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Pierpaola D’Alessandro, la direttrice generale che ha intuito come la telemedicina potesse cambiare la gestione di una Asl in pieno COVID

Perché l’abbiamo scelta
Pierpaola D’Alessandro ha ricoperto diversi ruoli in aziende sanitarie pubbliche e nel 2020 si è trovata a dover gestire una Asl poco digitalizzata, in piena pandemia. In poco tempo ha messo su un team multidisciplinare e trovato un responsabile che facesse decollare la telemedicina, diventando un esempio per tutto il Paese.

Pierpaola D’Alessandro, la direttrice generale che ha intuito come la telemedicina potesse cambiare la gestione di una Asl in pieno COVID
Pierpaola D’Alessandro, Vice Direttore Generale Vicario di Roma Capitale

Pierpaola D’Alessandro è la nostra innovatrice del mese. È stata Direttrice Generale della Asl Frosinone in piena pandemia, e ha saputo intuire quanto la telemedicina, applicata in senso collaborativo e multidisciplinare, potesse fare la differenza in modo sostanziale. Ha applicato un modello che ha funzionato fin da subito e oggi potrebbe essere preso a riferimento per le altre aziende sanitarie. Ha messo le persone giuste al posto giusto, ha messo a frutto la sua intensa esperienza precedente di direttore amministrativo e di ricerca in diverse strutture pubbliche, ha capito che la sanità va gestita in senso olistico e non può ridursi a una mera prestazione. E ha contribuito a rafforzare il ruolo della donna nella sanità. Per tutto questo, ha ricevuto anche il riconoscimento come Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

D’Alessandro, un’intensa carriera nella sanità pubblica, partiamo dall’inizio

Ho fatto un percorso di studi giuridici per fare la manager, non per fare il medico. Sono stata sempre attratta da quello che è l’ecosistema sanitario, cioè la possibilità di gestire dalla ricerca ai servizi al cittadino, in un senso molto ampio di risposta sanitaria: quindi non solo rispondere a un bisogno clinico immediato, ma anche di assistenza sanitaria per dare una risposta alla longevità, alla cura, alla possibilità di vivere in salute fin dalla nascita.
Ho iniziato 32 anni fa in Emilia Romagna occupandomi di trasferimento tecnologico tra industria e sistema sanitario regionale. L’obiettivo era creare valore condiviso unendo i due mondi, favorendo l’applicazione dell’innovazione tecnologica nell’assistenza.
Successivamente, ho ricoperto varie posizioni manageriali in aziende sanitarie. Prima a Bologna, dove ho gestito l’accessibilità dei servizi nell’intera area metropolitana, coordinando l’accessibilità alle prestazioni do ospedali, AUSL e IRCCS con una visione integrata. Sono stata responsabile dei servizi sanitari in tutta la provincia, per favorire omogeneità ed equità di accesso, superando le logiche a silos.
Poi la ricerca presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli, con il ruolo di promuovere l’applicazione clinica e la valorizzazione economica dei risultati della ricerca biomedica. L’Istituto ha sia attività di ricerca sia gestione ospedaliera, il mix ideale per un IRCCS. Ho lavorato per trasferire l’innovazione dai laboratori al letto del paziente.
Come Direttore Generale ASL di Frosinone, ho fatto un balzo in avanti, perché potevo mettere a frutto tutta la mia esperienza agendo dall’alto. Con una visione d’insieme, potevo agire concretamente per migliorare l’assistenza territoriale con soluzioni innovative, dopo averne gestito vari tasselli in precedenza. La visione d’insieme è fondamentale per un cambiamento sistemico.

A proposito di innovazione, la Asl di Frosinone che ha diretto come Direttrice Generale è diventata un riferimento per l’attuazione della telemedicina in Italia. Ci racconti questa esperienza

Sono arrivata nel 2020, insieme alla pandemia: tempismo perfetto! Frosinone è una provincia molto, molto estesa, che va da Cassino a Fiuggi. Significa un’estensione chilometrica importante, con l’Appennino in mezzo. I quattro poli ospedalieri non sono facili da raggiungere. Il territorio ha molte zone montane, 92 comuni. L’intuizione per prima cosa è stata nominare due bracci operativi donne, due professioniste molte capaci, come Direttore Amministrativo e sanitario, che mi supportassero nella sfida che era anche quella di riuscire ad arrivare dappertutto, senza far spostare troppo le persone.  L’ASL era carente nella digitalizzazione, con pochi servizi online.

