«Per me innovare significa sviluppare nuove idee, identificare nuovi approcci e lavorare a nuove possibili terapie a beneficio dei pazienti».
Professoressa ordinaria di patologia generale all’Humanitas University, Maria Rescigno affianca alla didattica la ricerca in laboratorio. All’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano), sta lavorando allo sviluppo di un vaccino per neutralizzare alcuni tipi di tumore. Ma non solo.
Rescigno è stata una pioniera nel comprendere il ruolo chiave del microbiota per il nostro benessere: «Può influenzare alcune terapie oncologiche» spiega. E così, con il team del Laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota, che dirige, studia il ruolo del microbiota in diverse patologie, incluso i tumori, e l’utilizzo dei batteri buoni per indurre una risposta antitumorale. In altre parole, per capire se un microbiota sano può favorire l’immunoterapia.
Intanto, nell’ultimo anno ha vinto il «Women in cancer Research Award» assegnato da Fondazione Pezcoller e dall’European Association for Cancer Research (EACR) ed è stata eletta accademica dei Lincei. Congratulazioni.
«Grazie. Per me è un grandissimo onore e un’opportunità entrare a far parte dell’Accademia
dei Lincei, che gioca un ruolo fondamentale nel promuovere la scienza e la cultura e, pur essendo antica, ha una missione molto moderna: facilitare lo scambio di idee e di saperi al di là dei confini disciplinari e delle specializzazioni.
Mi auguro di contribuire attivamente a questa missione e di poter incoraggiare soprattutto i più giovani. Molti ragazzi e molte ragazze oggi, dopo il dottorato, abbandonano la ricerca, sfiduciati come sono dagli anni di precariato che li attendono se non abbandonano l’Italia.
Come accademica dei Lincei spero non solo di contribuire a mantenere vivo il loro interesse nei confronti della ricerca e dell’innovazione, ma anche di spingere il nostro governo e in generale il Paese a investire di più in ricerca, perché i paesi più sviluppati e industrializzati sono quelli che investono di più in ricerca. Non a caso i vaccini per il Covid sono stati messi a punto da paesi che destinano più fondi alla scienza: Germania, Inghilterra e Stati Uniti.
Così come sono molto onorata del premio Pezcoller-Marina Larcher Fogazzaro-EACR «Women in cancer Research Award» assegnato da Fondazione Pezcoller e dall’European Association for Cancer Research: è un riconoscimento internazionale importante e per chi fa ricerca il confronto con colleghi e colleghe di tutto il mondo è fondamentale. Abbiamo idee che possono migliorare la cura dei pazienti, ma solo se abbiamo uno standing internazionale quelle idee si tramuteranno in qualcosa di utile».
Parliamo della sua attività di ricerca: perché ha iniziato a studiare il microbiota?
«Se ci pensate il nostro sistema immunitario svolge la sua funzione principale nell’intestino, dove è bombardato da tantissimi microrganismi. Allora mi sono chiesta: come mai il sistema immunitario, che è programmato per eliminare i patogeni, tollera la miriade di microrganismi presenti nell’intestino e non scatena la risposta immunitaria nei loro confronti? Ad accendere la mia attenzione sullo studio del microbiota ha contribuito un viaggio in Guatemala, durante il quale ho contratto la cosiddetta malattia del viaggiatore.
Quando sono tornata in Italia mio papà, farmacista, mi chiese se avessi preso i fermenti lattici. Così da allora ho deciso di studiare l’interazione tra il nostro organismo e i nostri piccoli ospiti, che all’epoca chiamavamo flora batterica».
Di fatto parliamo di oltre mille miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi che svolgono funzioni importanti per la nostra salute. Sono ospiti graditi, insomma.
