La traslazione della cura dal laboratorio dal laboratorio al letto del paziente è un processo fascinoso, che attribuisce valore agli sforzi di ricercatori, istituzioni e aziende impegnate a garantire tempo e vita ai pazienti. Marta Marsilio, Docente di Economia Aziendale presso l’Università Statale di Milano, è stata nominata Presidente dell’IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”, prima donna a capo di un IRCCS in Lombardia. L’abbiamo intervistata per parlare di modelli organizzativi, soffitti di cristallo e di molti altri temi attualmente al centro dei dibattiti.
Presidente Marsilio, lei è alla guida di un Istituto pienamente inserito nelle dinamiche della ricerca: cosa significa questo dal punto di vista dell’organizzazione?
Il fatto che il nostro Istituto sia un IRCCS implica la presenza di un ulteriore pilastro di attività rispetto a quelli che caratterizzano le altre tipologie di struttura sanitaria. Essere pienamente coinvolti nelle attività di ricerca, come lo è un IRCCS, significa essere impegnati a studiare nuove terapie e nuovi approcci di presa in carico del paziente: studi che hanno elevata possibilità di produrre ricadute in termini di cura, ossia quelli che definiamo ricerca traslazionale. Gli IRCCS non si occupano di ricerca avulsa dal contesto assistenziale, ma di attività che hanno finalità di miglioramento dell’approccio di cura dei pazienti, nel nostro caso dei pazienti affetti da disturbi neurologici dell’adulto e del bambino, da patologie neurochirurgiche ed oncologiche, da malattie croniche e rare. Inoltre, è importante ricordare che la ricerca degli IRCCS viene finanziata attraverso diversi canali. Uno è quello della ricerca corrente finanziato dal Ministero della Salute, con risorse finalizzate a sostenere le attività di ricerca che gli IRCCS organizzano in autonomia nell’ambito di linee di attività approvate dal CTS. Questa linea pesa circa il 20% dei nostri fondi. Il restante 80% deriva da altre fonti, cosiddette finalizzate a sostenere specifici progetti e messe a disposizione da enti pubblici o privati. In particolare, le nostre ricercatrici e i nostri ricercatori partecipano a bandi competitivi nazionali e internazionali anche in collaborazione con prestigiosi centri, facendo leva sulle diverse reti di patologia cui aderiamo. La collaborazione interna fra il personale dell’Istituto, con altre istituzioni e associazioni, sia a livello nazionale che internazionale, è un driver strategico per condividere competenze e conoscenze e favorire lo sviluppo di sinergie.
Il contesto sociale e la disponibilità di strumenti scientifici e tecnologici sofisticati stanno trasformando la cura: come dobbiamo immaginarci l’ospedale del futuro?
Sono una grande appassionata di tecnologia e, anche in quest’ottica, ho approfondito lo studio delle tematiche relative ai cosiddetti virtual hospital, dove i pazienti non sono fisicamente presenti nelle strutture, ma che erogano prestazioni mediante l’uso di tecnologie digitali. Ovviamente si tratta di capire come implementare queste soluzioni coniugando la dimensione “virtual” con le necessità “human” dell’assistenza, sfruttando da un lato le potenzialità della tecnologia, ma preservando al tempo stesso il valore delle relazioni umane fra medico e paziente. Oltre a garantire evoluzioni sulla comprensione dell’origine e della cura delle malattie, l’innovazione tecnologica ritengo apra scenari interessanti per garantire una maggiore equità di accesso alle cure, nuove frontiere per la formazione dei medici giovani e meno giovani, opportunità di ridisegnare la modalità dei servizi, con impatti anche sulla sostenibilità economica del sistema. Si tratta di una trasformazione che richiede importanti investimenti dell’ecosistema salute, sia dal punto di vista delle infrastrutture tecnologiche che da quello della formazione, non solo dei professionisti ma anche per pazienti e caregiver. Molto spesso, infatti, alcune di queste tecnologie richiedono che l’utente collabori attivamente perché il servizio possa essere erogato e che sia consapevole delle modalità con cui i suoi dati verranno protetti e trattati, un tema molto dibattuto di recente. Il nostro Istituto è coinvolto in molti progetti che vedono un impiego di nuove tecnologie a diversi livelli. Ad esempio, la telemedicina è diventata parte integrante della pratica clinica corrente, ma ha anche consentito di sviluppare nuovi modelli gestionali. In ambito di formazione, abbiamo un centro di eccellenza a livello europeo per l’impiego delle tecnologie digitali finalizzato alla formazione dei neurochirurghi, il Besta Neurosim Center. Si tratta di un centro di simulazione avanzata, nell’ambito del quale abbiamo recentemente attivato anche una collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea. Con i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano stiamo sviluppando applicazioni quali la stampa di organi in 3D e l’utilizzo dell’IA per la simulazione di interventi neurochirurgici.
