Lucia Faccio: Sofinnova Telethon investe nell’eccellenza scientifica italiana

Lucia Faccio: Sofinnova Telethon investe nell’eccellenza scientifica italiana

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Simona Regina

Perché ne stiamo parlando
Lucia Faccio è la nostra investitrice del mese. È la responsabile di Sofinnova Telethon, fondo italiano di investimenti early stage a sostegno delle aziende biotech impegnate nello sviluppo di nuove terapie per malattie genetiche e/o rare.

Più di 50 anni di storia. Uffici a Londra, Milano e Parigi. 7 diverse strategie di investimento. 2,5 miliardi di asset. Sofinnova Partners è uno dei più grandi fondi di investimento europei, specializzato in scienze della vita. Nel suo portfolio anche AAVantgarde Bio: “La più grande serie A del biotech italiano. 63 i milioni raccolti anche da investitori internazionali. Un grande successo”.

Lo dice con soddisfazione Lucia Faccio, venture capitalist, partner di Sofinnova e della strategia Sofinnova Telethon, il fondo italiano di investimenti early stage a sostegno di aziende biotech impegnate nello sviluppo di nuove terapie per malattie genetiche e/o rare. “Il nostro obiettivo è identificare opportunità nel mondo della ricerca (università, IRCCS…) e, con investimenti seed di qualche milione, supportare la creazione e con ulteriori investimenti la crescita di startup”.

“Sofinnova Telethon è l’unica strategia di Sofinnova con un focus geografico” puntualizza Faccio: “Gestiamo 108 milioni di euro investendo solo in aziende italiane”.

Perché è stato istituito questo fondo?

Sofinnova ha colto l’opportunità di ITATech, iniziativa congiunta di Cassa Depositi e Prestiti e Fondo Europeo Investimenti, che ha messo a disposizione 200 milioni di euro per lanciare una serie di fondi di trasferimento tecnologico in vari settori in Italia. Di fatto, Sofinnova Telethon mette insieme le expertise sinergiche di Sofinnova, che investe in Europa e in USA nella creazione di startup, e di Fondazione Telethon, charity che finanzia la migliore ricerca italiana per sviluppare nuove terapie per malattie genetiche rare. L’idea alla base è far leva sull’eccellenza scientifica italiana, scovare i progetti dalle migliori potenzialità e fornire a ricercatori e università gli strumenti necessari per far sì che quei progetti possano portare allo sviluppo di prodotti terapeutici.

Dal bancone del laboratorio, cosa l’ha portata a occuparsi di venture capital?

Dopo la laurea in chimica farmaceutica, sono andata negli Stati Uniti, al Massachusetts General Hospital a Boston, per il dottorato in biotecnologie. Proprio lavorando in laboratorio ho capito quello volevo fare: lavorare con i ricercatori e le ricercatrici più brillanti per far sì che i loro risultati trovassero la strada giusta per diventare prodotti tangibili, terapie accessibili ai pazienti. Ho lasciato quindi la carriera da ricercatrice, sono tornata in Italia e ho iniziato a lavorare all’Ufficio di trasferimento tecnologico del San Raffaele di Milano.

Dal San Raffaele a Telethon, alla direzione della ricerca e dello sviluppo.

Sì. Per occuparmi dello sviluppo dei risultati migliori della ricerca finanziata da Telethon in farmaci, in partnership con case farmaceutiche e biotech. Così siamo riusciti a portare Strimvelis, la prima terapia genica ex vivo, alla registrazione e a disposizione dei pazienti. Con Sofinnova continuo a lavorare per trasferire i risultati della ricerca al mercato, usando però un’altra strada: la creazione di startup biotecnologiche innovative.

Cosa non deve mancare nella cassetta degli attrezzi di chi promuove il trasferimento tecnologico nel settore Life Science?

Bisogna essere in grado di creare ponti, fare in modo che il mondo accademico e quello biotech possano dialogare. Da un lato, quindi, bisogna capire bene la scienza e la portata innovativa di un progetto e, dall’altro, il percorso più breve ed efficace per validare l’ipotesi scientifica. La ricerca è necessariamente guidata dalla curiosità. E questo è un bene: genera innovazione. È importante però riuscire a incanalarla verso lo sviluppo farmaceutico e biotecnologico.

Come si passa dalla ricerca di base, guidata dalla curiosità, a fare ricerca con l’obiettivo di sviluppare un farmaco per i pazienti?

Bisogna comprendere per quale tipo di malattia la propria scoperta può apportare un beneficio, conoscere i farmaci già disponibili, in che modo ci si differenzia da questi. Bisogna passare da una ricerca finalizzata alla comprensione del meccanismo d’azione, a una ricerca finalizzata a dimostrare che quell’approccio terapeutico funziona, bene e in modo sicuro, passando dagli esperimenti in vitro a quelli in vivo in modelli di malattia.