«In realtà sono ospiti che teniamo a bada e fisicamente separati dal resto dell’organismo, dal nostro primo strato di cellule epiteliali, attraverso il muco che fa da cuscinetto tra i microrganismi presenti nel lume intestinale e le prime cellule della parete intestinale. Studiandoli, abbiamo visto che le cellule dendritiche, cellule del sistema immunitario specializzate nell’accendere o spegnere la risposta immunitaria, emettono una sorta di periscopi che raggiungono il lume intestinale e fanno il campionamento dei microrganismi intestinali permettendo al sistema immunitario di riconoscerli come parte di noi stessi e tollerarli.
Contemporaneamente, però, abbiamo una barriera fisica per evitare che quello che è sulla parete di questi batteri possa indurre infiammazione. Di fatto abbiamo scoperto che le nostre cellule dendritiche sono come delle sentinelle e laddove intercettano un microrganismo più aggressivo, che non riconoscono come buono, fanno sì che il nostro organismo scateni la risposta immunitaria. In pratica, noi viviamo in continuo equilibrio tra conservare i microrganismi presenti nell’intestino ed essere pronti a difenderci dai patogeni».
Via via, studiando il microbiota avete scoperto che influenza l’efficacia delle terapie e anche delle immunoterapie?
«Esattamente, abbiamo pubblicato un lavoro finanziato dalla Fondazione AIRC e dall’associazione Alan Ghitis in cui evidenziamo che il microbiota, in particolare alcuni batteri, i lactobacilli, rilasciano delle sostanze, che abbiamo chiamato postbiotici, per distinguerli dai probiotici. Se i prebiotici sono le fibre di cui si nutrono i microrganismi, i postbiotici sono rilasciati dai batteri probiotici dopo aver digerito il cibo.
Queste sostanze sono i mediatori dell’attività benefica del microbiota nei nostri confronti. In particolare, a proposito del ruolo del microbiota sull’efficacia delle terapie oncologiche, abbiamo visto che alcuni postbiotici sono in grado di aumentare l’espressione sulle cellule tumorali di una molecola di riconoscimento, che si chiama HLA, che permette di identificare la cellula neoplastica».
Se capisco bene, è una sorta di tag che consente di smascherare la cellula tumorale?
«Sì. Il punto è che, per un meccanismo del tutto darwiniano di selezione, la cellula tumorale riduce l’espressione di queste molecole e così non viene riconosciuta dal sistema immunitario e cresce a scapito delle altre. In pratica, così il tumore evade il riconoscimento del sistema immunitario, attua quello che definiamo un meccanismo di immunoevasione.
Ebbene, questi psotbiotici sono in grado di aumentare l’espressione di queste bandierine di riconoscimento sulla superficie delle cellule tumorali, contribuendo all’efficacia dell’immunoterapia. Perché l’immunoterapia stimola le cellule del sistema immunitario e noi agiamo sul tumore stesso rendendolo più visibile: questa azione potenzia l’attività dell’immunoterapia».
A proposito di immunoterapia in ambito oncologico, professoressa, in che modo la tecnologia dell’mRNA, per la quale Katalin Karikó e Drew Weissman sono stati insigniti del Nobel per la medicina 2023, può rivoluzionare l’approccio terapeutico delle malattie oncologiche?
«La tecnologia dell’mRNA è nata in prima istanza per correggere alcuni difetti genetici, poi è stata usata per sviluppare i vaccini per la cura dei tumori e poi la stessa tecnologia è stata mutuata per lo sviluppo dei vaccini anti Covid. Si tratta di una tecnologia molto veloce che permette, dopo l’identificazione all’interno del tumore del paziente, attraverso le tecniche di sequenziamento, delle mutazioni associate al tumore stesso, di trasferire queste informazioni, attraverso l’RNA, in un vaccino in modo da poter bersagliare proprio le mutazioni di quel paziente: solo le cellule tumorali e non quelle sane.
Questa tecnologia, essendo veloce, permette di approntare un vaccino personalizzato in tempi non biblici, ma compatibili con la corsa contro il tempo che deve affrontare un paziente oncologico. Questi protocolli sono già in clinica e stanno dimostrando un’efficacia molto alta, anche al di sopra delle aspettative».
