«Il rifiuto dell’innovazione è la grande malattia da combattere che causa arretramenti e dipinge nemici» ha puntualizzato allora la Professoressa: «oggi la carne coltivata è il nuovo nemico».
E se è facile far leva sulla paura di ciò che è nuovo e diverso – «Retaggio della nostra storia evolutiva e della nostra vita tribale» – è sulla conoscenza e la cultura che dobbiamo edificare il nostro presente per progettare un futuro migliore.
«A noi spetta il dovere e la gioia di accudire il nostro Paese e migliorare il mondo: in fondo, è quello che cerchiamo di fare con le nostre professioni ogni giorno» ha concluso davanti a una platea che applaudiva in piedi e a cui ha ricordato l’insegnamento di Rita Levi Montalcini. «Di fronte alle avversità, lei direbbe: scrollatevi di dosso il pessimismo come acqua sulle ali di un’anatra».