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Laura Patrucco (ASSD-EUPATI): “La telemedicina è un’opportunità, ma solo se informata”

Perché ne stiamo parlando
La pandemia ha dato il via al più grande esperimento di ricorso di massa alla telemedicina. I risultati sono stati straordinari, tanto che si è deciso di implementarla anche in tempi di “pace”. In Italia se ne parla molto e livello generale ma poco si è approfondito su cosa può significare per il paziente.

“La trasformazione del mondo salute è stata ed è soprattutto in termini di digitale. Ma ancor prima vuole e deve essere una rivoluzione culturale del concetto di approccio alla cura della salute: il digitale come simbolo dell’innovazione anche del paziente. La telemedicina va pensata come parte di un percorso di sanità in cui accorciare distanze secondo umanizzazione tecnologica”. Secondo Laura Patrucco, vicepresidente dell’Associazione Scientifica Sanità Digitale (ASSD) – EUPATI Patient Expert and Advocate, è questo quello che si aspettano i pazienti che si approcciano alle visite da remoto con il clinico e ai telemonitoraggi per il controllo da distanza della propria salute.

Perché la telemedicina può essere considerata un’opportunità peri pazienti?

“La telemedicina può considerarsi una opportunità se vista in prospettiva paziente, come strumento per avvicinare la cura al paziente stesso, mantenendo il bisogno al centro, secondo concetti d’uso come semplificazione, territorialità, formazione. Un’opportunità anche per l’assistenza medico scolastica, nell’idea di realizzare risparmi di tempo. La telemedicina può divenire strumento di interazione paziente-paziente, in termini di relazione e confronto, con la complicità dei social network, aldilà della struttura di riferimento, per condividere esperienze simili con altri pazienti. La telemedicina è dunque un’opportunità, ma solo se informata. Digitalizzare la salute significa digitalizzare il paziente”.

Non c’è il rischio di contrarre ulteriormente tempi e spazi fisici al rapporto “tradizionale” medico-paziente?

“Naturalmente la telemedicina non ha lo scopo di sostituirsi alla medicina in presenza, alle visite mediche e specialistiche dal vivo. Piuttosto può definirsi complementare e, in molti casi, più idonea per permettere riscontri più rapidi. Indubbio il beneficio e l’utilità per monitorare i pazienti affetti da cronicità. Se partiamo dal presupposto che il tempo è cura, inevitabile assegnare un profondo valore ad una visita che possa trasferire senso di condivisione, di accoglienza, di ascolto, perché percepita come dedicata. Il delta non sempre va individuato nella presenza fisica o meno, direi piuttosto nel senso di inter-azione che genera relazione conferendo vera alleanza terapeutica. Il fine dunque giustifica i mezzi, anche con un servizio digitale. Sarà importante parlare di telemedicina non solo come servizio squisitamente performante. Sarà impattante e convincente trasferire un concetto di visita umanizzata anche a distanza, in cui i protagonisti siano i pazienti adeguatamente connessi perché ‘engaged’”.

Quali sono i punti critici della telemedicina oggi per i pazienti?

“Un limite sostanziale è sicuramente la possibilità e la modalità di accesso alla telemedicina per tutti, in quanto ad oggi risulta che circa 26 milioni di italiani siano senza competenze digitali di base, secondo fonti ministeriali. La corretta in-formazione è veramente conditio sine qua non affinché la

tecnologia riduca le diseguaglianze sociali. Va ricordato che in piena pandemia, a causa di una mancata educazione digitale, una buona parte dei pazienti ha avuto difficoltà di accesso ai teleservizi e alla telemedicina, divenuti in quel momento unica alternativa alla cura, configurando dunque il digitale una vera forbice sociale. Motivo per il quale come ASSD – Associazione Scientifica Sanità Digitale abbiamo in primis carcato di mappare il grado di conoscenza della digitalizzazione sanitaria, riscontrando che oltre il 70% degli intervistati (pazienti oncologici) non era a conoscenza della realtà sanità digitale e in particolare della telemedicina. Al contempo, è stata rilevante nei dati raccolti con la survey, la richiesta degli stessi pazienti di formazione in sanità digitale, compresi i caregiver e gli operatori sanitari. Ha senso allora parlare di centralità del paziente se partiamo dalle sue reali aspettative, motivo per il quale come ASSD abbiamo creato dei percorsi di alfabetizzazione digitale online, per rendere il digitale una vera e propria opportunità di cura”.

Come deve essere disegnata per andare incontro ai pazienti?

“La telemedicina come servizio per il paziente deve essere pensata come una variabile dipendente, a disposizione dell’utente, mentre ad oggi si viaggia ancora a due velocità differenti, quella della tecnologia e quella del paziente utilizzatore. La vera sfida è recepire processi di iniziazione ai servizi digitali attraverso un’opportuna alfabetizzazione sanitaria declinata alla tecnologia, per il paziente e per tutti i suoi interlocutori. I pazienti adeguatamente formati possono acquisire opportuna consapevolezza del valore aggiunto di un servizio come la telemedicina, a patto di sviluppare competenze secondo percorsi di educazione culturale e di vera formazione, passando per una co-progettazione delle piattaforme di telemedicina, in cui si garantisca accesso del paziente ai teleservizi. L’alfabetizzazione serve per creare anche fiducia nell’utente finale, che deve essere coinvolto e informato. Serve investire per creare valore non solo economico, ma per realizzare una telemedicina compliante e fruibile dal paziente”.

