«Il sistema di assistenza e di presa in carico delle persone con
malattie rare in Italia è il migliore al mondo». Lo afferma a
INNLIFES, «senza timore di smentita»,
Marco Silano, direttore del
Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il Centro è la cabina di regia delle attività di ricerca e monitoraggio delle malattie rare in Italia, per migliorare diagnosi, cure e qualità di vita dei pazienti, e rispondere in modo efficace ai reali bisogni dei malati rari e delle loro famiglie.
«È stato istituito nel 2008 – racconta Silano -, con la riorganizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità. E il Testo unico sulle malattie rare, la
Legge 175 del 2021, ha istituzionalizzato per legge la nostra mission: attività di ricerca, consulenza e documentazione su diagnosi, monitoraggio e terapia delle malattie rare».
Direttore, come si concretizza e declina questa mission nell’attività del Centro?
«Svolgiamo attività di sorveglianza attraverso i registri, che sono fondamentali per ottenere informazioni epidemiologiche sempre più dettagliate. Conduciamo attività di ricerca sulle cause, quindi sulla genetica delle malattie rare. A noi compete il controllo esterno di qualità dei test diagnostici per migliorare la qualità dei risultati dei test utilizzati nella pratica clinica. Coordiniamo il monitoraggio degli screening neonatali delle malattie metaboliche e dello screening neonatale stesso. Monitoriamo le malattie ultra rare e senza diagnosi, le cosiddette malattie rare emergenti. Gestiamo il Registro nazionale delle malformazioni congenite. E nell’ambito del laboratorio Health Humanities, facciamo ricerca sulla medicina narrativa, per migliorare l’assistenza dei pazienti attraverso le scienze umane e non solo attraverso le scienze mediche».
Perché inserire la medicina narrativa nei percorsi terapeutici dei malati rari?
«Perché proprio la ricerca ne evidenzia i benefici nel promuovere la salute: anche le scienze umane sono infatti importanti nel percorso di cura, possono migliorare l’outcome e il risultato clinico. Questa consapevolezza e sensibilità si sta ampliando a tutti i tipi di assistenza e presa in carico delle persone con patologie».
In effetti è bene ricordare che è importante non solo la ricerca che punta, auspicabilmente, a trovare una nuova terapia, ma anche quella che consente di migliorare i percorsi assistenziali…
«Certamente. Il fine della ricerca è migliorare la qualità di vita dei pazienti. La ricerca non è solo quella fatta al bancone. È altrettanto importante la ricerca che contribuisce a definire i percorsi assistenziali migliori, la presa in carico, la telemedicina».
La telemedicina è già parte integrante dei percorsi assistenziali dei malati rari?
«A livello territoriale già esistono esperienze di telemedicina. Si tenga presente che i percorsi assistenziali sono definiti, appunto, dalle regioni e dalle province autonome. Noi condividiamo le evidenze scientifiche e monitoriamo i percorsi attivi a livello periferico».
A proposito di monitoraggio, il Registro nazionale malattie rare è stato istituito nel 2001 ed è stato il primo importante strumento di sorveglianza per comprendere l’epidemiologia delle malattie rare e supportare la programmazione nazionale e regionale. Come funziona?
«Le regioni e le province autonome ci inviano entro il 30 giugno i dati demografici e clinici dei pazienti diagnosticati con malattie rare nell’anno precedente. Noi li sistematizziamo, li rendiamo omogenei e li condividiamo attraverso delle pubblicazioni.
Avere un registro è molto importante, perché il monitoraggio consente di sapere quanti sono i malati e quante risorse bisogna mettere in campo.
Inoltre, è uno strumento utile anche per verificare le attività diagnostico-assistenziali. Perché, per esempio, se negli ultimi dieci anni è aumentato del 10% il numero di diagnosi di una determinata malattia rara, e improvvisamente riscontriamo una diminuzione del 40%, vuol dire che in quell’anno qualcosa non ha funzionato nel percorso assistenziale».
Il Registro, però, è importante anche per la ricerca.
«Certo. I dati epidemiologici sono fondamentali per fare ricerca. Ma in fondo già conoscere la distribuzione delle malattie rare sul territorio è ricerca: può mettere in luce per esempio zone con maggiore prevalenza. Il Registro è lo strumento principe per il monitoraggio delle malattie rare. I dati, che arrivano su base annuale da regioni e province autonome, riguardano le “malattie rare LEA”, cioè quelle inserite nell’allegato 7 del DPCM sui LEA, che elenca le malattie per le quali il Servizio sanitario nazionale garantisce
l’esenzione dal pagamento delle prestazioni sanitarie necessarie per la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio della patologia. Ma le malattie rare sono molto di più».
Ritardo diagnostico, migrazione sanitaria, farmaci orfani: quali sono le sfide più urgenti da affrontare per soddisfare i bisogni della comunità rara?
«Le sfide sono tantissime. La più challenging, per quanto riguarda l’attività del Centro, è la disponibilità di dati affidabili, riproducibili e che si possano incrociare tra loro. Il nostro Registro deve cioè potersi integrare con altre banche dati per conoscere meglio i pazienti con malattie rare e programmare al meglio le attività di sanità pubblica. Altra sfida prioritaria è riuscire a estendere gli screening neonatali: sono fondamentali per la diagnosi precoce, e la diagnosi precoce può contribuire ad assicurare una buona qualità di vita alle persone con malattia rara, perché consentono di poter essere trattate tempestivamente».
Però sono solo una cinquantina le malattie oggetto di screening neonatale che, come sappiamo, rappresenta uno dei principali programmi di medicina preventiva pubblica.
«Proprio per questo la sfida è aumentare in modo sostenibile il numero di condizioni per cui facciamo screening. Nei nuovi LEA sono state inserite altre 13 malattie, tra cui la SMA, le malattie lisosomiali e neuromuscolari».
Direttore, qual è il rapporto del Centro con le associazioni dei pazienti? Perché, se è vero che la voce dei pazienti è importante sempre, lo è ancora di più per le malattie rare…
«Unire le forze è fondamentale e il Centro collabora attivamente con la Federazione Italiana Malattie Rare-Uniamo e con Eurordis. Con Uniamo, che è l’ente di rappresentanza della comunità delle persone con malattia rara, abbiamo un Memorandum of Understanding. Di fatto, mette nero su bianco che in tutte le nostre attività di ricerca è importante la stretta collaborazione con gli stakeholder, e i primi stakeholder per noi sono le persone che hanno una malattia rara. Il Memorandum, cioè, sancisce la collaborazione con i pazienti: tutte le attività che l’Istituto superiore di sanità e il Centro svolgono devono mettere al centro i bisogni assistenziali dei pazienti. È inutile fare ricerca se non intercettiamo i bisogni reali: i pazienti devono essere il nostro primo riferimento, e questo accordo lo permette».
Il 28 febbraio è la Giornata delle malattie rare: quale messaggio è importante veicolare (anche) in questa occasione?
«Quest’anno la campagna di sensibilizzazione di Uniamo è dedicata alla ricerca. Il messaggio è molto chiaro: le evidenze scientifiche, quelle relative al bancone e quelle epidemiologiche, sono fondamentali per l’avanzamento della presa in carico del paziente. Senza ricerca non si migliora l’assistenza. E la ricerca non si fa da soli, ma in rete, unendo le forze».