La demografia italiana è una demografia eccezionale. Siamo ai primi posti perché viviamo più a lungo e in salute migliore rispetto agli altri, ma siamo anche ai primi posti perché facciamo meno figli rispetto agli altri Paesi. Questo crea una popolazione per età tra le più vecchie al mondo, in cui la proporzione di anziani sul totale della popolazione continua a crescere velocemente aprendo scenari inediti per la storia dell’umanità.
E nel 2050 come sarà o come potrebbe essere l’Italia? A questa domanda cerca di dare risposta il programma, finanziato dal Pnrr, Age-It: la più importante ricerca mai fatta in Europa su prevenzione, invecchiamento attivo e demografia positiva. E della ricerca e dei suoi interventi si è parlato oggi al ministero della Salute durante il convegno “Un istituto per il futuro della popolazione”, alla presenza del Ministro, Orazio Schillaci, nell’ambito del quale si è proposto di creare l’Istituto italiano sull’Invecchiamento I3 per affrontare l’eccezionale sfida demografica dell’Italia, con il benestare del ministero.
Il progetto
«Con più di 800 ricercatori, e la sua rete di oltre venti atenei, centri di ricerca, aziende private, istituzioni pubbliche, società civile ed eccellenze in tutto il Paese, Age-It lavora su dieci aree tematiche che vanno dalla genetica alla robotica, dall’economia alle scienze politiche» spiega Alessandra Petrucci, Presidente di Age-It.
«Andiamo dalla demografia, che ha analizzato per la prima volta l’impatto della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) sulle nascite in Italia, all’intelligenza artificiale utilizzata per prevedere i fattori di decadimento cognitivo, dall’impatto dell’inquinamento sulle patologie neurologiche degli anziani alle mutazioni del mercato del lavoro nel Paese con meno giovani in Europa, dalle sperimentazioni terapeutiche per contrastare l’invecchiamento cellulare alle proposte per la sostenibilità del sistema previdenziale, dal ripensamento dell’assistenza ai non autosufficienti, alla formazione dei caregiver e alla tutela della loro condizione psicologica.
E poi nuove evidenze in tema di dieta, esercizio fisico, stimolazione cognitiva, socializzazione e controllo dei fattori di rischio vascolari, innovative soluzioni per ripensare case e spazi urbani, un nuovo approccio del mercato che valorizzi la silver economy e l’esordio dell’indice di giustizia intergenerazionale che misura lo sbilanciamento a favore dei diversi gruppi sociali in Italia e nella UE». Un progetto che vede l’Italia diventare un laboratorio empirico in campo biomedico, socio-economico, e tecnologico per promuovere una società inclusiva verso tutte le generazioni.
Creato il primo biomarcatore digitale
Tra gli interventi presentati quello di SPOKE 9 “Tecnologie avanzate per un invecchiamento attivo e in salute” dove Metaverso e realtà virtuale si uniscono per diagnosticare precocemente Alzheimer e decadimento cognitivo negli anziani. Il progetto guidato dal professor Filippo Cavallo, UNIFI, è rivolto ad anziani sani, anziani con declino cognitivo precoce e anziani con fragilità. L’obiettivo è migliorare gli strumenti di diagnosi e valutazione per gli anziani, potenziando la capacità di prevedere le patologie neuropsicologiche e consentendo interventi tempestivi per ritardarne e mitigarne gli effetti.
Questo approccio mira a rallentare il decadimento cognitivo e a preservare il funzionamento della persona il più a lungo possibile. A tal fine, è stato sviluppato per la prima volta un sistema di realtà virtuale capace di identificare e analizzare biomarcatori digitali. Come funziona? Vengono acquisiti dati su come le persone interagiscono con gli oggetti e come effettuano questi movimenti in realtà virtuale tramite un visore VR, di quelli ormai sempre più diffusi in commercio, e un display tattile che, a regime, potrebbe essere fornito a ospedali e strutture sanitarie.
I Digital Biomarker estratti da questi scenari corrispondono ai movimenti della testa e ai movimenti delle mani generati dai soggetti durante l’esposizione ai task in VR. I dati vengono raccolti per circa 20 minuti, ovvero il tempo necessario per concludere le varie prove in realtà virtuale. Con gli strumenti di Intelligenza Artificiale (Machine Learning) vengono analizzati tutti i dati dei movimenti (digital biomarker), al fine di individuare dei pattern ricorrenti nei dati per predire diverse condizioni nell’anziano (sano, fragile e MCI). Dai risultati preliminari ottenuti questa metodologia si è rivelata efficace e più rapida da implementare per i soggetti coinvolti se comparata con pratiche di assessment neuropsicologico comunemente utilizzate.
