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DINO by Paperbox, quando il gaming intercetta la dislessia

Perché lo abbiamo scelto
La startup di ottobre si è distinta nel campo dei disturbi specifici dell’apprendimento, come la dislessia, identificati sempre troppo tardi. Ne parliamo con Francesco Trovato, inventore del videogioco che coglie i primi sintomi dei DSA, e ne anticipa l’insorgenza permettendo un opportuno intervento terapeutico.

DINO by Paperbox, quando il gaming intercetta la dislessia
Francesco Trovato, Co-Founder Paperbox Health

La dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia sono disturbi pervasivi nella popolazione pediatrica, ma la loro diagnosi è spesso tardiva e talvolta del tutto assente. Oggi c’è una giovane realtà imprenditoriale che promette di sovvertire questo stato di cose: Paperbox Health sta mettendo a punto un metodo di identificazione precoce di sintomi dei DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), attraverso un videogioco. E sta lavorando per certificarlo come dispositivo medico standalone.  Si tratta di una soluzione end to end finalizzata allo screening di un primo sospetto di dislessia addirittura in bambini di soli cinque anni, ancora cioè in età prescolare. DINO by Paperbox, questo il nome del videogioco, rappresenta una piccola rivoluzione nel settore della sanità pediatrica perché permette di rimuovere le solitamente alte barriere di accessibilità nel riconoscere un DSA e consente un tempestivo intervento terapeutico. Intervistiamo Francesco Trovato, giovane startupper che, insieme ad altri due fondatori, ha dato vita a un inedito progetto nella diagnosi dei disturbi cognitivi infantili.

Qual è l’idea di base di Paperbox Health?

«Paperbox Health si fonda su una sfida, abbattere le barriere di accessibilità legate alla salute pediatrica. Qui, infatti, abbiamo identificato un grande problema legato al processo e alle modalità di identificazione dei disturbi specifici dell’apprendimento. Dalle nostre analisi, che partono dalla reportistica stilata ogni anno in maniera molto puntuale dall’Associazione Italiana Dislessia, vediamo come nel 2021 il numero medio della popolazione studentesca con disturbi DSA arriva al 5,5%, quando nel 2015 era al 3%. Il che sarebbe già una diffusione considerevole, in realtà si notano dei picchi che vedono la Val d’ Aosta avere un’incidenza dell’8,5% e la Calabria dell’1,6%. Questa forbice ci fa riflettere sulle modalità e sui sistemi utilizzati oggi per l’identificazione dei DSA e soprattutto su come questi sistemi, e le risorse a essi associate, non siano equamente distribuiti. Insomma, c’è un problema di capillarità. In particolare, è molto difficile dire quale sia la prevalenza reale di questo disturbo. Dovrebbe attestarsi su un valore compreso tra il 10 e il 15% della popolazione in generale. A tal proposito cito un paper di Chiara Barbiero che nel 2019 pubblica “The lost children: The under diagnosis of dyslexia in Italy”, in cui descrive uno studio multicentrico su circa 9.900 bambini fra gli otto e i dieci anni residenti tra Nord, Sud e Centro Italia. Sono stati fatti dei test diagnostici su tutti i bambini per capire quanto di questi avevano la diagnosi prima di questa ricerca. Ne è emerso che due su tre non ce l’avevano: emerge quindi chiaramente che esiste in Italia un problema effettivo di sotto diagnosi. Questo paper è per me un’ispirazione personale perché trasmette un senso di emergenza su qualcosa che non può essere quantificato. Su un fenomeno ampiamente sottostimato».

E come può contribuire un software videoludico a individuare meglio e prima questi disturbi?

«DINO by Paperbox può essere inquadrato come uno strumento le cui caratteristiche principali sono accessibilità, praticità ed efficacia. Perché si presenta sottoforma di videogioco della durata tra i 15 e 20 minuti ed è in grado di analizzare a soli cinque anni di età, quindi in largo anticipo rispetto all’età in cui solitamente si può diagnosticare la dislessia o la discalculia (intorno ai sette e gli otto anni), se esiste il rischio di sviluppare un disturbo DSA. È stato creato in modo da essere fruibile da tutti gli attori coinvolti. Quindi parliamo di specialisti, educatori e genitori. Nella definizione di questo strumento siamo partiti da linee guida nazionali sulla DSA pubblicate nel 2021. Qui viene espresso un forte bisogno di strumenti che permettano una valutazione precoce nei bambini. E quindi abbiamo creato un sistema che si basa sull’analisi di indici predittivi specifici che vengono legati alle attività di lettura e scrittura. Ecco tale analisi è condotta attraverso l’esame della sessione di gioco del bambino e grazie a essa siamo in grado di prevedere la probabilità che questo sviluppi un disturbo DSA. Questo cambia il paradigma attuale. Nel momento in cui si riesce ad avere un’identificazione precoce, si offre al bambino la possibilità di intraprendere un percorso di potenziamento specifico su quelle aree di lettura e scrittura in cui è stata evidenziata una carenza. Permettendo in definitiva un suo sviluppo armonico ed efficiente».

