Stakeholder

Trial clinici per malattie rare: l’alleanza con le associazioni dei pazienti è fondamentale

Perché ne stiamo parlando
Lavorare allo sviluppo di nuovi approcci per gli studi clinici per le malattie rare è importante per fronteggiare le criticità che derivano dal numero esiguo di pazienti e dalle difficoltà di arruolamento. In occasione della Giornata Internazionale degli Studi Clinici, ne parliamo con Erica Daina, Responsabile del Centro Clinico del Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo e Cele Daccò” dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS.

Trial clinici per malattie rare: l'alleanza con le associazioni dei pazienti è fondamentale
Erica Daina, Responsabile Centro Clinico, Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare "Aldo e Cele Daccò"

Senza ricerca non c’è cura. E i trial clinici sono uno step fondamentale per portare al letto del paziente i risultati della ricerca scientifica.
Il 20 maggio si celebra la Giornata Internazionale degli Studi Clinici, istituita per sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza della ricerca clinica quale requisito indispensabile per far progredire le conoscenze scientifiche e migliorare i trattamenti delle malattie.

Per l’occasione, INNLIFES ha incontrato Erica Daina, Responsabile del Centro Clinico del Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo e Cele Daccò” dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS.

«Il Centro Daccò è una delle tre sedi dell’Istituto Mario Negri ed è la sede in cui svolgiamo progetti di ricerca clinica: qui realizziamo trial clinici per testare l’efficacia di nuovi approcci terapeutici per le malattie rare e le malattie renali e svolgiamo anche un ruolo di coordinamento per studi multicentrici nazionali e internazionali».

Il Centro Daccò è una struttura con ambulatori, un day hospital e un residence per i pazienti arruolati nei trial che vengono da lontano. «Qui tutto ruota attorno alla ricerca clinica» spiega Daina. E nei casi in cui l’Istituto coordina trial multicentrici senza reclutare direttamente pazienti, si occupa della stesura dei protocolli, di valutare la numerosità del campione, la modalità di raccolta dati: «Dalla stesura del protocollo al rapporto finale, seguiamo tutti gli aspetti organizzativi: l’approvazione del comitato etico, gli aspetti regolatori, le analisi statistiche, la safety, intesa come sicurezza dei trattamenti, la valutazione dell’efficacia» precisa la responsabile del Centro Clinico.

Come si legge in un articolo pubblicato su Nature News, nello sviluppo di nuove cure per le malattie rare, una sfida cruciale risiede nel nome: rare. Quali sono le principali difficoltà nella conduzione di studi clinici in questo ambito?

«Rispetto ad alcuni anni fa, l’attenzione per le malattie rare è molto cresciuta e oggi si hanno meno difficoltà nello studiare le malattie rare, ma sicuramente bisogna fronteggiare difficoltà maggiori rispetto allo studio di nuove terapie per malattie comuni. Difficoltà dovute alla carenza di conoscenze e di modelli sperimentali: per arrivare all’approvazione di un farmaco non basta infatti studiare una molecola, bisogna innanzitutto capire come si sviluppa la malattia e quali sono le caratteristiche dei pazienti. Bisogna poi prendere in considerazione il fatto che il numero di pazienti, per ciascuna malattia rara, è esiguo e distribuito su tutto il territorio nazionale, e la numerosità bassa dei pazienti da arruolare rende più complesso organizzare un trial clinico. Dobbiamo quindi coinvolgere un numero maggiore di centri».

Quindi è ancora più importante lavorare in rete?

«Sicuramente sì, gli studi sulle malattie renali e rare che conduciamo nel nostro Centro sono quasi tutti multicentrici e multinazionali.

Molto spesso però non si può fare a meno di centralizzare le analisi di laboratorio dei dati raccolti e questo comporta ulteriori difficoltà logistiche: si pensi al trasporto dei campioni. Insomma, le necessità informatiche, strumentali e logistiche sono più complesse per le sperimentazioni cliniche sulle malattie rare.

Sperimentazioni che richiedono una collaborazione molto stretta tra clinici, medici ricercatori e il mondo dell’industria, perché solo con un partner industriale è possibile sostenere il costo delle sperimentazioni di nuovi approcci terapeutici. Parliamo di terapia genica e di farmaci a bersaglio molecolare, terapie sofisticate e costose, impensabili fino ad alcuni anni fa.

Ma lavorare in rete è necessario anche prima della realizzazione di uno studio clinico. Per accelerare infatti la possibilità di testare nuovi farmaci che si rivolgono a pazienti con una determinata mutazione o un determinato difetto biochimico, è fondamentale organizzare dei registri di patologia, per avere contezza del numero di pazienti, condividere dati epidemiologici e informazioni sulle loro caratteristiche dal punto di vista genetico e biochimico».

Quanto è importante anche la collaborazione con le associazioni dei pazienti?