La sua nomina a capo dell’Istituto Besta è anche un ulteriore step verso la parità di genere nell’assegnazione delle cariche pubbliche: ritiene che per lei il percorso sia stato più complicato rispetto ai colleghi maschi?
Io sono una grande sostenitrice del movimento per la valorizzazione dei diritti delle donne in tutti gli ambiti. Faccio parte di una Associazione, Donne Leader in Sanità, che ha come obiettivo quello di contribuire a rafforzare conoscenza e cultura sui temi dell’equità di genere e sulla leadership nel settore sanitario. Sia il settore accademico, dal quale provengo, sia quello della Sanità sono caratterizzati (dati alla mano) da una forte numerosità femminile in termini assoluti (70% degli occupati nelle strutture del SSN, pari a circa 450.000 professioniste), ma da una presenza di donne in posizioni apicali ancora debole, sia a livello di posizioni di vertice amministrativo, che in area clinica (i cosiddetti primariati). Considerando la componente medico-sanitaria, secondo i dati del Ministero del 2021, le donne sono oltre la metà (il 51,3%) ma solo l’8,5% risulta a capo di una struttura, contro il 20,8% degli uomini. Proprio in questi giorni, tali dati sono stati presentati dall’Osservatorio sull’equità di genere della leadership in Sanità. Per rispondere alla sua domanda, non sono mai stata abituata a recriminare su quanto sia più difficile per noi donne; ho avuto la fortuna di avere esempi di donne in famiglia e nel lavoro che, seppur con sacrifici, mi hanno insegnato che noi donne possiamo raggiungere obiettivi importanti, tanto in ambito personale che professionale. Spesso anche grazie a uomini che, per scelta o per caso fortunato, ho incontrato nel mio percorso. Rispetto a questa nomina, ritengo di avere avuto la fortuna di essermi trovata al momento giusto al posto giusto. Ho apprezzato il fatto che la mia nomina sia stata fatta sulla base non del genere ma delle competenze, che sono state evidentemente apprezzate nel quinquennio della consiliatura precedente e rispetto al percorso professionale che mi caratterizza. Ho ricevuto tantissimi messaggi di congratulazioni e di auguri. Non le nascondo che molti erano di donne che hanno visto nella mia nomina una nuova prospettiva e una testimonianza che i tetti di cristallo si possono infrangere. Io sono il primo Presidente donna di una Fondazione IRCCS in Lombardia e, come i dati che citavo prima dimostrano, in generale la Sanità non brilla per le presenze femminili ai vertici. Dall’altro lato, credo fortemente nella sinergia fra uomini e donne e mi adopererò per promuovere anche all’interno dell’Istituto una cultura della collaborazione fra i generi.
Quanto è stata ed è di supporto una formazione di tipo economico in questo tipo di professione?
Sarò di parte, ma la ritengo molto importante. Se non avessi avuto queste competenze, non avrei avuto la possibilità di concorrere per una nomina di così alto prestigio. La Sanità è un settore che conosco da ormai più di 20 anni, è stato il mio primo “amore” accademico fin dalla tesi di Laurea. È un ambito estremamente complicato nel quale non si è mai realmente preparati a sufficienza: la complessità dal punto di vista istituzionale, l’ingente ammontare di risorse investite che al tempo stesso non crescono con lo stesso ritmo con cui crescono le nuove esigenze di investimenti trainate da innovazione tecnologica, invecchiamenti della popolazione, ecc,. la criticità dei servizi per garantire la salute non solo delle persone, ma del sistema socio-economico. Ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con chi ha contribuito a delineare l’architettura del nostro sistema sanitario alla fine degli anni ’70 e di essere con tante colleghe e colleghi tra coloro che con le loro ricerche contribuiscono ad offrire stimoli per la riorganizzazione e l’innovazione degli assetti e dei modelli organizzativi dei sistemi sanitari. Le conoscenze che ho assorbito nel corso della mia carriera mi pongono quindi in una condizione privilegiata per svolgere il mio lavoro e, dall’altro lato, mi rendono consapevole della grande responsabilità che accompagna il mio ruolo. È in virtù di questo portato che percepisco in Istituto grandi aspettative nei miei riguardi; ho accettato la sfida, con la consapevolezza che potrò essere all’altezza solo grazie al contributo di tutta la squadra del Besta, con tutte le persone che quotidianamente dedicano le loro competenze, professionalità, energia, passione e dedizione alla ricerca scientifica, alla cura dei pazienti e alla formazione. Sarà per me un onore mettere a disposizione il mio impegno, le mie competenze e la mia passione per contribuire a rendere ancora più “grande” il Besta e tutta la sua comunità.