«L’innovazione? È un processo che coinvolge uno spettro ampio di attori e di attività. Un processo che parte dalla ricerca fondamentale e dalla curiosità e dà forma alle idee migliori arrivando allo sviluppo di prodotti ad alto contenuto scientifico e tecnologico che consentono di trasformare la società. Che hanno un impatto benefico sulla società».
Tommaso Calarco è l’uomo da 1 miliardo di euro, anzi 9. Colui che sta guidando l’Europa ad avere un ruolo da protagonista nella rivoluzione quantistica. È stato lui, infatti, a convincere la Commissione europea a investire su un programma di ricerca decennale sulle tecnologie quantistiche. Pioniere nel riconoscerne l’impatto trasformativo sulla società, Calarco ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del Quantum Manifesto, che ha dato vita alla Quantum Flagship lanciata nell’ambito del Programma Quadro Horizon 2020.
Direttore dell’Istituto per il controllo quantistico dell’Istituto Peter Grünberg e professore di Quantum Information all’Istituto di Fisica Teorica dell’Università di Colonia, Calarco è presidente del Quantum Community Network, e dallo scorso anno è docente anche al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e contribuisce allo sviluppo di una strategia nazionale per le tecnologie quantistiche.
Professore, può spiegarci meglio di cosa si tratta? Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione industriale, quella della computazione quantistica, che promette di rivoluzionare la nostra capacità di calcolo?
«La Flagship in Quantum Technologies è un programma decennale lanciato dalla Commissione Europea e finanziato inizialmente con 1 miliardo di euro, cifra che nel frattempo ha raggiunto i 9 miliardi. L’obiettivo è creare un ecosistema europeo che supporti la ricerca accademica e industriale, mettendo in rete conoscenze e competenze per sviluppare tecnologie quantistiche e portarle dai laboratori al mercato. Integrare il mondo della ricerca con quello dell’industria è fondamentale e stiamo avanzando a grandi passi. Quando parliamo di tecnologie quantistiche non parliamo solo di potenza di calcolo, ma di tecnologie avanzate che si basano su sistemi quantistici e possono rivoluzionare le comunicazioni, la medicina, la sensoristica. Le applicazioni sono infatti molteplici e possono avere un impatto rilevante sulla società».
Alla base di questa rivoluzione ci sono i qubit?
«Esattamente. Le tecnologie quantistiche si basano su sistemi quantistici per creare dispositivi tecnologici. I computer classici e le comunicazioni digitali elaborano i dati in sequenze di 0 e 1. Questo vuol dire che una foto, un suono, un testo vengono trascritti in una sequenza di 0 e 1: i bit, che sono il fondamento dell’informatica come la conosciamo oggi.
Alla base della tecnologia quantistica invece ci sono i qubit, che possono trovarsi in diversi stati contemporaneamente: 0, 1 o una combinazione dei due. Questo dà luogo al parallelismo quantistico, in altre parole alla possibilità di processare l’informazione molto più velocemente, ma anche in modo più preciso e sicuro.
Con le tecnologie quantistiche possiamo per esempio garantire comunicazioni non intercettabili, quindi mettere a punto sistemi più evoluti di crittografia, e nel campo della sensoristica possiamo raggiungere una precisione senza precedenti nella navigazione satellitare, migliorando la misura del tempo e delle posizioni, e questo potrebbe avere applicazioni nella guida autonoma».
Il quantum computing può essere una risorsa preziosa anche per la ricerca biomedica?
«Con la simulazione quantistica, possiamo analizzare le interazioni molecolari in modo estremamente dettagliato e realistico, permettendo una progettazione molecolare estremamente precisa. Per esempio, possiamo verificare in tempo reale la tossicità di nuove molecole candidate a diventare farmaci, riducendo significativamente il tempo e i costi della ricerca pre-clinica. Questo approccio può quindi accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci e migliorare la nostra capacità di rispondere a emergenze sanitarie globali. Si consideri che ogni molecola è un sistema quantistico fatto di atomi. Per capire come questi interagiranno nell’organismo umano, bisogna fare calcoli e test molto complessi che richiedono molto tempo. Ecco allora che, se per valutare l’aerodinamica di un automobile si producono dei modelli e si fanno simulazioni nella galleria del vento, in modo analogo il simulatore quantistico ci può aiutare in campo biomedico perché ci consente di riprodurre la struttura di una molecola, manipolare gli atomi con delle pinzette ottiche, riprodurne le caratteristiche e analizzarne le proprietà per determinare se la molecola è tossica o meno».
L’Italia come si colloca in questo scenario?
