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Elio Borgonovi (CERGAS): al nostro Sistema Sanitario serve una cura radicale: «Bisogna iniettare risorse e fiducia nei confronti del sistema di tutela della salute»

Perché ne stiamo parlando
In Italia il finanziamento pubblico per la salute è inferiore alla media europea e dei paesi Ocse. Dalla carenza di risorse all’erosione della fiducia nei confronti della sanità pubblica, dalla possibilità di avvicinare i servizi ai pazienti alla mancanza di infermieri, con Borgonovi riflettiamo su cosa fare per garantire un servizio universalistico, equo e solidale.

Elio Borgonovi (Cergas): al nostro sistema sanitario serve una cura radicale «Bisogna iniettare risorse e fiducia nei confronti del sistema di tutela della salute»
Elio Borgonovi, Presidente, CERGAS Bocconi

Il nostro Sistema Sanitario ha bisogno di una cura profonda e di interventi razionali e costruttivi. Ne è convinto Elio Borgonovi, esperto di management sanitario, in Italia e non solo, e Presidente del CERGAS Bocconi, centro di ricerca multidisciplinare fondato nel 1978, anno di nascita del Servizio Sanitario Nazionale. Un osservatorio sul mondo della salute che si prefigge di orientare al meglio le scelte politiche al fine di gestire in modo efficiente le risorse e garantire a tutti il diritto alla salute.

Professore, come curare il nostro Sistema Sanitario?

«Bisogna ripensarne la struttura di fondo al fine di continuare a perseguire i principi di universalità, equità e solidarietà pensati 46 anni fa.
Il nostro Sistema Sanitario ha bisogno di una terapia innovativa, ha bisogno di essere riprogettato radicalmente, perché in questi anni sono state apportate delle modifiche, ma sono state solo delle pezze, rammendi che hanno messo la toppa a specifiche situazioni senza però sanare e far fronte in maniera organica alle criticità.
Servono dunque interventi puntuali: bisogna affrontare, per esempio, il problema della carenza di infermieri. Se per quanto riguarda la mancanza di medici, nei prossimi anni riusciremo ad arginare il problema, avendo aumentato il numero degli accessi universitari, per attrarre persone alla professione infermieristica bisogna adottare provvedimenti specifici: dalla migliore remunerazione ad accordi con altri paesi, come il Brasile o l’India, per importare personale specializzato».

Il nostro Servizio Sanitario è stato fondato con la Legge 833, che riconosce nella globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza dei trattamenti, rispetto della dignità e della libertà della persona i suoi principi fondamentali e i suoi criteri organizzativi. Abbiamo bisogno di una nuova Tina Anselmi?

«Più che di una nuova Tina Anselmi avremmo bisogno di rimettere al centro del dibattito e dell’agenda politica il valore del servizio pubblico.
Anselmi, che è stata tra gli autori della riforma che ha introdotto il Servizio Sanitario Nazionale, ha agito in un contesto in cui da 20 anni si discuteva di politiche sanitarie. Il primo progetto di riforma dell’ordinamento sanitario italiano fu elaborato dal Comitato di Liberazione Nazionale. Poi negli anni 60 e 70 il dibattito si è focalizzato sui principi universalistici ed egualitari del modello britannico Beveridge rispetto al modello Bismarck dei sistemi di assicurazione sociale. Fino ad arrivare alla proposta che, dietro la firma di Tina Anselmi, ha un percorso di convergenza tra i due partiti più rilevanti dell’epoca».

Anche le riforme sanitarie degli anni Novanta avevano alle loro spalle un dibattito decennale.

Ecco, oggi avremmo bisogno di un dibattito esteso su cosa voglia dire garantire un servizio universalistico, equo e solidale in un contesto completamente diverso da allora.
Un dibattito che vada oltre lo scontro tra Governo e opposizione, capace di alimentare quella cultura necessaria per porre mano al Servizio Sanitario e rivedere le regole del suo funzionamento in modo più strutturale.

In particolare, ritengo che dobbiamo porre delle regole per la gestione universalistica della cronicità. Una cosa, infatti, è pensare all’universalità, quindi ai LEA per le acuzie, altra cosa è garantire l’universalità per le cronicità di una popolazione che invecchia.

Bisogna inoltre ripensare la logica di un Servizio Sanitario che si allarga e si collega all’intervento dei Comuni e deve prevedere la gestione organica di diversi attori: dall’Inps, per persone con disabilità, all’Inail, per chi ha avuto incidenti sul lavoro, ai servizi socio sanitari, per chi ha problemi di salute collegati a condizioni di disagio sociale.

Inoltre, oggi bisogna chiedersi cosa significhi tutelare la salute con le nuove tecnologie, in un contesto digitale che ci consente di portare i servizi verso il paziente. Già cent’anni fa si diceva che il miglior posto della cura è la casa del paziente, ma oggi, quello che allora era un principio, oggi può essere una pratica, perché grazie alle tecnologie digitali si può ridurre l’esigenza di andare in ospedale o in ambulatorio, portando i servizi a casa, in farmacia o nelle Case della comunità, dove medici di medicina generale e pediatri, oltre a poter accedere a diversi strumenti di base per la rilevazione di parametri, potranno contare anche sul supporto dell’Intelligenza Artificiale, che auspicabilmente potrà diventare una sorta di assistente virtuale».

Di quali risorse abbiamo bisogno, in termini di conoscenze, competenze e investimenti, per garantire la tutela della salute in quanto diritto-bisogno della persona e responsabilità sociale nei confronti della comunità?