Qual è il percorso di validazione di questo strumento?

«Oggi l’identificazione precoce si avvale di strumenti per lo più cartacei e che, ovviamente, non sono dispositivi medici. Noi a Paperbox abbiamo un approccio molto diverso e basato sulle evidenze scientifiche, ed è per questo che abbiamo l’obiettivo di dimostrare l’efficacia della nostra soluzione in sede appropriata, nell’ambito cioè di una certificazione di stampo clinico. Prima di arrivare a questo, però, sono stati già fatti step molto significativi: la gran parte dei nostri risultati è stata approvata principalmente attraverso strumenti di simulazione come i metodi Monte Carlo, i dati scientifici in vitro e le machine learning. A un certo punto però ci siamo accorti che serviva davvero il dato reale, soprattutto acquisito nel contesto giusto. Quindi abbiamo proposto DINO by Paperbox, inquadrato come laboratorio multimediale, a dieci scuole tra Nord e Centro Sud Italia. Questi dieci istituti sono stati molto favorevoli all’introduzione del videogioco all’interno delle loro classi e così è stato possibile far giocare più di 200 bambini. Questo ci ha permesso di avere dei dati estremamente utili. Ora siamo in una fase di test environment specialistico, con una fruizione diretta da parte di psicologi e logopedisti nell’ottica di andare in certificazione».

Come è stata accolta una simile soluzione dai professionisti del settore socio assistenziale?

«La prima cosa che abbiamo fatto dal giorno zero è stato coinvolgere clinici ed esperti di rilievo tra logopedisti, psicologi, neuropsichiatri e pedagogisti. Li abbiamo coinvolti sin da subito nella creazione dello strumento e abbiamo iniziato a collaborare con Sergio Messina, neuropsichiatra infantile, e Maria Enrica Bianchi, insegnante e formatrice dell’Associazione Italiana Dislessia esperta di DSA, che hanno contribuito alla stesura delle linee ministeriali del 2021. Oggi godiamo del supporto e del patrocinio dell’Associazione Italiana Dislessia (AID) di cui gran parte di questi esperti sono membri, che dopo aver visto i primi risultati di DINO by Paperbox hanno creduto potesse avere un impatto significativo nell’identificazione dei disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento. Hanno così deciso di patrocinare ufficialmente il videogioco».

Come può essere “somministrato” questo videogioco?

«DINO by Paperbox può essere svolto indipendentemente dal contesto in cui si è, perché la sua “forza” è proprio l’engagement dell’utente. Il grande problema dei test finora utilizzati per la diagnosi dei DSA è che spesso il bambino non ha proprio voglia di svolgerli. È escluso quindi che questo tipo di test possa essere realizzato tra le mura domestiche, perché senza l’occhio clinico dell’esperto la prestazione del piccolo non sarebbe totalmente affidabile. Con il videogioco, invece, andiamo a massimizzare il coinvolgimento del bambino nell’esperienza di gioco. Abbiamo poi creato una serie di parametri di controllo che ci permettono di analizzare la performance di ogni singolo individuo, consentendoci di scindere la performance dall’environment di riferimento: se, per esempio, il bambino è a casa e, mentre sta giocando con il nostro videogioco, sente il citofono e si distrae, siamo in grado di rilevarlo semplicemente vedendo che c’è una variazione della sua performance. Lo specialista che riceverà un report di tale performance sarà dunque informato che in quel preciso punto del gioco il bambino ha ricevuto un input che lo ha fatto distrarre e quindi la misurazione andrà considerata secondo questo particolare fattore. Il lato educativo e scolastico è chiaramente controllato: grazie a una serie di spiegazioni fornite all’educatore e al docente siamo stati in grado di creare un ambiente molto stabile (lo abbiamo fatto appunto con 200 bambini e ci siamo resi conto che funziona!). Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, quando il test avviene sotto il diretto controllo di uno specialista che ha l’occhio e la sensibilità allenata per capire se ci sono delle interferenze».

Quanto costa questo videogioco?

«Oggi DINO by Paperbox non costa. Stiamo lavorando sul testing e, al momento, quello che valorizziamo è l’informazione proveniente dai fruitori, compresi i bambini stessi che nell’utilizzarlo si devono divertire altrimenti il concetto base decade. Poi l’informazione da parte di tutti stakeholder coinvolti, specialisti ed educatori. Oggi cerchiamo di potenziare l’insight sostenuto perché i test attualmente sono gratuiti. Sul nostro sito è possibile partecipare e candidarsi per diventare uno dei tester. In futuro ci immaginiamo che il nostro videogioco venga fornito agli specialisti in forma di sottoscrizione. Inoltre, la fruizione, su decisione dello specialista, potrà avvenire a casa: un bambino che deve svolgere una sessione di monitoraggio specifico riceverà dallo specialista il collegamento. C’è dunque un coinvolgimento ampio di diversi attori attorno a questo software scalabile».

