Il 23 settembre sarà presentato il secondo rapporto Listup, realizzato da Indicon, in collaborazione con Italian Tech Alliance, Growth Capital e InnovUp. Una mappa delle startup innovative in Italia che operano nel settore Life science.
Con Francesco Cerruti, Direttore Generale di Italian Tech Alliance, facciamo il punto sul DDL Concorrenza, «che non sembra essere il frutto di un lavoro, annuale, finalizzato a supportare l’innovazione made in Italy».
Italian Tech Alliance è l’associazione italiana del Venture Capital, delle startup e delle PMI innovative, di chi investe, innova, sperimenta e scopre nuove tecnologie per far crescere l’Italia, e porta al tavolo delle istituzioni, a livello nazionale e locale, le istanze degli attori dell’ecosistema. Un ecosistema, quello dell’innovazione italiano, che ha bisogno di investimenti e un migliore impianto normativo per crescere: per agevolare, cioè, lo sviluppo di nuove tecnologie e di imprese innovative che possono avere un ruolo chiave per la competitività del Paese.
«Il DDL Concorrenza appena approvato dal Governo contiene alcuni articoli che fanno riferimento all’ecosistema Startup ma non soddisfano le nostre aspettative». Francesco Cerruti si riferisce alle associazioni del settore (Italian Tech Alliance, Innovup, ecc.) che da luglio dello scorso anno siedono al tavolo istituito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. «Parliamo di un gruppo, a guida governativa, che aveva e ha delle ambizioni molto alte e a tal fine ha prodotto un documento corposo con articolate proposte e indicazioni per arrivare a un auspicato Startup Act 2.0: una riorganizzazione organica e complessiva, cioè, delle norme che regolano l’ecosistema dell’innovazione e sono riassunte nel cosiddetto Start up Act che risale a un’era geologica fa».
Il cosiddetto Startup Act italiano è stato introdotto infatti con il DL 179/2012 per supportare le startup durante tutto il loro ciclo di vita e nelle relazioni con l’ecosistema dell’innovazione (investitori, incubatori, università).
«Al momento le norme relative alle startup inserite nel DDL Concorrenza sono il classico topolino partorito dalla montagna» puntualizza Cerruti. «Non abbiamo compreso la necessità di investire così tanto a parole e farlo poi così poco nei fatti. Il ministro Urso più volte ha annunciato l’intenzione di voler mettere in campo interventi importanti, ma le partite si giudicano dai risultati e quello che che è stato messo nero su bianco nel decreto è al momento poco incisivo. La speranza è che nei prossimi mesi, tra ottobre e novembre, ci sarà un ulteriore intervento per rendere le normative che regolano la materia effettivamente incisive, come nelle dichiarate intenzioni del Governo e nelle nostre aspettative».
Innanzitutto, quali sono i settori strategici dell’innovazione in Italia?
«Per rispondere a questa domanda ha senso rifarsi al Piano industriale del CDP Venture Capital, che è il soggetto che fa il mercato nel nostro Paese e identifica sei verticali su cui puntare maggiormente. Tra queste c’è naturalmente il Life Science che, storicamente, anche dal punto di vista della produzione manifatturiera, è una delle punte di diamante dello sviluppo economico e industriale del Paese. Ma anche in ambito startup il Life Science sta vivendo un momento florido: solo negli ultimi 3 anni sono nati 6 Fondi di Venture Capital che investono esclusivamente nelle Scienze della Vita.
Dietro c’è anche lo zampino del Covid che ha alimentato l’interesse nei confronti di questo settore: ha innescato un maggiore afflusso di risorse economiche e finanziarie perché molti investitori istituzionali e detentori di grandi patrimoni hanno capito quanto centrale sia l’ambito Life Science».
Ma le startup sono all’altezza delle risorse che oggi ci sono potenzialmente a disposizione?
«Di fatto a oggi l’aumento dei fondi non ha ancora corrisposto all’aumento netto degli investimenti raccolti dalle startup italiane. Ma è un processo in corso che crediamo potrà andare a compimento nei prossimi mesi. Del resto, c’è l’annosa questione delle norme, mi riferisco per esempio al credito d’imposta R&S su investimenti incrementali in ricerca e sviluppo che nei fatti è attualmente inesigibile per una startup attiva nell’ambito medicale, che impiega anni prima di andare a mercato e fare i primi revenues».