La sperimentazione sui telomeri
L’invecchiamento è il più alto fattore di rischio per malattie tumorali, cardiovascolari e neurodegenerative. Uno dei progetti di ricerca del programma Age-It, lo SPOKE 2 “Comprendere la biologia dell’invecchiamento” guidato da Fabrizio d’Adda di Fagagna (Dirigente di Ricerca IGM, Institute of Molecular Genetics – CNR National Research Council – IFOM, The Institute Foundation of Molecular Oncology), ha sviluppato una terapia a RNA contro le conseguenze dei telomeri danneggiati.
Si tratta di un approccio sperimentale che agendo sui telomeri (le regioni terminali dei cromosomi) ha le potenzialità per diventare una terapia che, rallentando l’invecchiamento cellulare, potrebbe ridurre l’impatto delle malattie legate all’età. Ora questi dati sperimentali stanno travalicando l’ambito accademico e, con una startup, verranno avviati i primi trial clinici.
In modelli della Sindrome Progerica Hutchinson-Gilford, la patologia di cui era affetto il biologo Sammy Basso scomparso da poco, e su cui Fabrizio d’Adda di Fagagna ha lavorato, questa terapia estende la sopravvivenza del 45%. In altri modelli di fibrosi polmonare o di disfunzione immunitaria, questo approccio terapeutico sembra capace di restituire le funzioni perse. Infine, in alcuni tipi tumorali quali i sarcomi e i tumori del cervello, i telomeri si sono rivelati essere una vulnerabilità sensibile a questa terapia.
Inquinamento e Parkinson: quale relazione?
In letteratura l’inquinamento atmosferico è stato associato a un aumento del rischio di disturbi neurodegenerativi. Nell’ambito dello studio longitudinale “Moli-sani” un team di ricercatori ha esplorato la complessa relazione tra inquinamento atmosferico e malattia di Parkinson. Lo studio prospettico, che copre un periodo di 12 anni (2006-2018), ha esaminato simultaneamente diversi inquinanti, tra cui ossidi di azoto, ozono, particolato sottile (PM10), anidride solforosa e idrocarburi BTX, utilizzando la geo-localizzazione delle residenze e sofisticati algoritmi di interpolazione (Kriging) per mappare l’esposizione nell’intera regione.
Dal campione dello SPOKE 3 “Fattori clinici e ambientali, stato funzionale e multimorbilità”, composto da 24 mila soggetti over 35, emerge, come presentato da Antonio Cherubini, INRCA (One Health), un’associazione statisticamente significativa tra i livelli di PM10 e un aumento del rischio di sviluppare malattia di Parkinson. Dalla ricerca è emerso, in sostanza, che il particolato di diametro inferiore a 10 micron, PM10, è associato a un maggior rischio di comparsa di malattia di Parkinson, diagnosticata da specialisti neurologi mediante una revisione delle informazioni contenute nei database sanitari. Inoltre, è stata effettuata un’analisi di mediazione, che ha identificato un ruolo potenziale di alcuni biomarcatori, in particolare la lipoproteina(a), suggerendo nuovi meccanismi attraverso i quali l’inquinamento atmosferico potrebbe influenzare l’insorgenza della malattia.
Indice di giustizia intergenerazionale: Italia penultima in Europa
Il programma Age-It, con lo SPOKE 7 “Dimensioni culturali e politiche delle società che invecchiano” guidato dal professor Vincenzo Galasso, Professor of Economics – Head of Department of Social and Political Science – Bocconi University, sta mettendo a punto per la prima volta in Italia un indice di giustizia intergenerazionale che, analizzando diversi fattori (economici, sociali e politici), possa misurare quanto la società agisca in favore dei gruppi più giovani (20/30enni) o di quelli più avanti con gli anni (50/60enni). E, nei diversi gruppi, misura le differenze tra donne e uomini.
Tra i parametri analizzati vi sono reddito, lavoro, accesso alle risorse, impatto ambientale, partecipazione democratica, connessione ad Internet, incontri di svago con amici e familiari discriminazione sociale, salute mentale ed altro ancora. Il primo di questi indicatori (basato su dati relativi a tasso di povertà, di disoccupazione, numero di contratti a tempo indeterminato, accesso all’assistenza sanitaria e bisogni medici insoddisfatti) vede l’Italia pendere dalla parte dei più anziani e ci colloca su questo parametro al penultimo posto in Europa prima della Danimarca che chiude la graduatoria.