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Marta Marsilio (IRCCS Besta): dove la migliore ricerca si traduce in assistenza di qualità

Perché l’abbiamo scelta
Esperta di Healthcare Management, professoressa di Economia aziendale all’Università Statale di Milano, a febbraio 2024 a Marta Marsilio è stata affidata la presidenza della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta.

Marta Marsilio (IRCCS Besta): dove la migliore ricerca si traduce in assistenza di qualità
Marta Marsilio, Presidente, IRCCS Istituto Neurologico "Carlo Besta"

Introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione. Questa è la definizione che il vocabolario Treccani dà di «innovazione». Per Marta Marsilio, esperta di Healthcare Management, innovare significa cambiare per migliorare. A seconda dei contesti e delle contingenze. «Può significare dotarsi di una nuova tecnologia, di nuove competenze, ampliare il team per poter far fronte a nuove sfide». Basti pensare, per esempio, alla didattica ai tempi del Covid. Non si è trattato semplicemente di spostarsi dalle aule fisiche in aule virtuali, trasferendo le lezioni sulle piattaforme digitali: «abbiamo dovuto elaborare un modo nuovo di interagire con i ragazzi e le ragazze». In altre parole, innovare significa, di volta in volta, trovare modi nuovi di rispondere a nuovi fabbisogni. «La sanità per esempio è uno dei contesti in cui l’innovazione può esprimersi in forme molto diverse».

Professoressa di Economia aziendale all’Università Statale di Milano e Presidente della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta, Marta Marsilio è la nostra innovatrice del mese.

Parlando proprio di sanità, professoressa su quali pilastri si fonda oggi la possibilità di innovare e migliorare la gestione delle strutture sanitarie e la presa in carico dei pazienti?

«Oggi quando parliamo di innovazione in ambito sanitario parliamo di nuove prospettive terapeutiche, grazie all’avanzamento della ricerca scientifica. Nuovi farmaci e terapie che possono offrire risposte di cura innovative e rispondere ai cosiddetti Unmet Medical Need, i bisogni medici insoddisfatti. Ma parliamo anche di innovazione tecnologica che consente di digitalizzare i percorsi di cura e offrire ai pazienti nuovi servizi, nuove modalità di presa in carico, fino a nuove terapie.
In Italia abbiamo una delle legislazioni più avanzate per quanto riguarda la telemedicina e l’uso della tecnologia per offrire servizi che consentono la presa in carico del paziente al suo domicilio e al contempo di ridurre il ricorso inappropriato alle strutture sanitarie.

Ma ovviamente, per poter cogliere appieno le potenzialità dell’innovazione è necessario un grandissimo sforzo organizzativo. Perché l’adozione di soluzioni innovative non è “plug and play”, non avviene in automatico: non si eroga un servizio innovativo senza la revisione dei percorsi di cura, organizzativi e dei ruoli e con l’adeguata formazione dei professionisti coinvolti, sia clinici sia tecnico-amministrativi, e senza la formazione degli utenti e dei caregiver.

Si pensi per esempio a una “banale” televisita. Per poterla erogare bisogna settare in modo nuovo l’agenda del professionista, dotarsi di un ambiente sicuro dal punto di vista del dato, disporre di una connessione che sostenga la condivisione di immagini e video. E, d’altro canto, anche l’utente deve essere in grado di usare la tecnologia per poter cogliere i benefici del servizio di telemedicina. Non si può dare per scontata la competenza digitale ma costruita. Non tutti sono nativi digitali e il digital divide non deve precludere l’equità di accesso ai servizi».

Che fare dunque?

«All’interno delle organizzazioni sanitarie il management deve essere pronto a mettere a terra le innovazioni disponibili e tradurre in realtà le linee guida. Ma il tutto deve avvenire all’interno di un perimetro istituzionale che garantisca un sostegno: a livello regolamentare, disciplinando e stabilendo delle linee guida, definendo nuovi modelli di finanziamento e dall’altro definendo standard comuni. Su questo fronte si sta facendo uno sforzo rilevante, anche grazie alle risorse del PNRR. Diverse istituzioni del SSN stanno lavorando alla realizzazione di una infrastruttura nevralgica per attivare servizi innovativi di telemedicina».