Per farlo è necessario affiancare a chi fa ricerca un team di esperti di sviluppo industriale che aiutino a identificare gli esperimenti da fare per la necessaria validazione in modelli animali e la successiva sperimentazione clinica.

Che caratteristiche ha un progetto con un forte potenziale traslazionale: quale requisito per lei è imprescindibile quando valuta su cosa investire?

Il prodotto deve essere ben definito, avere dati di validazione, prove cioè di funzionamento in vitro o in vivo, e deve essere chiaro qual è il vantaggio competitivo rispetto a ciò che esiste già. Un nuovo farmaco, infatti, per essere approvato, non solo deve funzionare, ma deve dimostrare di funzionare meglio di quelli già disponibili. Per questo al ricercatore chiediamo innanzitutto di spiegare quale problema sta cercando di risolvere e perché ritiene che la sua soluzione sia migliore delle altre. Inoltre, il prodotto deve essere brevettabile.

Ha citato Strimvelis. A Naldini e Aiuti, ma anche a Pellegrini e De Luca, si devono terapie innovative che hanno cambiato la storia di alcune malattie.

La ricerca italiana è eccellente. E i casi citati lo dimostrano: Naldini e Aiuti con Strimvelis e Libmeldy hanno trovato una cura per malattie per le quali i pazienti morivano in età pediatrica. Risultati incredibili. E lo stesso si può dire per le terapie sviluppate da Pellegrini e De Luca con Holostem. Per far sì che non rimangano successi isolati va però creato un ecosistema adeguato.

Quindi anche fondi di investimento dedicati al biotech?

Sì. E negli ultimi anni ne sono stati creati diversi. Perché per investire nel settore bisogna conoscerlo: bisogna capire la scienza, la tecnologia che c’è dietro, che sono necessari investimenti ingenti e molta pazienza, perché serve tempo per avere dei risultati.

Ma bisogna anche essere in grado di attrarre talenti: non ci si trasforma da ricercatore a manager da un giorno all’altro, quindi è necessario l’affiancamento di un management che conosca e abbia già lavorato nel settore, per poter essere più efficienti possibili nell’utilizzo del capitale investito.

Inoltre è fondamentale che le università abbiano uffici di trasferimento tecnologico con professionisti che conoscano gli standard di mercato. Con la consapevolezza che il trasferimento tecnologico crea un circolo virtuoso, perché – laddove i risultati brevettati raggiungono il mercato – le università hanno un ritorno anche economico da reinvestire in ricerca.

Questo è quello che succede negli Stati Uniti dagli anni ’80. L’Italia sta facendo strada e dobbiamo continuare a lavorare in tal senso. Investendo nello sviluppo di competenze per la gestione delle startup e degli uffici di trasferimento tecnologico.

Parola chiave: specializzazione?

La specializzazione è una leva fondamentale. Ma parliamo sempre più anche di multidisciplinarietà, perché chi fa trasferimento tecnologico deve fare da traduttore tra mondo della ricerca di base e quello industriale.

Ed è quello che fate con Sofinnova Telethon.

Sono molto contenta di quanto fatto finora. Con il portafoglio delle nostre aziende abbiamo raccolto 350 milioni, attraendo anche investitori blue chip internazionali. E recentemente Sofinnova ha lanciato anche Biovelocita con l’obiettivo di accelerare la nascita di startup in Europa.

Possiamo dire che il biotech italiano gode di buona salute?

Crediamo molto nel biotech italiano, che è molto cresciuto nel corso degli ultimi anni. Nel 2013 ci sono state solo due transazioni con 4 milioni investiti. Nei primi mesi del 2023 il numero di transizioni è salito a 35 per 171 milioni investiti: un aumento di 40 volte in 10 anni. E ci aspettiamo che nei prossimi dieci anni gli investimenti possano decuplicare, arrivando a 400 milioni.

Keypoints

  • Lucia Faccio è partner di Sofinnova e responsabile della strategia Sofinnova Telethon
  • Sofinnova Partners è uno dei più grandi fondi di investimento europeo specializzato in scienze della vita
  • Sofinnova Telethon è il fondo italiano di investimenti early stage a sostegno di aziende biotech impegnate nello sviluppo di nuove terapie per malattie genetiche
  • Sofinnova Telethon investe solo in aziende biotech innovative italiane
  • Per promuovere il trasferimento tecnologico in Italia va creato un ecosistema adeguato
  • Per la crescita del settore Life science è importante investire nello sviluppo di competenze per la gestione delle startup e degli uffici di trasferimento tecnologico. E servono fondi di investimento dedicati

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