«Abbiamo bisogno di una formazione continua dei professionisti della salute, una formazione che integri le specializzazioni con una capacità di visione orizzontale, unitaria, olistica.
Faccio un esempio: le reti oncologiche prendono in carico il paziente con vari specialisti, che devono trovare forme per integrare le diverse competenze. La formazione pertanto deve andare oltre la competenza verticale e specialistica, non deve restare a silos, ma favorire il gioco di squadra.
Bisogna inoltre potenziare la formazione delle persone che si fanno carico delle cronicità, potenziare per esempio la geriatria, e valorizzare l’importanza di andare sul territorio, vedere dove vivono i pazienti, andare oltre le mura delle strutture sanitarie. E c’è bisogno di integrare l’uso delle tecnologie avanzate nella pratica clinica. E, se il Paese ha poche risorse da destinare alla sanità, bisogna trovare forme per mettere insieme le risorse della Sanità, dell’Inps e dei Comuni, andando anche in questo caso oltre la logica dei silos, per riuscire a offrire servizi di maggiore qualità».

Di fatto mancano risorse. Come gestirle al meglio, dato che l’efficienza nell’uso delle risorse è condizione per consentire la salvaguardia della salute?

«In effetti dobbiamo prendere atto che in Italia il finanziamento pubblico per la salute è inferiore alla media europea e alla media Ocse. E anche la spesa totale, compresa quella privata, è inferiore alla spesa totale media di Francia, Inghilterra, Germania, che destinano maggiori risorse alla sanità. Che poi, anche con risorse scarse si possa fare di più impiegandole meglio è vero, ma non si devono sottovalutare due questioni importanti».

Quali?

«Innanzitutto c’è un limite al recupero di efficienza e, secondo, per fare meglio anche con poco c’è bisogno di una preparazione adeguata della classe dirigente. Bisogna dunque formare manager specifici per la sanità. Questo vuol dire che la formazione che fanno le Regioni e le varie università, mi riferisco alla formazione di direttori di strutture complesse e di dipartimento, deve valorizzare maggiormente le competenze di management.
E ancora: bisogna rafforzare forme di collaborazione pubblico-privato. Una ricerca condotta da Doxa Pharma, tra le aziende farmaceutiche, evidenzia che il mondo dell’industria sarebbe disposto a intervenire per definire insieme alle aziende sanitarie quello che viene chiamato il Patient Journey. In altre parole, le imprese del Pharma si dichiarano disposte a contribuire nel definire percorsi per la gestione dei pazienti dopo le fasi acute. Si pensi per esempio ai percorsi assistenziali e riabilitativi dei pazienti oncologici. Per riuscirci, però, bisogna scalfire la cultura del sospetto nei confronti di Big Pharma. Perché unire le forze potrebbe fare la differenza nel mettere insieme risorse adeguate. E, a proposito di mettere a sistema risorse e competenze, ritengo determinante rafforzare il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità nel coordinare e mettere a sistema le competenze di Agenas, Ministero della salute, AIFA e Regioni».

Professor Borgonovi, a proposito di Regioni, con il DDL sull’autonomia differenziata rischiano di accentuarsi ancora di più le differenze regionali.

«Esattamente. Dovremo quindi riuscire a trasformare questo in un’opportunità».

Come?

«Rafforzando il coordinamento centrale da parte di Agenas, ISS, AIFA, al fine di far tesoro e mettere in circolo le buone pratiche. La scorsa settimana sono stato a Napoli, alla presentazione della rete oncologica campana, una realtà eccellente, che sarebbe opportuno replicare anche nelle altre regioni. Perché le buone pratiche vanno diffuse. In altre parole, se si andrà verso l’autonomia differenziata, bisognerà bilanciare le differenze regionali attraverso il rafforzamento di un coordinamento centrale, istituendo delle task force che possano supportare le aziende sanitarie o le regioni più deboli. Questo è necessario ogni volta che si decentra, altrimenti si va verso una crescente divaricazione che va a danno di tutti.
E, infine, c’è ancora una questione su cui lavorare».

Quale?

«La fiducia. Perché nel sistema di tutela della salute, la fiducia si è indebolita: la fiducia dei pazienti nei confronti dei medici, quella di medici e infermieri rispetto ai manager, ecc. Ritengo che ricostruire un rapporto di fiducia e trovare forme per alimentarla sia fondamentale».

Come riuscirci?

«Bisogna partire dalla credibilità, dalla trasparenza e dal fare gioco di squadra tra tutte le componenti del sistema. E ai cittadini e alle cittadine bisogna veicolare un messaggio chiave: per fortuna, oggi, nonostante tutte le difficoltà, aumentano le possibilità di cura e di assistenza sanitaria».

Keypoints

  • Elio Borgonovi, esperto di management sanitario, è Presidente del CERGAS Bocconi, centro di ricerca multidisciplinare sul mondo della salute
  • Il CERGAS è stato fondato nel 1978, anno di nascita del Servizio Sanitario Nazionale
  • Secondo Borgonovi è necessario rimettere al centro del dibattito e dell’agenda politica il valore del servizio pubblico
  • Serve formazione continua dei professionisti della salute, una formazione specifica dei manager della salute, c’è bisogno di integrare l’uso delle tecnologie avanzate nella pratica clinica e di rafforzare il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità nel coordinare e mettere a sistema le competenze di Agenas, Ministero della salute, AIFA e Regioni: questi alcuni fattori su cui far leva per sanare il nostro SSN
  • Bisogna trovare forme per mettere insieme le risorse della Sanità, dell’Inps e dei Comuni, andando oltre la logica dei silos, per riuscire a offrire servizi di maggiore qualità

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