L’8 giugno 1964 la rivista scientifica Jama pubblicava un articolo – The Challenge of the Computer – in cui si sottolineava l’importanza di un’intensa attività di ricerca e sviluppo per far sì che quella promettente invenzione tecnologica che si stava all’epoca affacciando al mondo, il computer, potesse rivoluzionare anche la capacità di interpretare le osservazioni mediche a beneficio dei singoli pazienti e della scienza medica. Da allora la tecnologia ha effettivamente rivoluzionato la ricerca e la pratica clinica e oggi l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale e, come già lei ha detto, la tecnologia digitale giocano un ruolo chiave per migliorare i percorsi di cura e la ricerca.

«Stiamo vivendo un’epoca di grande accelerazione da questo punto di vista. Lo vediamo giorno per giorno all’interno delle aziende sanitarie. Oggi si discute e ci si interroga molto su quale sarà il bilanciamento tra Intelligenza Artificiale e intelligenza umana in un settore, quello sanitario, dove la responsabilità del singolo è particolarmente rilevante. Quindi è necessario definire chiaramente gli ambiti in cui l’IA può effettivamente supportare al meglio i professionisti.

I modelli di calcolo, per esempio, potenziano la capacità diagnostica e di identificazione delle terapie più appropriate. Ma bisogna definire il ruolo dell’intelligenza umana e l’assunzione di responsabilità rispetto all’atto medico eseguito sulla base dei dati forniti dai sistemi di IA. Ed è fondamentale rendere consapevole il professionista sanitario delle potenzialità di questi sistemi, ma anche dell’importanza di usarli in maniera critica. La formazione anche su questo fronte è fondamentale».

Professoressa, lei nel 2020, nel libro “Il management delle aziende sanitarie in tempo di crisi”, ha analizzato sfide e soluzioni gestionali e operative per affrontare l’emergenza Covid. Quale lezione avremmo dovuto e dobbiamo imparare per poter rispondere efficacemente alle future pandemie?

«Il libro si concludeva proprio con una serie di lezioni che ci auguravamo il sistema apprendesse dall’esperienza della pandemia per essere pronto in futuro. Sfide e lezioni che la pandemia ha posto al sistema sanitario.

Innanzitutto c’è la questione della gestione degli asset fisici degli ospedali. È fondamentale disporre di margini di flessibilità in modo tale che le strutture ospedaliere possano essere riconfigurate in maniera rapida per rispondere a nuove esigenze.

Altro aspetto riguarda la rapidità nel prendere decisioni e, quindi, l’importanza di avere cruscotti di dati real time. Durante la pandemia non eravamo sufficientemente pronti ad avere sistemi che mappassero costantemente la situazione macro di posti letto e flusso pazienti. E in tal senso è stato fatto uno sforzo enorme. È necessario dotarsi di sistemi decisionali in grado di assumere decisioni tempestive.

Altro aspetto molto rilevante è la gestione delle reti tra istituzioni su un territorio: è fondamentale non duplicare, specializzare e creare network di soggetti che possano offrire e mettere a sistema competenze specifiche.

Da non sottovalutare, poi, la clinical competence: le competenze dei professionisti. Il sistema di formazione dei professionisti va sempre più verso una iper specializzazione, che è un elemento di valore da tutelare, ma abbiamo anche la necessità di creare situazioni in cui queste competenze vengano messe a sistema per la migliore presa in carico del paziente. Sempre più, del resto, il paziente è preso in carico per un fabbisogno di salute che spesso esula da una singola patologia.

E, ovviamente, un pilastro su cui il sistema sanitario deve far leva per affrontare le sfide di salute è la digitalizzazione. Il Covid ha accelerato l’uso di alcune tecnologie, ma da allora non c’è stata una efficace accelerazione della messa a terra di progettualità specifiche come ci saremmo aspettati. È necessario allora accelerare la definizione di un adeguato quadro regolatorio e l’operatività della infrastruttura tecnologica nazionale per far innestare queste progettualità».