«Le associazioni di pazienti sono dei partner preziosi dei centri che fanno ricerca sulle malattie rare. Così come è preziosa la collaborazione con i pazienti durante lo svolgimento dei trial. Noi dedichiamo molto tempo a parlare con i pazienti e i loro genitori in caso di pazienti minorenni, perché è importante che siano consapevoli del percorso che insieme stiamo intraprendendo. Quando arriviamo a testare in clinica un trattamento, a monte ci sono dati preclinici, evidenze sperimentali, studi su singoli casi o in modelli animali. Ma nonostante si arrivi con le migliori garanzie che i potenziali benefici possano superare i rischi, non possiamo escludere la possibilità di eventi indesiderati o l’inefficacia della terapia. In altre parole, proprio perché la sperimentazione clinica è indispensabile per far progredire le conoscenze e migliorare i trattamenti, non abbiamo certezza dei risultati. La trasparenza con il paziente è fondamentale. Quando i risultati sono positivi condividiamo emozioni bellissime, quando invece il trattamento non si dimostra efficace dobbiamo fare i conti con la frustrazione, nostra e loro».

Studi decentralizzati, impiego di tecnologia wearable per la raccolta dei dati clinici da remoto, gruppi di controllo ridotti. Data la difficoltà di arruolare un numero significativo di pazienti e il fatto che i centri specializzati non sono molti, è necessario modificare il design degli studi clinici per le malattie rare?

«È un tema complesso, ma sicuramente studiare le malattie rare implica anche lo sviluppo di metodologie nuove. Perché a una rara malattia genetica non può essere applicata la stessa metodologia che si usa per studiare un nuovo farmaco per l’ipertensione arteriosa. Non si può cioè seguire la sperimentazione clinica tradizionale. Detto questo, la rarità della malattia non deve essere un alibi per sviluppare terapie meno efficacemente testate: noi dobbiamo comunque garantire i migliori standard. Questo vuol dire che se non possiamo farlo testando la terapia su un numero alto di pazienti, dobbiamo farlo ricorrendo ad altri metodi. Per esempio, si possono adottare disegni particolari dei trial clinici che prevedono che ogni soggetto diventi anche il controllo di sé stesso, alternando periodi di trattamento sperimentale con altri di terapia tradizionale. Oppure si può via via aggiustare la modalità di assegnazione del farmaco in base ai risultati dei primi soggetti arruolati nello studio clinico. Si eseguono cioè frequenti analisi intermedie per aggiustare il tiro: si valutano gli effetti collaterali, si modifica la dose di farmaco e si adatta gradualmente la sperimentazione».

Dottoressa Daina, accennava ai costi delle terapie per le malattie rare. Il tema della sostenibilità è cruciale per riuscire a portare effettivamente al letto del paziente nuove terapie.

«I malati rari hanno dato molto alla scienza e alla medicina, perché studiando le malattie rare abbiamo ottenuto informazioni utili anche per il trattamento di patologie più comuni.
Nel campo delle malattie rare, è auspicabile allora riuscire a lavorare con le industrie affinché non si guardi solo al profitto, ma anche a garantire i trattamenti a tutti i pazienti che possono beneficiarne. I farmaci per il trattamento delle patologie rare sono effettivamente molto costosi, ma quando sono efficaci lo sono nel ridurre la mortalità e la disabilità di persone che, altrimenti, avrebbero bisogno di dialisi e trapianto, come nel caso delle malattie renali che studiamo noi, o comunque di terapie croniche e non risolutive. Quindi, nel valutare i costi, bisogna considerare che stiamo spendendo molto per un farmaco, ma stiamo anche prevenendo delle spese che deriverebbero dal mancato trattamento. In altre parole, dovremmo considerare questi farmaci degli investimenti e non dei costi: un investimento per prevenire spese che sarebbero più elevate in caso di mancato trattamento e per un guadagno incalcolabile in termini umani».

Dottoressa, perché ritiene che anche l’assistenza negli ospedali dovrebbe essere condotta con la metodologia della ricerca clinica?

«Lavorare in un’ottica di ricerca anche nei contesti assistenziali vuol dire porsi domande, raccogliere bene i dati prodotti, analizzarli, farne tesoro, confrontare l’andamento dei pazienti, per migliorare l’attività assistenziale. Consideri che l’analisi dei dati prodotti ogni giorno negli ospedali e negli ambulatori, se ottimizzata, potrebbe aiutarci in termini di prevenzione dei fattori di rischio che possono causare o aggravare le malattie, conoscenza degli effetti collaterali dei farmaci e degli effetti real life dei trattamenti. Dovremmo impostare il nostro lavoro in modo da garantire ai pazienti il meglio che si possa offrire oggi, ma cercando sempre di progredire nella comprensione delle malattie e nei trattamenti».

Keypoints

  • I trial clinici sono uno step fondamentale per portare al letto del paziente i risultati della ricerca scientifica: senza ricerca non c’è cura
  • Il 20 maggio si celebra la Giornata Internazionale degli Studi Clinici per sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza della ricerca clinica per migliorare i trattamenti e progredire nelle conoscenze
  • Al Centro Clinico del Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo e Cele Daccò” si conducono trial clinici per testare l’efficacia di nuovi approcci terapeutici per le malattie rare e le malattie renali
  • La conduzione di studi clinici per le malattie rare comporta difficoltà maggiori rispetto alle malattie più comuni: tra queste la numerosità bassa dei pazienti da arruolare nei trial
  • Per lo studio delle malattie rare è fondamentale lavorare in rete, la collaborazione con le associazioni dei pazienti, predisporre i registri di patologia e sviluppare metodologie nuove

Ti è piaciuto questo articolo?

Share

Registrati per commentare l’articolo

News

Raccolte

Premio I protagonisti dell’innovazione

Articoli correlati