Che dire, a proposito del DDL Concorrenza, della soglia di almeno 20 mila euro da avere quale capitale sociale per la permanenza nel registro delle startup innovative e almeno un dipendente entro 2 anni dall’iscrizione nell’apposito registro?
«Ci era stato detto che il Governo volesse creare un ecosistema normativo che rendesse più agevole la vita di chi investe in startup e di chi fonda una startup. Ma questi parametri non solo non agevolano la vita di una startup, ma addirittura la complicano. Non è insomma questa la strada da percorrere per agevolare chi lavora in questo ambito e per recuperare il divario significativo che ci separa dagli altri Paesi europei. Anche la Spagna ha un ecosistema startup innovativo 3 volte più grande di quello italiano. Per non parlare della Francia e del Regno Unito. Noi dobbiamo rincorrere gli altri, cercare di diminuire il divario, ma non è questo il modo per accelerare l’innovazione. L’impressione è che, nonostante le dichiarazioni fatte, non ci sia stata al momento la reale volontà di investire politicamente in questo settore».
Questione di colore politico?
«Non credo. In Spagna, dove sono stati messi in campo grandi aiuti e supporti all’ecosistema dell’innovazione, il primo ministro è socialista. In Francia, che è la startup nation per eccellenza nell’Europa occidentale, leader cioè per gli investimenti in imprese innovative, il Governo è a guida liberale. E in UK, che ha destinato incentivi importanti per investimenti innovativi, fino a un mese fa avevamo un Governo conservatore. Il colore politico non c’entra. C’entra la capacità di visione e la volontà di investire per garantire, nei fatti, un futuro competitivo alla filiera dell’innovazione italiana. Nel DDL Concorrenza ci sono un paio di misure interessanti, mi riferisco alla misura che riguarda l’attrazione di investimenti da parte di investitori istituzionali, che dovranno riservare una quota parte di ciò che hanno in gestione verso questo ambito, e alla misura che allarga il meccanismo dello startup visa, pensato per per attrarre imprenditori innovativi stranieri, anche agli investitori stranieri che hanno intenzione di investire in Italia. Detto questo, però, ci aspettavamo di più, perché quanto approvato dal Governo non è che un piccolo pezzo di un ingranaggio che, necessariamente, deve essere più ambizioso».
Più ambizioso anche perché, come ha detto, il primo decreto sulle startup innovative risale a un’era geologica fa e l’innovazione corre veloce. Dal 2012, come è cambiato ed è evoluto il panorama delle startup in Italia?
«È cambiato tutto, anche se ancora ci confrontiamo con i nostri vicini guardandoli dal basso verso l’alto. Del resto in Italia, poco più di 10 anni fa, non esisteva ancora un ecosistema startup. Da allora i numeri sono cresciuti molto: nel 2022, anno record, sono stati quasi due i miliardi raccolti dalle startup in Italia in un anno e nel 2023 sono stati 1,18 miliardi. E c’è stato nel tempo un aumento considerevole delle persone che operano in questo ambito, dei fondi, delle startup e, soprattutto, delle opportunità create per un universo di professionisti che storicamente erano costretti ad accontentarsi o a lasciare il Paese per mettere a frutto le proprie competenze tecnico-accademiche. Il punto è che siamo una risorsa per il Paese ed è necessario investire politicamente in Life Science.
Basti pensare, del resto, che Moderna e BioNtech, che hanno sviluppato la ricetta medica, non magica, del vaccino, erano delle startup e il loro contributo è stato tangibile al benessere economico e sociale.
In altri paesi, come la Francia per esempio, dove l’investimento politico è significativo e decisamente maggiore rispetto all’Italia, l’ecosistema startup crea circa 1 milione di posti di lavoro. Questo è il trend che deve seguire anche il nostro Paese. Per questo siamo felici di unirci a Indicon per la realizzazione dell’osservatorio Listup: i numeri di settore sono importanti, è importante cioè fotografare con chiarezza la realtà, con numeri e trend, per poter individuare le strategie migliori per far crescere anche nel nostro Paese l’ecosistema dell’innovazione».
Per partecipare all’evento registrarsi qui:
Presentazione del secondo osservatorio LISTUP – Indicon (indicon-innovation.tech)