Quindi lì ho capito che avevo bisogno di un professionista responsabile che seguisse la progettualità sul campo, e ho scelto, uno fra i migliori, il dottor Sergio Pillon, per me la persona e il professionista  più adatto ad affrontare la sfida assieme. Dovevamo anche tenere conto di una gap digital importante nella popolazione e abbiamo quindi attivato una struttura dedicata al digitale interno alla Asl. Gestivamo moltissimo da remoto. Con Sergio e con Simona Carli (la direttrice sanitaria) abbiamo costruito un gruppo di professionisti che lavorano in vari punti del territorio: dovevamo costruire la macchina da zero, dovevamo costruire l’assistenza. E ci siamo riusciti. L’emergenza Covid è stata l’occasione per attivare velocemente televisita, teleconsulto e telemonitoraggio dei pazienti a domicilio, distribuendo sul territorio medici e apparecchiature di telemedicina. È stata una svolta epocale. Ha migliorato la collaborazione interna tra professionisti di area medica, infermieristica e tecnica, superando le logiche a silos. Ha reso più capillare l’accesso ai servizi da parte dei cittadini. Ha permesso di riorganizzare l’assistenza secondo i reali bisogni emergenti, in modo flessibile.

È stato un cambio di paradigma tecnologico, ma soprattutto culturale e metodologico, impossibile senza quell’urgenza pandemica. Oggi la sfida è preservare questa spinta all’innovazione, senza tornare indietro. I vantaggi sono stati enormi in termini di integrazione, efficienza e personalizzazione delle cure.

Cosa si porta a casa da questa esperienza?

Ho visto con i miei occhi una vera innovazione programmatica: di metodo, di impostazione, ma poi anche di prodotto, perché la telemedicina è inevitabilmente un prodotto. Non è solo una metodologia, ma un’offerta di assistenza sanitaria differente. La telemedicina ha rivoluzionato la Asl Frosinone su diversi fronti: organizzazione interna, organizzazione esterna e comunicazione interna ed esterna.  Ad esempio, la collaborazione fra i diversi professionisti non è così scontata. In quel momento invece i vari professionisti hanno fatto squadra: medici, tecnici, infermieri, insieme con uno spirito rinnovato di collaborazione massima fra discipline diverse. La multidisciplinarietà è la caratteristica della telemedicina. Che non può essere inserita in silos. Non esiste una telemedicina per i diabetici o per chi ha il rischio cardiovascolare; esiste la telemedicina da usare nei diversi contesti.

Da Frosinone a Roma, oggi è Vice Direttore Generale Vicario di Roma Capitale, di cosa si occupa?

Io non mi fermo mai, ho bisogno di fare sempre nuove esperienze. Innovare e rendere la Pubblica Amministrazione davvero fruibile dal cittadino e volano economico per il Paese sono sempre stati i miei obiettivi professionali. A livello di cure erogate, il sistema, seppur tra qualche difficoltà, funziona, il problema è quando la persona esce dall’ospedale: il sistema socio-sanitario non c’è.

Questo mi ha fatto capire che non c’è dialogo tra cura ospedaliera e territorio. Manca una connessione tra Comuni, enti, istituzioni e sanità. Il bisogno sociale non ha la stessa attenzione del bisogno di cura. Noi ci concentriamo sulla malattia e ci dimentichiamo della persona. Ho colto quindi l’opportunità di questo nuovo incarico perché credo di poter dare una mano. E il PNRR può aiutarci sia sul fronte dell’innovazione sia sul fronte dell’assistenza sanitaria. In questa fase della mia vita professionale mi concentrerò quindi sull’integrazione della sanità nel territorio.