A proposito di innovazione e di portare l’innovazione a disposizione dei pazienti, lei nel 2016 ha fondato Postbiotica come spin-off dell’Università di Milano. Perché e come prosegue l’attività?
«Tutto è nato dal desiderio di voler portare i risultati della nostra ricerca al letto del paziente e dalla consapevolezza che qualsiasi nuova scoperta deve essere protetta da brevetto affinché ne possano beneficiare proprio i pazienti. Perché nessuna scoperta diventa di interesse per un’azienda farmaceutica, che poi di fatto sviluppa un nuovo farmaco, se non c’è dietro una copertura brevettuale.
Ma il brevetto è solo l’inizio. Molte aziende, infatti, non hanno interesse a investire solo su un brevetto. Deve essere fatto allora un ulteriore passo che permetta di rendere più appetibile quel brevetto e qui entrano in gioco le startup che fanno da congiunzione tra la scoperta e il brevetto e l’azienda che potrà sfruttare a pieno quelle conoscenze per portare un nuovo farmaco al paziente.
Ebbene, nel lavorare sul microbiota ci siamo resi conto che potevamo offrire ai pazienti qualcosa che non fosse un farmaco ma un integratore naturale utile a coprire le esigenze dell’organismo quando, a causa di una disbiosi, una condizione cioè di squilibrio causata da una crescita eccessiva di batteri “cattivi” all’interno dell’intestino, o di momenti traumatici che possono portare a carenze, è importante ripristinare l’integrità della barriera intestinale.
In altre parole gli integratori che abbiamo sviluppato possono essere utili in caso di alcuni disturbi con cui le persone convivono, soprattutto le donne. Non sono malattie ma comunque compromettono la qualità della vita. Mi riferisco per esempio a prodotti specifici per la sindrome del colon irritabile che alleviano i sintomi, come la flatulenza, la stipsi, la dissenteria.
Altri integratori invece sono di supportive care per i pazienti in terapia oncologica che soffrono degli effetti collaterali delle terapie stesse. Si tenga presente che gli effetti collaterali possono essere tali da rendere necessario interrompere il trattamento o ridurre la dose del chemioterapico o dell’immunoterapico, inficiando l’efficacia della terapia. Ebbene, attraverso la somministrazione contemporanea di un postbiotico è possibile ridurre gli effetti collaterali e così facendo il paziente non deve interrompere la terapia o ridurre la dose. Su questo fronte stiamo lavorando a degli studi clinici ad hoc per sostanziare queste affermazioni e riuscire quindi a migliorare l’efficacia di alcune terapie oncologiche».
Professoressa, secondo lei è chiara ed efficace la comunicazione relativa al microbiota? Perché spesso se ne parla come la panacea di tutti i mali.
«È ancora una scienza tutta da scoprire: all’inizio abbiamo catalogato i microrganismi per capire chi fossero e in che modo influenzano varie patologie e oggi sappiamo che piccoli disturbi possono essere legati a variazioni del microbiota. Ora stiamo cercando di capire sempre più come intervenire a beneficio del nostro benessere. Bisogna però stare attenti perché, come spesso accade, le nuove scoperte sono associate a personaggi un po’ equivoci e anche in questo caso c’è chi cerca di cavalcare l’onda dell’interesse del pubblico nei confronti del microbiota.
Oggi il microbiota in effetti va di moda, ci sono addirittura i test per il microbiota. In alcuni casi possono essere utili, ma solo se prescritti da uno specialista in grado di leggere e interpretare questi esami. Perché il fai da te può essere deleterio. Le persone devono capire che non abbiamo una risposta per tutto e, se un medico, un nutrizionista o un ricercatore è corretto, con onestà riconosce che ci sono ancora questioni da capire. Questo è uno dei motivi per cui sono impegnata attivamente nel fare comunicazione e divulgazione».