Quali sono le aree della salute in cui i pazienti possono trarre maggior beneficio dalla telemedicina?

“Il concetto della visita a distanza ha ricadute che si differenziano in maniera piuttosto sostanziale a seconda dell’area di cura. L’oncologia è quella che ha un potenziale ancora inespresso, ma ben veicolato dai progetti di teleonconcologia, che vorrebbe umanizzare per personalizzare una medicina già orientata, rendendola partecipata da tutti i suoi interlocutori, pazienti inclusi. L’innovazione tecnologica può incontrare i bisogni del paziente oncologico laddove vi sia sviluppo di un’oncologia territoriale secondo un concetto di medicina di prossimità che preveda la telemedicina nei follow up. Fondamentale nel concetto di un ‘patient journey’ oncologico multidisciplinare promuovere campagne di awareness con azioni di advocacy per la formazione dei pazienti, riducendo le distanze tra cura digitalizzata e utente. L’esperienza associativa ha rivelato quanto i pazienti di ogni estrazione, in particolare le donne che devono affrontare terapie oncologiche impattanti sulla propria sfera del femminile, vorrebbero avere la possibilità di accesso a visite con lo psico-oncologo, la possibilità di un confronto, un dialogo con questo caregiver delle mente. La tecnologia umanizzata, sottolineo umanizzata, potrebbe trasformarsi in un momento di cura attraverso un semplice, si fa per dire, dialogo a distanza, in cui lo schermo può essere un filtro a quello stigma ancora da superare, secondo il quale quel tipo di visita è per ‘i diversi’. Le associazioni pazienti stanno promuovendo campagne di empowerment alla salute digitale, sottoscrivendo soprattutto dall’esperienza pandemica, la possibilità di accedere a servizi digitali fruibili perché pensati per i pazienti, oltre che per gli enti erogatori”.

Come garantire il binomio sanità e digitale affinché il bisogno del paziente si traduca in servizio di cura e non in disuguaglianze di accesso?

“In primis tutti i players coinvolti devono pensare nuovi ‘digital mindset’ che vadano a ripristinare il senso del valoriale delle persone in salute prima che in malattia. Innovazione è digitale, ma anche digitale è innovazione, secondo un’equazione in cui le variabili siano l’inclusione ed il paziente. Un’equazione che può generare valore se la premessa è la co-progettazione del percorso di cura. Sarà importante ripensare una sanità digitale ‘human oriented’, non solo al servizio, ma al servizio della persona, secondo quell’evoluzione del paziente che ad oggi è esperto, informato e consapevole. Un paziente che ha spostato il proprio baricentro dal bisogno di cura al desiderio di conoscere per curarsi e decidere insieme al medico. Il vero engagement del paziente parte da un adeguato responsabilizzarsi, lo chiamano empowerment, in cui prendere atto che per parlare di co-progettazione di cura con il digitale servono strumenti e dialogo alla pari. Una ‘digital patient advocacy’ dunque per creare conoscenza e formazione, attivando nuove competenze tecniche di chi utilizza, ma anche di chi eroga un servizio. Non si parlerà più solo di evoluzione tecnologica, ma di

cambio paradigma per la governance sanitaria. Perché digitale, quindi teleservizi, telemedicina, telemonitoraggio, significa anche fattori sociali e la formazione è strumento assoluto per ridurre il digital divide e generare una sanità digitale equa e quindi di valore. La cura dell’analfabetismo digitale è il Paziente in-formato, con la sua experience, ma anche con il suo tecnicismo acquisito. Perché il digital divide è il principale effetto collaterale che genera ridotto accesso alle cure, ai servizi digitali, che quindi finiscono per trasformarsi in disservizi. Chi invece eroga questi servizi ha la grande responsabilità di garantire equo accesso a tutti, con l’alfabetizzazione digitale. Il corretto utilizzo della tecnologia che cura deve poter stabilire una relazione alla pari con la comunità, grazie ad un empowerment trasversale, in cui la conoscenza è la chiave di accesso alla salute”.

La telemedicina può davvero rivoluzionare la cura e l’assistenza dei pazienti, ma solo se disegnata e sviluppata sui suoi bisogni. Non sarà un’impresa semplice, considerate sia la variabilità dei bisogni sia del livello di “alfabetizzazione digitale” in Italia. Su questo le associazioni dei pazienti possono giocare un ruolo importante, ma serve un adeguato riconoscimento del loro lavoro e un programma preciso di in-formazione. Elementi, quest’ultimi, che potrebbero non essere garantiti dal neonato Progetto Nazionale di Telemedicina, un portale nazionale che punta a creare ed aumentare le competenze, ma di cui sappiamo ancora ben poco.

Keypoints

  • La telemedicina va pensata come parte di un percorso di sanità in cui accorciare distanze secondo umanizzazione tecnologica.
  • Digitalizzare la salute significa digitalizzare il paziente.
  • Ad oggi risulta che circa 26 milioni di italiani siano senza competenze digitali di base.
  • La corretta in-formazione è veramente conditio sine qua non affinché la tecnologia riduca le diseguaglianze sociali.
  • Oggi si viaggia ancora a due velocità differenti, quella della tecnologia e quella del paziente utilizzatore
  • Serve investire per creare valore non solo economico, ma per realizzare una telemedicina compliante e fruibile dal paziente.
  • L’innovazione tecnologica può incontrare i bisogni del paziente oncologico laddove vi sia sviluppo di un’oncologia territoriale.
  • Le associazioni pazienti stanno promuovendo campagne di empowerment alla salute digitale.

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