«L’Italia ha una forte eccellenza scientifica in questo campo, con centri di ricerca e università che giocano un ruolo chiave: Napoli, Roma, Firenze, Padova, Bologna… Il primo computer quantistico italiano, che compete alla grande con il primo computer quantistico tedesco, è nato all’Università Federico II di Napoli. Iniziative come la Bologna Quantum Alliance, un’intesa che sotto la guida dell’Alma Mater riunisce CNR, INAF, INGV, INFN, CMCC e CINECA, dimostrano la solidità della nostra infrastruttura scientifica e l’intento di mettere a sistema le tante competenze distribuite sul territorio nazionale. Inoltre, iniziative come il bando del Ministero delle Imprese e del Made in Italy per coinvolgere le aziende italiane nella stesura della strategia nazionale quantistica sono passi fondamentali per far crescere un ecosistema industriale robusto. Le collaborazioni tra università, enti di ricerca e industrie sono essenziali per tradurre la ricerca in innovazione e sviluppo economico».
Che ruolo giocano le startup in questa rivoluzione?
«Quando abbiamo lanciato la Quantum Flagship, nel 2018, in Europa non c’erano startup in grado di produrre un computer quantistico. A dominare il settore erano gli Stati Uniti, con Google e IBM. Ora, non solo oltreoceano, assistiamo a dinamiche interessanti, con startup molto innovative che stanno realizzando computer quantistici avanzati, dimostrando che non solo le grandi corporate possono essere protagoniste di questa rivoluzione. Mi riferisco a IonQ, che ha ricevuto una valutazione straordinaria, più di 2 miliardi di dollari, alla Borsa di New York, e a un’altra startup, QuEra Computing di Boston, che ha raggiunto un risultato straordinario con la realizzazione di un computer quantistico di 48 qubit logici.
Anche in Europa diverse startup producono tecnologie quantistiche e stanno guidando l’innovazione in questo campo. Stiamo realizzando un’infrastruttura europea di computazione e simulazione quantistica con sette centri di supercalcolo, “le sette sorelle quantistiche”, pronti ad acquistare macchine quantistiche da startup europee, come la francese Pasqal o l’austriaca AQT. Ma non solo, negli ultimi anni abbiamo assistito anche a una crescita significativa di investimenti privati in startup, anche se siamo ancora lontani dai livelli degli Stati Uniti. Una delle leve della forza industriale e innovativa della Silicon Valley è il Venture Capital, quel capitale privato avventuroso, propenso al rischio, fondamentale per supportare le industrie nascenti, visionarie, che non possono promettere un ritorno a breve termine. Questo, pian piano, si sta sviluppando anche in Europa, dove il forte supporto pubblico, a livello nazionale e di Unione Europea, ha posto basi solide per creare un ambiente favorevole allo sviluppo di nuove idee e prodotti. Lo sviluppo dei computer e delle tecnologie quantistiche sta procedendo a un passo inaspettato: è un campo di ricerca e industriale in grande fermento, e ci sono ampie opportunità anche per le aziende italiane».
Parliamo di capitale umano: quali professioni e competenze sono necessarie per essere protagonisti della rivoluzione quantistica?
«Lo sviluppo delle tecnologie quantistiche richiede un ampio spettro di competenze, dalla fisica all’ingegneria, per lo sviluppo dell’hardware, e dalla matematica all’informatica, per identificare nuovi algoritmi e nuovi modi di usare queste macchine. È essenziale dunque formare una nuova generazione di esperti in grado di progettare, sviluppare e applicare queste tecnologie a casi d’uso sempre più ampi. Le università e le industrie devono collaborare strettamente per offrire programmi di formazione avanzati e creare un ambiente in cui le competenze possano fiorire. La formazione ha un ruolo centrale, per questo sia a livello italiano che europeo stiamo mettendo a punto percorsi formativi sulle scienze quantistiche per studentesse e studenti, per la qualificazione di ricercatrici e ricercatori e per l’aggiornamento delle figure professionali. L’orizzonte è quello tracciato dalla “European Declaration on Quantum Technologies”, rendere l’Europa una regione leader a livello globale nell’ambito delle scienze e tecnologie quantistiche ed evitare che la formazione sia un grosso collo di bottiglia: perché le competenze in questo campo non si creano dall’oggi al domani».
Si sta lavorando anche a una governance di queste nuove tecnologie per uno sviluppo etico sostenibile?
«Sì, perché la governance è cruciale per assicurare uno sviluppo etico e sostenibile delle tecnologie quantistiche, a beneficio di tutta la società. La “European Declaration on Quantum Technologies” mira proprio a questo e ha istituito un coordinamento interministeriale per gestire strategicamente lo sviluppo dell’innovazione quantistica. A novembre ne discuteremo a Lisbona, alla Conferenza europea di tecnologie quantistiche».
Concludendo, quale messaggio vuole lasciare alle lettrici e ai lettori di INNLIFES?
«L’innovazione è un processo lungo e complesso che richiede la cooperazione di molti attori. Dalla ricerca fondamentale alla prototipazione, fino alla realizzazione di prodotti, ogni fase è cruciale per il successo. Solo lavorando insieme e mettendo in rete le nostre conoscenze e competenze possiamo affrontare le sfide del futuro e cogliere le opportunità offerte dalle tecnologie quantistiche».