Terapie digitali, trasferimento tecnologico, finanziamenti alla ricerca, digitalizzazione. Abbiamo toccato diversi temi con Mauro Grigioni, che dal suo osservatorio pubblico dell’Istituto Superiore di Sanità, senza mezzi termini, indica il tasto dolente di cui tutti parlano, ma che pochi vogliono affrontare: “Innovare la sanità non è una scelta, ma una necessità. Per l’Italia sarà più complicato a causa del cronico distacco con gli altri paesi d’Europa” .
Innovazione, una parola oggi fin troppo abusata. Ma di quale innovazione ha davvero bisogno il nostro sistema sanitario?
“L’innovazione ha caratterizzato gran parte delle conquiste in sanità e medicina a partire perlomeno dagli inizi del XX secolo. Per ‘innovazione’ ci si riferisce ad innovazione tecnologica. Solo per fare un esempio: la possibilità di caratterizzare il corredo genetico del singolo paziente, tramite tecniche di sequenziamento introdotte a livello di ricerca negli anni ‘70 del secolo scorso e oggi ampiamente alla portata di moltissimi laboratori diagnostici, ha portato a un significativo miglioramento della capacità di valutare il rischio di tumori in singoli individui. Altre innovazioni tecnologiche sono state riscontrate nel campo della diagnostica per immagini (NMR, CT multistrato, diagnostica interventistica) e nel settore della manipolazione cellulare a livello molecolare (ingegneria genetica). Il bisogno di innovazione si riverbera così nelle aspettative di ottenere impatti rilevanti nel miglioramento della salute. Specialmente in un sistema sanitario come quello italiano, che intende attuare il fondamentale diritto alla salute di ogni individuo, è essenziale ottimizzare le risorse limitate a disposizione. In questo senso l’innovazione tecnologica può contribuire ad aumentare l’offerta di salute a parità di costo. Altri bisogni rilevanti sono dati dalle diseguaglianze di salute riscontrabili in differenti territori, dovute fra altri motivi a difficoltà logistiche di accesso alle cure: la tecnologia – tramite soluzioni di telemedicina – può intercettare questi bisogni e offrire soluzioni innovative (ad. es., televisita, telemonitoraggio) a costi sostenibili”.
A che punto è il processo di innovazione della sanità italiana?
“L’Italia sconta un cronico distacco rispetto ad altri paesi europei nel campo dell’intensità di finanziamento alla ricerca. Ciononostante, i ricercatori italiani sono spesso competitivi con i loro colleghi, in molti settori. Non bisogna comunque pensare che la capacità di adattamento del singolo ricercatore italiano a condizioni non ottimali possa sopperire indefinitamente allo svantaggio di partenza: ormai la scienza è sempre più caratterizzata da una complessità organizzativa, per cui il singolo laboratorio è tipicamente inserito in un network complesso, al quale occorre contribuire in modo affidabile e puntuale. Questo si può realizzare solo incrementando gli sforzi di razionalizzazione del sistema ricerca e innovazione, individuando le opportunità di partnership al fine di aumentare il valore aggiunto di ogni singolo componente del network, come anche di quest’ultimo. Inoltre, è determinante la capacità di effettuare un vero trasferimento tecnologico, collegando così fruttuosamente tutti gli stakeholder. La filiera di un progetto di ricerca è molto complessa e multiprofessionale. Per questo per arrivare a produrre un impatto significativo sono necessari il trasferimento tecnologico e imprese/start up in grado di portare a compimento tutto il complesso processo. In Italia si sta diffondendo questa capacità organizzativa grazie al PNRR”.
Siamo dunque in grado di produrre innovazione e, soprattutto, di accoglierne i frutti?