Professoressa, per chiudere, parliamo delle sue nuove sfide professionali. Il 2024 è iniziato per lei con una nuova e importante avventura: è stata nominata presidente della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta. Non c’è ricerca senza cura ha ricordato la senatrice Cattaneo al Simposio AFI. Ebbene, Al Besta assistenza clinica e ricerca si integrano. Quali sono gli obiettivi del suo mandato?

«Innanzitutto essere all’altezza dei professionisti che rappresento: è un incarico che vivo con grandissima responsabilità nei confronti di un istituto che ha un heritage estremamente prestigioso.

Il Besta è un IRCCS e abbiamo due importanti finalità istituzionali: fare ricerca e assistere il paziente, traducendo la ricerca in nuovi farmaci, nuove terapie e nuovi percorsi di cura. Grazie alla sinergia tra la direzione scientifica e la direzione strategia il confronto tra le due anime dell’Istituto è fortissima e grazie ai nostri professionisti di eccellenza partecipiamo a progetti nazionali e internazionali che ci consentono di essere sempre all’avanguardia rispetto alle principali innovazioni nell’ambito delle neuroscienze. Qui effettivamente la migliore ricerca si traduce in assistenza di qualità. Non a caso, la rivista statunitense Newsweek che stila il ranking dei migliori ospedali, World’s Best Hospitals, ci pone primo ospedale neurologico in Italia e tra i primi migliori al mondo per neurologia e neurochirurgia, su 2.400 strutture prese in esame di 30 Paesi.

Giorno per giorno, quindi, il mio obiettivo è mettere a disposizione tutti quei fattori che possono aiutare i ricercatori e le ricercatrici a proseguire nell’eccellenza del loro lavoro, e i clinici a erogare percorsi di cura sempre più efficienti ed efficaci. E non posso non menzionare il progetto di trasferimento dell’Istituto al polo di Sesto San Giovanni: alla Città della Salute e della Ricerca, che costituirà un nuovo complesso sanitario di ricerca clinica e formazione con due grandi eccellenze sanitarie pubbliche, l’Istituto Nazionale dei Tumori e l’Istituto Neurologico Carlo Besta. Sarà un polo di eccellenza a livello nazionale nelle neuroscienze e in oncologia».

Tutto questo dovendo fare i conti con il progressivo impoverimento del Sistema Sanitario Nazionale.

«Sicuramente viviamo in un contesto in cui le risorse sono limitate. Proprio da qui deriva l’urgenza e l’importanza di identificare in maniera chiara le priorità su cui orientare le risorse disponibili e indirizzare le nostre attività su quelle aree in cui possiamo esprimere al meglio le nostre conoscenze e competenze, in una logica di rete».

Keypoints

  • Marta Marsilio è esperta di Healthcare Management e professoressa di Economia aziendale all’Università Statale di Milano
  • Da febbraio 2024 è presidente della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta, incarico di grande responsabilità in un istituto prestigioso
  • L’innovazione in ambito sanitario significa rispondere a nuovi fabbisogni attraverso nuove tecnologie, competenze e modelli organizzativi
  • La tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale giocano un ruolo chiave nel migliorare i percorsi di cura e la ricerca
  • L’adozione di soluzioni innovative richiede sforzi organizzativi, formazione e infrastrutture tecnologiche adeguate
  • La pandemia ha evidenziato l’importanza della flessibilità delle strutture ospedaliere, della velocità decisionale, e della gestione delle reti tra istituzioni sanitarie
  • La Città della Salute e della Ricerca sarà un nuovo complesso sanitario di ricerca clinica e formazione con due eccellenze sanitarie pubbliche, l’Istituto Nazionale dei Tumori e l’Istituto Neurologico Carlo Besta. Sarà un polo di eccellenza a livello nazionale nelle neuroscienze e in oncologia

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