Formazione, ricerca, trasferimento tecnologico, incubazione, accelerazione, venture capital, divulgazione. Tutto questo è Fondazione Golinelli, nata nel 1988 e negli anni cresciuta quale luogo di contaminazione tra formazione, ricerca e innovazione. Con Antonio Danieli, Vice Presidente e Direttore Generale della Fondazione Golinelli, facciamo il punto sulle attività finalizzate a promuovere il trasferimento tecnologico.
Partiamo dall’ecosistema Golinelli.
È un ecosistema dell’innovazione articolato, creato per poter seguire tutte le fasi dello sviluppo d’impresa: dalla formazione al trasferimento tecnologico, dall’incubazione all’accelerazione fino allo scale-up. La Fondazione è una sorta di holding filantropica. Supportiamo partner in tutti i settori, ma siamo focalizzati in particolare nell’ambito delle scienze della vita: biotech, medtech e Digital Health. Settore in cui la Fondazione opera da oltre 35 anni.
Perché puntare sul trasferimento tecnologico?
Il trasferimento tecnologico è uno dei giacimenti ancora inespressi della ricerca e dell’imprenditoria italiana. Nelle università abbiamo centri di ricerca di eccellenza e siamo leader a livello mondiale nella brevettazione in ambito biotech, ma tutto questo ancora fatica a tradursi in innovazione industriale. La ricerca avanzata fatica cioè a uscire dall’università, nonostante la terza missione sia uno dei mandati istituzionali delle università ormai dal 2013.
Del resto, il trasferimento tecnologico è un mestiere difficile e impervio, le università più grandi si sono attrezzate, ma le fasi di sviluppo, crescita e arrivo al mercato sono sfide complesse e richiedono un approccio di sistema.
Noi diamo supporto soprattutto nella prima fase, quella più delicata, perché il mondo della finanza e il mondo corporate fanno fatica a entrare nei laboratori e i laboratori di ricerca universitari fanno fatica a far uscire le innovazioni che nascono al loro interno. Anche perché è difficile trasformare un ricercatore in imprenditore, bisogna fare formazione mirata.
Come opera G Factor, l’incubatore-acceleratore di Fondazione Golinelli?
G-Factor dal 2018 porta avanti numerose attività mirate al trasferimento tecnologico, prevalentemente nei segmenti pre seed, seed ed early stage, attraverso l’erogazione di investimenti e programmi personalizzati di accelerazione per la crescita di idee e imprese.
Con il programma I-Tech Innovation, proponiamo call e bandi a livello nazionale. Il programma prevede 3 Call for Innovation nei settori Life Science & Digital Health, FinTech & InsurTech e AgriTech & FoodTech. A queste si affiancano 3 Call for Plug In: la prima dedicata a Industry 4.0, IoT, Big Data & AI, la seconda a Social Impact e la terza, novità del 2023-2024, a Travel Tech & Smart Mobility.
In 6 anni di attività abbiamo investito in 24 startup in ambito Life Science (di cui tre sono ora in corso di selezione) su circa 800 proposte arrivate. Di queste, circa il 60 per cento erano startup già costitute da un paio di anni, mentre le altre si sono costituite insieme a noi. Possono partecipare infatti anche ricercatrici, ricercatori, team indipendenti oltre a startup già costituite che vogliono trasformare i loro progetti in una realtà imprenditoriale.
In pratica, quindi, siete un partner dal laboratorio di ricerca al mercato?
Noi praticamente entriamo nei laboratori di ricerca e costruiamo un percorso personalizzato di accompagnamento che favorisca la crescita dei team e dell’idea imprenditoriale, per far sì che la startup possa presentarsi a potenziali partner industriali. E mettiamo una leva finanziaria iniziale, dai 100 ai 150 mila.
I team selezionati hanno accesso al programma di accelerazione G-Force?
Sì. Il nostro programma di accelerazione offre investimenti, mentoring, consulenza regolatoria e business networking. Ma anche quando si conclude il programma di accelerazione, continuiamo ad affiancare la startup nel suo sviluppo, negli anni successivi, come soci di minoranza. Lo scopo è accompagnarla nel percorso di crescita dal Round A al Round B e anche in seguito, fino alla fase di exit, quando trova il grosso compagno di viaggio, l’investitore, che può essere un fondo o una corporate, e quindi il ruolo istituzionale di G- Factor non è più necessario. Perché a quel punto la startup può camminare con le proprie gambe ed è attrezzata, con partner del settore, a conquistare i mercati.
Di fatto G-Force fornisce gli strumenti utili alla corretta impostazione della generazione d’impresa e della sua crescita?
Esattamente. Oggi si parla sempre più di imprenditorialità tra i giovani, ma fare impresa significa costituire un’organizzazione, pagare stipendi e arrivare al mercato.
Molto spesso, molti ricercatori puntano a fare cose che possano dare risposte disruptive, ma per arrivare al mercato bisogna pensare all’aspetto brevettuale e a quello regolatorio, a come sviluppare un piano di sviluppo industriale credibile, poi c’è la questione relativa all’industrializzazione del prodotto, c’è bisogno quindi di conoscere il mercato, sapere come tagliare il prezzo, conoscere le politiche di marketing internazionale… insomma c’è bisogno di professionalità e competenze molto complesse e specializzate di cui una startup all’inizio non è dotata, ma che sono necessarie per disegnare un piano di sviluppo tale da generare fiducia nell’investitore che, nel mondo Life Science, è sempre più specializzato. Perché è vero che ci sono fondi generalisti, ma gli operatori di settore sono sempre più specializzati.
A tal proposito Golinelli ha fondato Utopia?
Utopia SIS è la società a investimento semplice creata con Fondazione di Sardegna, Antonio Falcone, operatore del settore con lunga esperienza, e altri partner istituzionali per favorire investimenti in progetti in ambito medico-scientifico. Parliamo di Round A e Round B. In questo modo Golinelli è un partner di chi vuole fare innovazione, dalla formazione alla fase di exit. E, attraverso i percorsi e gli investimenti che offre, si pone come volano per l’innovazione a supporto del mondo della ricerca, del venture capitale e delle corporate: creiamo infatti un ponte, creiamo cioè le condizioni affinché possano lavorare insieme.
Di fatto avete messo in piedi una community e un modello per orientare al fare impresa giovani ricercatrici e ricercatori?
Esattamente. G-Factor combina la formazione imprenditoriale alla leva finanziaria in fase seed e early stage. Ma interveniamo anche prima, con la formazione di chi fa ricerca e ha idee a elevato potenziale di trasferimento tecnologico, offrendo una palestra di innovazione e di imprenditorialità. Mi riferisco a ReActor: una scuola di imprenditorialità per orientare al fare impresa chi fa ricerca all’università.
Il programma Reactor è rivolto a dottorandi e dottorande, ricercatori, ricercatrici, docenti, persone che lavorano nei laboratori universitari e vogliono dare un morso alla mela dell’innovazione ma non si sentono ancora pronti a costituire una società.