Giuseppe Remuzzi unico italiano nella Lancet Commission on Rare Diseases

Giuseppe Remuzzi unico italiano nella Lancet Commission on Rare Diseases

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Mario Catalano

Perché ne stiamo parlando
Nata con l’obiettivo di stimolare un’azione mondiale sulle malattie rare, la Commissione riunisce ventisette esperti provenienti da sei continenti. Lo abbiamo intervistato.

Direttore dell’Istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri”, si è laureato nel 1974 in Medicina e chirurgia a Pavia, tre anni dopo si è specializzato all’università di Milano in Ematologia clinica e di laboratorio e nel 1980 in Nefrologia. La sua attività scientifica riguarda soprattutto le cause delle glomerulonefriti e i meccanismi di progressione delle malattie renali.

Giuseppe Remuzzi sarà l’unico italiano a far parte della Lancet Commission on Rare Diseases. Si tratta di una Commissione internazionale sulle malattie rare, un’iniziativa inedita dedicata a migliorare la vita delle persone che vivono con queste patologie. Nata con l’obiettivo di stimolare un’azione mondiale su questo tema, la Commissione riunisce ventisette esperti provenienti da sei continenti.

Considerando che l’Istituto Mario Negri è stato un pioniere nello studio delle malattie rare in Italia, quali sono le principali sfide che ha riscontrato nel portare l’esperienza italiana a livello internazionale all’interno della Commissione?

«Sì, non è elegante che lo dica io ma il Mario Negri è stato un pioniere nello studio delle malattie rare in Italia. Erano i primi anni ‘90, la gente ci chiedeva “Perché dedicare loro un intero istituto? Quali sono, quante sono queste malattie? Non ci sono tante malattie più importanti che mietono milioni di vittime da conoscere meglio e da curare?”. Sarebbe bastato qualche giorno per capire che dedicare un intero istituto allo studio delle malattie rare non era un’idea bizzarra, ma rispondeva a un bisogno reale.

Non appena i giornali riportarono la notizia della nascita di un centro per le malattie rare, il centralino telefonico dell’Istituto fu sommerso di chiamate. Erano persone che avevano proprio una malattia rara, o parenti di ammalati, soprattutto genitori di bambini. Tutte le telefonate, pur nella varietà delle condizioni cliniche che riferivano e delle situazioni personali che descrivevano, tutte testimoniavano l’urgenza di avere risposte precise a tanti diversi quesiti a cui non avevano ancora trovato risposta.

Le persone salutavano con entusiasmo l’idea che finalmente qualcuno si accorgesse di loro, premevano perché i ricercatori si mettessero subito al lavoro per scoprire la causa della loro malattia, e magari anche la cura.

Era come scoprire un mondo sconosciuto, sommerso, ignorato o sottovalutato non solo dall’opinione pubblica, ma anche – stando ai racconti – dalla medicina e dal sistema sanitario. La migliore risposta ai quesiti di cui sopra – perché occuparsi delle malattie rare – la stavano dando i pazienti.

Allora, nessuno o quasi in Europa si occupava di malattie rare, al punto che quando nel 1994 organizzammo un convegno internazionale (le basti sapere che tra gli speaker c’era la dottoressa Haffner, che in America alla Food and Drug Administration era capo dell’ufficio per i farmaci orfani; o la signora Abbey Meyers, fondatrice della federazione americana delle associazioni di pazienti con malattie rare, la mitica NORD) ebbene c’erano quasi più relatori che persone del pubblico.

Oggi quasi ogni settimana, in Italia e in Europa si organizza un convegno, ci sono associazioni di pazienti, iniziative di ogni genere in sostegno alle malattie rare da parte della cosiddetta società civile. Ancora. Negli anni ‘90 in Europa non esisteva una legge che promuovesse i farmaci per le malattie rare, i farmaci orfani, legge che in America è stata varata nel 1983. I fondi per la ricerca per le malattie rare erano scarsi o inesistenti.

Questa esperienza sarà preziosa da portare all’interno della Commissione, anche se da allora a oggi è cambiato tutto. La Commissione si concentrerà su cinque aree chiave, tra cui i sistemi sociali e sanitari e i percorsi clinici».

Come pensa che la creazione di una European Medicines Facility, da lei sostenuta, potrebbe influenzare positivamente queste aree per i pazienti con malattie rare?

