Una rete costituita da pazienti e medici per sostenere la diagnosi e l’innovazione terapeutica per una rara malattia poco conosciuta. È la Rete Italiana Narcolessia, risultato di anni di attività e relazione tra gli specialisti che si occupano di questa patologia e i pazienti in cura.
Il punto di partenza è Bologna, dove si trova uno dei tre centri più grandi e avanzati del mondo, il primo in Europa per numero di pazienti pediatrici trattati. «Dei 140 pazienti che seguiamo ogni anno il 15% sono bambini e adolescenti», racconta il Prof. Giuseppe Plazzi, responsabile del Centro Narcolessia dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna e docente di Neurologia.
Da un inizio difficile alla nascita di una rete che consolida il connubio medico-paziente
Da 20 anni, il gruppo multidisciplinare si occupa di seguire questi pazienti, includendo aspetti psicosociali; e per i giovani pazienti la figura dello neuropsichiatra è di supporto per i disturbi legati all’apprendimento scolastico. «All’inizio è stato molto difficile – ammette Plazzi – Avevamo scarse conoscenze sulla malattia, vedevamo pochi pazienti, e non avevamo cure. Poi l’interesse verso la narcolessia è cresciuto, insieme alle scoperte e alla ricerca; anche i pazienti hanno cominciato a unirsi ed è nata una bellissima relazione con i medici».
Da questo percorso è sorta l’idea di creare una rete nazionale, in collaborazione con i pazienti: c’è bisogno di fare rete, soprattutto perché è una malattia ancora notevolmente sottodiagnosticata: «I dati ci dicono che in Italia per solo circa 2mila pazienti si è fatta la diagnosi di narcolessia, contro i 14mila-15mila che si ipotizza siano realmente affetti», spiega il responsabile del centro bolognese. «Molti pazienti ricevono diagnosi errate, come epilessia, depressione o disturbi del movimento, con conseguenti trattamenti inappropriati. Questo problema è comune nelle malattie rare e aggravato dalla scarsa conoscenza dei disturbi del sonno, oltre alla mancanza di centri specializzati per la diagnosi e la gestione di queste patologie».
Scambio di conoscenza e impulso all’innovazione, compresa la telemedicina
Con la rete nazionale per la narcolessia si intende raggiungere persone in ogni area geografica, migliorando l’accesso alle cure e la conoscenza della malattia. Alla rete partecipano venti centri italiani che si occupano di narcolessia e l’Associazione Italiana dei Narcolettici e Ipersonni (AIN), ed è stato anche istituito un registro nazionale per raccogliere dati sulla malattia. «Ci sarà un proficuo scambio, mi auguro: dalla condivisione di linee guida diagnostiche, delle competenze tra i centri partecipanti, e dell’uso di tecnologie innovative, come device portatili, per semplificare il monitoraggio del sonno». Un esempio? «Il nostro centro ha condotto e pubblicati i primi dati molto positivi di uno studio sulla telemedicina per la narcolessia, dimostrando che le visite a distanza non sono inferiori a quelle in presenza sia per il triage che per il follow-up dei pazienti», afferma Plazzi. «La rete nazionale serve proprio per migliorare l’accesso e la gestione della malattia».
La vita per le persone che soffrono di narcolessia, il cui picco di insorgenza è a 15-16 anni e molte di questo non lo sanno, è toccata da diversi disturbi e sintomi: «Le persone si addormentano facilmente durante il giorno e anche di sera, ma il sonno notturno è frammentato e disturbato; molti pazienti avvertono l’incapacità di muoversi all’inizio del sonno o al risveglio; poi ci sono percezioni sensoriali alterate (visive, uditive, o tattili) che avvengono durante l’addormentamento o al risveglio; e le persone con narcolessia sono soggette ad una perdita improvvisa del tono muscolare in presenza di emozioni, come una risata o un’emozione piacevole: cadono, senza perdere coscienza». Le persone con narcolessia tendono ad essere in sovrappeso o obese, hanno un rischio maggiore di disturbi metabolici e, nei bambini, può verificarsi una pubertà precoce.
Ignote le cause, forse meccanismo autoimmune
La narcolessia non è una malattia genetica, ma esiste una predisposizione, con oltre il 90% dei pazienti presenta una variante specifica di un gene: «Sappiamo che la malattia è causata dalla perdita di una piccola popolazione di neuroni nell’ipotalamo laterale, che producono un peptide, l’orexina, una sostanza essenziale per regolare il ciclo sonno-veglia», ricorda il professore di Neurologia.
La scoperta, avvenuta nel Duemila, della compromissione di questi neuroni che producono l’orexina è stata determinante per poter avviare i primi esperimenti per una terapia di contenimento dei sintomi. «La scoperta del ruolo dell’orexina nel Duemila è stata rivoluzionaria per le neuroscienze, rivelando l’esistenza di un network di cellule cerebrali indispensabili per il mantenimento della veglia e della vita. Poiché l’orexina naturale non attraversa le barriere biologiche del corpo, sono stati sviluppati peptidi e molecole sintetiche in grado di agire direttamente sui recettori dell’orexina. Questi trattamenti puntano a migliorare non solo la gestione della narcolessia, ma anche altre condizioni legate a disfunzioni del sistema della veglia, rendendo la malattia un modello naturale per lo studio di tali disturbi».
Tuttavia, ricorda Plazzi «la causa della morte dei neuroni è ancora sconosciuta». Gli studiosi credono che sia un meccanismo autoimmune: un agente patogeno (non ancora identificato) potrebbe innescare una risposta immunitaria anomala, che porta alla distruzione dei neuroni dell’ipotalamo laterale responsabili della produzione di orexina.
E il centro di Bologna è attivamente coinvolto nello sviluppo di queste terapie innovative in collaborazione con aziende farmaceutiche. In particolare, sta lavorando su farmaci orexinergici di sintesi che agiscono sul recettore dell’orexina 2. Sebbene alcuni studi abbiano fallito a causa di effetti collaterali, hanno comunque dimostrato un’efficacia significativa sui sintomi. Attualmente, uno di questi farmaci, che ha superato con successo la fase II, è in fase III anche tra i pazienti dell’IRCCS di Bologna e promette di essere sicuro ed efficace nel trattamento della narcolessia.