La storia dimostra di sì. Molti prodotti e processi innovativi hanno visto la luce nel nostro Paese, come ad esempio il primo ciclotrone per lo studio di collisioni fra materia e antimateria, realizzato a Frascati negli anni ‘60. Purtroppo, tale capacità realizzativa non ha trovato riscontro in politiche economiche a favore della creazione di imprese hi-tech, che potessero sopperire alla tradizionale mancanza di investitori privati attivi nei settori tecnologico-scientifici. Non è un caso che una famosa ed esperta economista italiana all’estero Marianna Mazzuccato, cita “Lo stato innovatore” come principio da valorizzare nel periodo storico attuale. Occorre aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica circa i ritardi del sistema paese in tema di imprese basate sull’innovazione. A tale riguardo, una grande opportunità per l’Italia è data dalla sfida della transizione ecologica, che richiederà sviluppi tecnologici notevoli per realizzare prodotti o effettuare processi in maniera ecocompatibile, abbattendo le emissioni di gas serra. Questo vale ovviamente anche nel settore biomedico, dove la produzione di farmaci e dispositivi medici spesso richiede di orchestrare molti processi industriali complessi, il cui impatto ambientale non è stato riconosciuto come un fattore critico, se non in tempi molto recenti. Inoltre, l’innovazione richiede spesso molta informazione e formazione, non solo specialistica ma anche dei cittadini. Un esempio è l’attuale trasformazione digitale con le competenze necessarie per l’uso appropriato e consapevole di software di vario tipo, specie in sanità”.
Le conoscenze e le tecnologie corrono più velocemente di chi dovrebbe “governarle”: le terapie digitali ne sono un esempio: tante applicazioni, nessuna norma. Quali sono i rischi di questo gap?
Nonostante la disponibilità di un percorso regolatorio già definito per l’autorizzazione al marchio CE per i Software Dispositivo Medico e per l’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci, per le Terapie Digitali le modalità di accesso e remunerazione passano per altri processi del nostro SSN, al momento non ben definiti. Per queste ultime va comunque sottolineato che c’è un gap normativo non solo italiano: una definizione specifica nei regolamenti non è stata ancora proposta a livello di Unione Europea. In alcuni paesi si stanno valutando le tecnologie digitali a più basso rischio (riferendoci alla classificazione del Regolamento MDR 2017/745) con enti finanziatori (ad es., compagnie di assicurazione) per la loro remunerazione. Questo modello non è applicabile ovunque in Europa. In ogni caso, sono in corso progetti europei che stanno appunto verificando quali processi abilitare per aprire questo mercato in modo regolato e condiviso”.
Quali saranno i primi cambiamenti in sanità che ci aspettano?
“In seguito a recenti atti legislativi, si intende incrementare la parte domiciliare dell’offerta di cure sanitarie, grazie anche ai continui miglioramenti dei prodotti ICT. Sicuramente osserveremo lo sforzo di portare le prestazioni diagnostico-terapeutico per quanto possibile direttamente sul territorio, grazie anche a strutture intermedie a bassa intensità di trattamento. In generale, la telemedicina si affermerà come paradigma della medicina del futuro, anche se mancano ancora alcuni dei presupposti necessari: ad esempio, occorre creare dei framework di valutazione più oggettiva delle esperienze di telemedicina, che sono risultate spesso non generalizzabili e/o scalabili in altri contesti. Infine, l’uso delle app per la cura e il benessere vedrà lo sviluppo di un vasto mercato nei prossimi anni, e la Commissione Europea è impegnata a promuovere bandi per progetti non solo di ricerca ma anche nell’ambito regolatorio per fornire delle regole specialmente all’uso dei dati da parte dei numerosi tipi di software, non ultima l’Intelligenza Artificiale”.
Il processo di aggiornamento e rinnovamento del sistema sanitario nazionale è ostacolato da ritardi cronici, da scarsi finanziamenti e da carenza di alleanze pubblico-privato. L’innovazione in Italia viaggia a due velocità: quella della scienza che corre velocemente e quella della politica, che avanza molto più lentamente.