«Quello che farò all’interno della Lancet Commission è sostenere la creazione di una infrastruttura che permetterebbe all’Europa di essere più autonoma sia rispetto alle emergenze sia rispetto alle malattie rare, ma che potrebbe anche essere da beneficio per i Paesi più poveri, che avrebbero il vantaggio di acquistare farmaci da un’agenzia di questo tipo, con costi più contenuti rispetto a quelli dell’industria farmaceutica. Il ruolo dell’industria sarà fondamentale».

Ha sottolineato l’importanza di incentivare l’industria farmaceutica a investire nei farmaci orfani. Quali meccanismi specifici proporrà all’interno della Commissione per garantire che la ricerca industriale nel campo delle malattie rare continui a progredire e a produrre benefici per i pazienti?

«Credo che si debba continuare a incentivare la ricerca sui farmaci orfani, come peraltro si sta già facendo sia in Europa che negli Stati Uniti, con un’estensione ragionevole della durata del brevetto, con l’accesso a procedure rapide di approvazione dei farmaci veramente innovativi e con la garanzia che l’industria possa avere un ritorno adeguato dagli investimenti. Quello che è importante però è non perdere di vista le esigenze degli ammalati per inseguire un profitto che qualche volta è francamente eccessivo.

Non è più possibile che l’industria faccia trattative dirette con le agenzie regolatorie. I costi dei farmaci, compreso quello che si è speso per ricerca su molecole che non diventeranno mai un farmaco o su terapie geniche che non arriveranno in porto, dovranno continuare a essere remunerati ma è necessario conoscerli, in modo che la trattativa sul prezzo finale sia frutto di una discussione approfondita sull’investimento che è stato necessario e non sia il “quanto più riesco a spuntare” a guidare la trattativa per il prezzo.

Vorrei ricordare quanto scriveva George Wilhelm Merck nel 1950: “We try never to forget that medicine is for the people. It is not for the profits. The profits follow, and if we have remembered that, they have never failed to appear”. È a questo, secondo me, che bisogna tornare perché i rapporti fra accademia, industria, autorità regolatorie e malati di malattie rare tornino a essere su un binario che tende all’equità».

La Commissione mira a fornire raccomandazioni specifiche e attuabili. Quali sono i primi passi concreti che si aspetta che vengano intrapresi a livello globale per migliorare la visibilità, il riconoscimento e l’accesso alle cure per le persone affette da malattie rare?

«Sì, è vero: i primi passi hanno a che fare con la visibilità. Disparità e stigma dipendono dalla mancanza di visibilità da parte dei sistemi sanitari e più in generale dalla società rispetto a chi soffre di malattie rare.

E allora la Commissione del Lancet si dividerà in cinque gruppi: visibilità per i diritti umani, in modo che i governi possano essere messi di fronte alle loro responsabilità verso i malati di malattie rare e siano incentivati a orientare le loro leggi in questa direzione; visibilità nella società e nei servizi, in modo da incoraggiare i servizi sanitari di tutti i paesi ad ascoltare gli ammalati di malattie rare; visibilità nei dati e nella metrica, vuole dire raccogliere e analizzare tutti i dati disponibili in modo da riconoscere le malattie rare e tenere il conto nel modo più preciso possibile di quanti sono i pazienti che ne soffrono; visibilità nei sistemi sanitari, per ridurre quella che molti ormai chiamano “odissea diagnostica” (pazienti che migrano da una parte all’altra); visibilità per il percorso clinico: questo gruppo esplorerà a che punto siamo con i trattamenti per gli ammalati di malattie rare».

Keypoints

  • Giuseppe Remuzzi unico italiano nella Lancet Commission on Rare Diseases
  • Laureato in Medicina e chirurgia a Pavia, si è specializzato in Ematologia clinica e di laboratorio e in Nefrologia
  • Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” è stato un pioniere in Italia nello studio delle malattie rare
  • La Lancet Commission on Rare Diseases è una commissione internazionale che mira a migliorare la vita delle persone affette da malattie rare
  • L’European Medicines Facility può rendere l’Europa più autonoma nella gestione delle emergenze e delle malattie rare
  • I farmaci orfani sono destinati al trattamento delle malattie rare

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