Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, di progressi ce ne sono stati. L’Italia ha superato per il terzo anno consecutivo il miliardo di finanziamenti raccolti e le nostre startup, anche se meno numerose di un tempo, sono di migliore qualità, anche perché sempre più spesso sono fondate dai cosiddetti “second time founder” (coloro che hanno già esperienza in una precedente impresa) o ricevono investimenti da fondatori di altre startup di successo. Gli interventi di CDP Venture Capital (che nel nuovo piano industriale mira a mobilizzare fino a 8 miliardi di euro entro il 2028) si sono rivelati preziosi. Inoltre siamo l’unico paese al mondo in cui, a fronte di un leggero calo del numero di round, è aumentato il valore medio dei round seed e preseed (+60% preseed e +84% seed in tre anni, secondo lo IAG Index, ndr). Come conseguenza, sono aumentate le valutazioni delle startup. Ma, inutile nasconderlo, manteniamo un pesante divario rispetto ai concorrenti europei: i nostri investimenti in venture capital pro capite sono un decimo di quelli francesi e un sesto di quelli tedeschi.
Per questo motivo InnovUp, l’associazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’innovazione (aggrega startup, scaleup, PMI innovative, centri di innovazione, parchi scientifici e tecnologici, incubatori, acceleratori, startup studio, portali di crowdfunding, abilitatori, studi professionali e corporate), ha recentemente costituito un tavolo di lavoro con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, dando vita a un manifesto con 10 proposte per favorire l’ecosistema innovativo italiano e colmare il gap con i paesi europei (le abbiamo elencate nei keypoints).
I due vulnus del nostro Paese: le startup non sono una priorità politica e il risparmio privato non è investito nel capitale di rischio
«Due sono i vulnus, le “ferite” che impediscono all’Italia di correre come altri paesi europei» spiega Giorgio Ciron, Direttore di InnovUp. «Il primo è il fatto che non rappresentano una priorità politica per il nostro Paese. Proprio una settimana fa il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha pubblicato un post su LinkedIn in cui sottolinea l’importanza delle startup, e il fatto che in Francia rappresentano 40mila posti di lavoro diretti. Il mio sogno è che il Presidente del Consiglio italiano, chiunque sia, vada al Tg1 delle 20 e dica che le startup sono il futuro del nostro Paese. Finora non è mai avvenuto». Il secondo motivo è legato al sistema finanziario italiano, storicamente legato al settore bancario, e poco propenso a considerare l’equity come un’asset class fondamentale. «Nonostante l’Italia disponga di un risparmio privato fra i più consistenti al mondo, questo non viene investito nell’economia reale per favorire lo sviluppo di PMI e startup. Avviene nel private equity, con un conseguente rallentamento nello sviluppo e nella crescita delle PMI, e ancor di più nel venture capital. Nel punto 5 del manifesto proponiamo di potenziare le agevolazioni fiscali per incentivare gli investimenti istituzionali (enti di previdenza, casse pensioni ecc.) in venture capital».
La normativa sulle startup va aggiornata
A questi due problemi fondanti, si aggiunge il fatto che la normativa sulle startup innovative necessita di aggiornamenti. «Fino a che si rimane nel recinto delle startup innovative, le regole che abbiamo a disposizione sono ottime (tra le migliori al mondo), ma appena si esce da questo perimetro il resto della burocrazia rende la vita difficile alle startup» continua Ciron. «La prima proposta contenuta nel manifesto riguarda proprio la riduzione della burocrazia (punto 1). Inoltre lo Startup Act è orientato alla fase iniziale della vita delle startup, manca un posizionamento nelle fasi successive, e da qui la proposta numero 2: fornire incentivi più consistenti ma a un numero minore di startup, quelle che hanno la possibilità di scalare e avere successo».
Puntiamo sui settori di eccellenza, come le scienze della vita
Gli altri punti? Aiutare startup e PMI innovative a internazionalizzarsi (proposta 4), incentivare gli investimenti delle corporate (proposta 6). «È quest’ultimo un altro punto cruciale, in cui il nostro Paese è particolarmente carente: nel 2023 solo il 18,5% del totale degli investimenti in startup sono arrivati da corporate, meno dell’anno prima (22%)» conclude Ciron. «A questo riguardo suggeriamo di adottare lo stesso incentivo utilizzato in Francia (art. 217 octies del Codice Generale delle Imposte francese), che prevede di ammortare l’intero investimento diretto e indiretto fatto dalle corporate in startup e PMI innovative per un massimo di 15 milioni di euro. Le contaminazioni migliori tra startup e aziende avvengono nei settori in cui il “Made in Italy” è già un’eccellenza, e questo succede per esempio nel campo delle scienze della vita. Dobbiamo puntare su questo e sugli altri settori in cui facciamo la differenza: aerospazio, meccatronica, manifattura, agrifood tech».