Andiamo sul personale, la sua è stata una carriera intensa, difficile oggi per una donna. Come è riuscita a conciliare una vita così impegnativa con gli impegni famigliari?

Non è semplice, ma si può fare. Le esperienze fuori sede arricchiscono sia professionalmente sia umanamente, i frequenti viaggi aiutano a conoscere davvero il tessuto sociale e le problematiche di vita, si incontra tantissima gente diversa, va però gestita la distanza dalla famiglia e anche questo è un arricchimento nella relazione. Spesso le donne manager sono più stanziali per conciliare carriera e maternità. Andrebbero supportati percorsi professionali di crescita senza trasferimenti geografici, e collaborazioni fra aziende. Le organizzazioni sanitarie sono oggi molto “rosa” a differenza del passato, ma non hanno adeguato conseguentemente i modelli organizzativi e di carriera. Serve integrare competenze e sensibilità femminili.

La diversity è un potenziale enorme se adeguatamente valorizzata. Le aziende devono comprendere esigenze diverse e fornire strumenti di conciliazione vita-lavoro. Ma noi donne dobbiamo anche imparare a delegare, e non caricarsi di tutto. Il cambiamento richiede impegno da entrambe le parti.

Qual è oggi la principale sfida per innovare la sanità pubblica secondo lei? E quali sono le opportunità da cogliere assolutamente?

L’integrazione socio-sanitaria è la vera urgenza. Oggi curiamo il bisogno clinico, ma il paziente esce dall’ospedale senza continuità con il territorio. Manca un’assistenza olistica, occorre superare la frammentazione.
Con il PNRR abbiamo l’opportunità di ripensare i servizi territoriali in ottica interdisciplinare. Ma innovazione è soprattutto un cambio di mentalità: vedere la salute come benessere complessivo della persona, non come erogazione puntuale di una prestazione.
Serve un nuovo mindset dell’organizzazione. Approcci progettuali spot non bastano; bisogna contaminare tutta la cultura aziendale. Dobbiamo passare da una gestione burocratica a un servizio di valore per la collettività.

C’è ancora molta strada da fare sull’innovazione nella sanità pubblica italiana? Cosa servirebbe per una svolta decisiva?

Sì, le sfide sono ancora enormi. Manca un impegno sistemico, non bastano singole iniziative innovative. Le competenze ci sono, ma vanno motivate e orientate al cambiamento continuo. Le tecnologie abilitano soluzioni, ma sono inerti senza modelli organizzativi nuovi.
Dobbiamo imparare dalle esperienze virtuose, adattandole ai diversi contesti locali. La sanità ha un impatto sociale altissimo, e deve saper rispondere rapidamente ai bisogni emergenti.
Servono leadership illuminate e valorizzazione del capitale umano. La pausa post-pandemica non deve essere uno stallo, ma un rilancio. Il cambiamento è possibile, con spirito di servizio, creatività e collaborazione. Dobbiamo tutti remare nella stessa direzione.

Keypoints

  • Pierpaola D’Alessandro è stata una direttrice generale che ha dimostrato come la telemedicina potesse rivoluzionare la gestione di una ASL durante la pandemia di COVID-19
  • Ha guidato la ASL Frosinone, che era scarsamente digitalizzata, attraverso la pandemia e ha rapidamente implementato la telemedicina, dimostrando di essere un esempio di successo per il Paese
  • D’Alessandro ha una lunga carriera nella sanità pubblica e ha svolto diverse posizioni manageriali, con un focus sull’integrazione tra tecnologia, ricerca e assistenza sanitaria
  • Durante la sua direzione, la ASL Frosinone è diventata un punto di riferimento per l’attuazione della telemedicina in Italia, migliorando l’accesso ai servizi sanitari per i cittadini
  • L’esperienza ha dimostrato l’importanza della multidisciplinarietà nella telemedicina e ha evidenziato la necessità di superare le logiche a silos all’interno del settore sanitario
  • Dopo la sua esperienza a Frosinone, D’Alessandro è diventata Vice Direttore Generale Vicario di Roma Capitale, dove si concentra sull’integrazione della sanità nel territorio e sul miglioramento dell’assistenza socio-sanitaria

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