In Italia, si stima che circa 2 milioni di persone convivano con una malattia rara – dei quali il 20% in età pediatrica -, un dato che rappresenta una parte significativa della popolazione, considerando che le malattie rare colpiscono circa 1 persona ogni 2.000 abitanti. Ma il nostro paese come sta affrontando le sfide della ricerca su questo tipo di patologie? Come si sta preparando a livello di sistema Paese? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Greco, Presidente di Federchimica Assobiotec e Amministratore delegato di AbbVie Italia, a margine dell’evento “La ricerca sulle Malattie Rare in Italia – Opportunità e sfide” organizzato da Assobiotec e dalla Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO all’interno del programma del Rare Disease day 2025. «Abbiamo notato un grande coinvolgimento degli interlocutori e dei partecipanti, l’auspicio è che ci sia nei prossimi mesi un risultato tangibile di questo coinvolgimento e voglia di riportare risultati concreti», racconta.
Presidente Greco, durante l’incontro sono emerse varie proposte e spunti su un piano d’azione per accelerare sulle malattie rare nei prossimi 12 mesi. Partiamo dalla ricerca, cosa si dovrebbe fare?
«La ricerca sulle malattie rare, va premesso, affronta molte difficoltà. Attualmente, solo il 5% di queste patologie ha una cura identificata. Le malattie rare rappresentano un paradigma delle sfide del settore sanitario nel trovare soluzioni efficaci. Inoltre, il ritorno economico limitato dovuto al numero ristretto di beneficiari rende la ricerca ancora più complessa».
Il contesto non è dei migliori, come si può dunque agevolare la ricerca?
«Abbiamo individuato alcuni aspetti chiave. Il primo riguarda la collaborazione tra i vari attori in gioco e l’ampliamento del coinvolgimento dei pazienti, che possono fornire un contributo essenziale nella definizione degli obiettivi e nella progettazione degli studi clinici. Occorre semplificare le istruzioni e le spiegazioni fornite ai pazienti, identificare le difficoltà legate alla logistica e alle questioni economico-finanziarie di chi si sposta per partecipare a uno studio clinico, e migliorare l’uso dei dati per arricchire le informazioni disponibili. Un altro punto cruciale è la semplificazione delle procedure amministrative, un aspetto su cui AIFA e il ministero della Salute si sono già impegnati».
Quali altre attività andrebbero svolte?
«Un altro elemento fondamentale è la formazione e il coordinamento del personale sanitario all’interno degli ospedali, che spesso è oberato perché si trova a dover bilanciare l’assistenza clinica con l’attività di ricerca. Occorre garantire un supporto specifico ai pazienti coinvolti nelle sperimentazioni, fornendo loro informazioni chiare e un coordinamento adeguato. Inoltre, è essenziale favorire la collaborazione tra pubblico e privato: il settore privato può mettere a disposizione risorse e competenze, mentre il pubblico fornisce l’infrastruttura necessaria».
Parlando di pubblico, dal novembre 2023 il ministero della Salute ha avviato un tavolo sulla sperimentazione clinica. A che punto siamo?
«Durante l’incontro è stato ribadito che il tavolo ministeriale sulla sperimentazione clinica rappresenta il contesto più adatto per raccogliere le esigenze di tutti gli stakeholder. Sono in corso lavori su diverse aree e mi auguro che entro l’anno si possano vedere risultati concreti. Una proposta interessante, avanzata dall’onorevole Ugo Cappellacci, Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, riguarda l’avvio di un’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia. Questo permetterebbe di approfondire gli aspetti che ci rendono meno competitivi rispetto ad altri Paesi europei nell’attrazione di sperimentazioni cliniche e di aumentare l’attenzione politica su questi temi. L’AIFA ha segnalato che negli ultimi anni c’è stato un calo degli studi clinici in Italia, in particolare sulle malattie rare, a causa del ritardo nell’adeguamento alle normative europee. A differenza di Paesi come Germania e Francia, l’Italia non ha dato priorità alle sperimentazioni cliniche nella strategia complessiva del paese, ma c’è la volontà di recuperare terreno sfruttando le eccellenze scientifiche di alto livello presenti nel nostro Paese».
Passiamo all’accesso, quali sono dei passi concreti da questo punto di vista?
«Anche in questo ambito le malattie rare rappresentano un esempio significativo delle criticità del Servizio Sanitario Nazionale. L’Italia vanta un’eccellenza normativa su questo tema, grazie al Piano Nazionale per le Malattie Rare e allo screening neonatale, strumenti che pochi Paesi possiedono. Tuttavia, è necessario renderli pienamente operativi, accelerando sull’aggiornamento dei LEA e sull’emanazione dei decreti attuativi».
Cosa si può fare in concreto?
«Attualmente, le regole di rimborsabilità non sono pensate per i farmaci orfani ma per quelli di uso generale. Di conseguenza, molti farmaci che dovrebbero essere considerati innovativi non vengono riconosciuti come tali, poiché non soddisfano criteri pensati però per altri tipi di medicinali. Solo il 60% dei farmaci orfani viene riconosciuto come innovativo, con conseguenze sull’accesso ai trattamenti. Ci auguriamo che, con la revisione dei criteri di innovatività da parte di AIFA, si tenga conto di questa specificità. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’accesso precoce a determinate terapie già approvate a livello europeo».
Come accade in altri Paesi Ue…
«Esatto, in altri Paesi, come ad esempio la Francia, esistono programmi di early access che consentono ai pazienti, in condizioni specifiche, di accedere alle terapie prima che queste intraprendano l’iter della rimborsabilità. Se l’Italia introducesse criteri di innovatività più inclusivi per i farmaci orfani e definisse un percorso di early access, sarebbe un passo avanti significativo per il miglioramento del trattamento dei pazienti. Infine, auspichiamo lo sviluppo a breve di un progetto pilota per individuare un percorso alternativo sostenibile per le terapie geniche one-shot. La sostenibilità passa anche attraverso una revisione del modo in cui vengono stabiliti i costi, garantendo un equilibrio tra innovazione e accessibilità».