Al 64° Simposio AFI uno dei momenti più attesi è stato l’intervento del virologo Roberto Burioni, diventato celebre durante gli anni della pandemia da Covid-19, che ha aperto la sessione proprio dedicata a “Virus e Pandemie” partendo dalle basi: «Una chiacchierata sulle pandemie – ha detto – non può che partire da una domanda fondamentale: cos’è un virus? Può sembrare banale, ma non lo è».
Da lì è partita un’analisi rigorosa, storica e informale sul rapporto tra virus e ospite, sulla natura delle pandemie e su quanto l’esperienza recente del Covid-19 ci abbia lasciato, a partire dalla velocità con la quale si è trovato un vaccino efficace attraverso una mobilitazione globale senza precedenti.
«Un virus senza ospite è solo una cosa inerte»
In apertura Burioni ha definito il virus una creatura che «vive solo se infetta un ospite. Da solo è una proteina, una cosa che esiste in modo condizionato». La prima chiave di lettura per interpretare vita ed effetti dei virus sull’uomo è, secondo il virologo, capire che il virus non nasce per uccidere, ma per trasmettersi. «Il virus tende ad adattarsi per convivere con l’ospite», ha spiegato. «Se una variante del virus del raffreddore fa starnutire di più, sarà quella a diffondersi meglio. Ma c’è un’altra caratteristica che garantisce il successo evolutivo di un virus: quella di non uccidere l’ospite».
Ed è proprio questa tendenza alla “domesticazione evolutiva” che rende improbabile l’arrivo di un virus capace di sterminare l’intera umanità. «Ci protegge la biodiversità. Il virus che sopravvive è quello che trova un compromesso con l’ospite». In questo senso, ha evidenziato, «il rapporto virus-ospite non va studiato sul singolo individuo, ma sulla comunità. E quando una comunità non ha mai incontrato un virus, le conseguenze possono essere catastrofiche come abbiamo visto durante la pandemia» del 2020.
Cos’è davvero una pandemia
Ma che vuol dire pandemia? «È l’arrivo di un nuovo virus nella popolazione umana quando nessuno ha immunità – ha sottolineato-. Non si tratta semplicemente di una variazione annuale come nel caso del virus influenzale, che muta ogni anno ma conserva alcune parti riconoscibili dal nostro sistema immunitario».
Ha poi ripercorso le principali pandemie del XX e XXI secolo: la spagnola del 1918 (H1N1), «un virus terribile che si diffuse tra i militari durante la Prima Guerra Mondiale»; l’influenza asiatica del 1957 (H2N2); quella di Hong Kong nel 1969 (H3N2); e infine la sorprendente pandemia del 2009, «meno grave del previsto perché il virus aveva qualcosa in comune con ceppi circolati prima del 1956, proteggendo in parte i nati prima di quella data».
Il decorso di una pandemia, ha sottolineato Burioni, dipende da fattori biologici e sociali. «Una pandemia finisce quando tutti vengono infettati. Ma un virus molto contagioso può impiegare secoli a diventare endemico. E il prezzo per acquisire l’immunità è la malattia, che può avere complicazioni, anche mortali».
Covid-19: l’impatto di un virus mai visto
Nel 2020 è emerso un nuovo virus: il SARS-CoV-2. «Nessuno l’aveva mai incontrato prima, nessuno era immune. Si è diffuso con una velocità impressionante, favorita da un mondo globalizzato in cui si viaggia facilmente. E ha cominciato a evolvere all’interno della nostra specie». Una delle peculiarità del Covid-19, secondo Burioni, è stata la rapidità con cui le varianti si sono alternate: «Ogni ceppo durava poche settimane. Ci siamo chiesti quando saremmo arrivati a una stabilità evolutiva».
La svolta è arrivata nel 2022. «Con la vaccinazione di massa, il virus ha dovuto imparare a infettare anche chi era immune. Ed è esattamente quello che ha fatto Omicron. È più contagiosa, riesce a reinfettare i guariti e presenta sintomi diversi, come faringodinia e laringite, ma meno perdita di olfatto e gusto». Oggi, ha spiegato Burioni, viviamo in un equilibrio nuovo: «Uno sciame di varianti simili ci infetta continuamente. Tutti siamo diventati immuni».
Il vaccino mRNA e il futuro
Ma ciò che ha davvero fatto la differenza è stata la velocità: «A velocità normale avremmo avuto il vaccino nel 2036. Invece, dalla prima sequenza virale pubblicata il 9 gennaio alla prima somministrazione il 13 dicembre 2020 sono passati solo undici mesi. È come costruire il ponte sullo Stretto di Messina in sei mesi».
Per Burioni, il vaccino a mRNA si è rivelato «la soluzione più efficace». Ma la vittoria contro il virus non è solo frutto della tecnologia: «Se abbiamo avuto un vaccino così rapidamente, è stato grazie alla ricerca fatta negli anni precedenti e alla cooperazione tra scienziati, industrie e istituzioni». Tuttavia, ha lanciato una critica severa alla comunicazione delle aziende farmaceutiche: «Oggi sono percepite peggio di chi fabbrica mine antiuomo. Devono imparare a spiegare meglio il loro ruolo sociale, perché dove l’industria non è arrivata, il vaccino non è stato distribuito».
Infine, ha concluso con un invito alla responsabilità collettiva: «Per ridurre l’impatto delle future pandemie, servono diagnosi precoci, strutture sanitarie organizzate, ma soprattutto promuovere la ricerca. Solo così saremo pronti a rispondere, con tempestività ed efficacia».