Chi ha permesso a Paperbox Health di muovere i primi passi?

«La startup è nata all’interno del progetto di venture builder Vento, promosso da SEI School of Entrepreneurship & Innovation lo scorso anno. Vento è un venture originator, non finanzia delle startup in essere, ma crea un ambiente in cui finanzia i singoli. Quindi tramite una borsa di studio ha finanziato me perché lavorassi insieme ad un team costruito in quella sede in grado di trovare un’opportunità, un problema da risolvere. Vento non ha fondato la startup, ma ha dato ai fondatori il contesto e l’humus giusto per crearla. Alla fine del programma abbiamo ottenuto un grant da Compagnia di San Paolo che ci ha aiutato a mettere le basi per i successivi sei mesi. A seguito di questo grant, siamo riusciti ad avere accesso a VITA in collaborazione con CDP, Healthware group e Accelerace. VITA è il primo acceleratore verticale sul digital health in Italia da cui non solo abbiamo ricevuto un contributo economico, un finanziamento cioè cash alla startup, ma anche un contributo di stampo strategico. Dopo VITA è arrivata Alice Ravizza la quale è una business angel e co founder del family office Genera e lei, che è un ingegnere biomedico esperto di regolatorio, si è innamorata del nostro progetto. Ha investito quindi nella società e ha deciso di mettersi in prima linea entrandovi con un ruolo operativo di PRRC (Person Responsible for Regulatory Compliance, n.d.a.), ovvero la figura responsabile per la compliance del regolatorio, in pratica la nostra interfaccia con il Ministero della Salute».

DINO by Paperbox, quando il gaming intercetta la dislessia
Il team di Paperbox Health

E il resto del team?

«La nostra squadra è composta da altri due fondatori originali, oltre a me: Giacomo Pratesi e Francesco Garosci. Giacomo è un fisico specializzato con un master di secondo livello in ricerca clinica e market access di dispositivi medici. Aveva già avuto esperienza nell’ambito dell’innovazione: aveva brevettato insieme a CNR e Sapienza un dispositivo di diagnostinc imaging. Si occupa quindi di ricerca clinica e tecnica e svolge a tutti gli effetti il ruolo di CTO (Chief technology officer), cioè la persona che trasforma in scienza e codice gli input che provengono dalle necessità evidenziate da specialisti e attori coinvolti. Francesco è invece il nostro Chief business officer, si occupa principalmente della definizione della commerciabilità della nostra soluzione, quindi, presiede tutto il dipartimento di crescita dell’azienda. Laureato in economia e management, ha avuto un trascorso tipicamente imprenditoriale ed è stato country manager per l’Italia di Shopopop, proprio nel momento in cui la startup francese stava scalando. Il mio invece è un percorso ancora diverso rispetto a quello dei miei “colleghi”. Sono un ingegnere industriale, ma ho deciso che quello dell’ingegneria era per me un ambiente un po’ stretto. Con il Politecnico di Torino ho portato avanti un programma di double degree e ho conseguito una laurea in Business Administration. Da lì in poi ho avviato progetti in autonomia, ho pubblicato due videogiochi e ho anche lanciato alcune idee imprenditoriali senza sapere bene che cosa significasse essere imprenditore. Dopo il Covid ho deciso di partecipare a un MBA promosso da CDI Italia e cofinanziato, tra gli altri, dal Gruppo Angelini dove ho lavorato nell’area consumer. Proprio lì sono entrato in contatto con le soluzioni digitali legate al wellbeing, in particolare ho lavorato al progetto iMamma, un’app che permette il tracking della gravidanza da parte delle neomamme. Mi sono così accostato al target del new digital family e ho scoperto un mondo di opportunità. Conclusa quell’esperienza a fine del 2021, ho deciso che era venuto il momento di provare a fare business con una solida base ingegneristica. Ho trovato Vento dove si entra senza sapere su che cosa si andrà a lavorare nei mesi successivi. Il caso ha voluto che sia stato proprio Angelini a proporre la challenge da cui siamo partiti per arrivare a questa attuale soluzione di DINO by Paperbox».

Keypoints

  • Paperbox Health sta mettendo a punto un metodo di identificazione precoce di sintomi dei DSA attraverso un videogioco, DINO by Paperbox
  • L’obiettivo è velocizzare la diagnosi e l’intervento terapeutico
  • La startup è nata all’interno del progetto di venture builder Vento, promosso da SEI School of Entrepreneurship & Innovation
  • è il nome di questo videogioco che è in grado di analizzare a soli cinque anni di età se esiste il rischio di sviluppare un disturbo DSA.
  • DINO by Paperbox è stato proposto in fase di testing a dieci scuole tra Nord e Centro Sud Italia
  • Ha ottenuto supporto e patrocinio dell’Associazione Italiana Dislessia (AID)
  • Il videogioco massimizza il coinvolgimento del bambino nell’esperienza di gioco
  • La sua fruizione, su decisione dello specialista, potrà avvenire a casa

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