Nel mondo dinamico delle startup, l’innovazione è il cuore pulsante di ogni storia di successo. Tuttavia, per prosperare in un mercato sempre più complesso e competitivo, le aziende devono abbracciare non solo l’innovazione tecnologica, ma anche quella sociale. La Diversity & Inclusion (D&I) non è solo una questione etica, ma un vero e proprio asset strategico. Per capire meglio l’importanza di questi temi nell’ecosistema dell’innovazione, abbiamo incontrato Michael Luciano, Direttore e Strategic D&I Advisor di WINclusion, una società specializzata in progetti di trasformazione aziendale orientati all’inclusività. Luciano ci offre una visione chiara su come la D&I possa diventare un motore di crescita per le giovani imprese. La D&I è infatti considerata una componente cruciale delle strategie aziendali, poiché il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità (in termini di genere, etnia, età, orientamento sessuale, background culturale e abilità) è una leva per migliorare la performance, l’innovazione e la reputazione aziendale.
Di cosa parliamo quando parliamo di Diversity & Inclusion (D&I)?
«Quando parliamo di diversity ci riferiamo al riconoscimento delle differenze tra le persone in termini di background e prospettive. L’inclusion, invece, ha a che fare con la valorizzazione di queste diversità. Dunque, da un lato, dobbiamo riconoscere e accettare le differenze, dall’altro creare politiche eque per valorizzare queste diversità all’interno delle organizzazioni»
La D&I in fondo è un pilastro dell’ESG?
«Sì, la Diversity & Inclusion rappresenta uno dei pilastri fondamentali della ‘S’ di ESG: Environmental, Social, Governance. Quando si parla di sostenibilità sociale, il primo passo per crearla in modo efficace è comprendere le esigenze delle persone, evitando di standardizzarle o di muoversi attraverso stereotipi. C’è ancora tanto da fare al fine di creare una reale cultura dell’inclusione. Io mi occupo di D&I da dieci anni e posso dire che continuiamo a confrontarci con gli stessi stereotipi che via via assumono una maschera diversa. Un esempio concreto è che, sebbene oggi si parli meno apertamente di ruoli di genere tradizionali, si continuano a perpetuare vecchi pregiudizi. Se dieci anni fa mi imbattevo in chi dava per scontato che ci fossero lavori adatti agli uomini e lavori adatti alle donne, oggi mi sento dire che l’uomo si realizza con la carriera, la donna di più attraverso la famiglia e, quindi, è normale che ai vertici delle aziende ci siano gli uomini e non le donne. Di fatto è lo stesso stereotipo che ha tolto una maschera e se n’è messa un’altra».
Allora cosa fare per innescare un cambiamento reale?
«È una questione complessa. Non esiste una soluzione semplice o immediata per trasformare un’azienda o un intero sistema Paese da discriminatorio a inclusivo. È necessario mettere in atto una serie di azioni, e lavorare sulla consapevolezza, sensibilizzare le persone sui bias, quei meccanismi mentali automatici che influenzano le nostre decisioni. Per esempio, se crediamo che una donna si realizzi di più con la famiglia e l’uomo con la carriera, non ci preoccuperemo dei congedi di paternità dando per scontato che sia la donna a gestire la famiglia. Prendere atto che non è detto che debba essere così, in altre parola la consapevolezza è il primo passo; il secondo è lavorare sull’equità, creare cioè le condizioni affinché tutti possano accedere alle stesse opportunità».
Perché la Diversity & Inclusion è importante per una startup?
«Vorrei evidenziare tre punti in particolare. Primo, la performance: i team inclusivi performano meglio, attraggono i migliori talenti, e riescono a comprendere meglio il mercato. Se un team è composto solo da persone con lo stesso background, difficilmente sarà in grado di intercettare trend di mercato che non riguardano la loro esperienza diretta. Oggi 3/4 della Generazione Z valuta le politiche di D&I per scegliere il datore di lavoro, quindi ne va della attraction. E per una startup è molto importante attrarre competenze diverse: la diversificazione è un valore aggiunto. Secondo, i clienti: oggi, molte aziende preferiscono (e per avere il bilancio di sostenibilità devono) lavorare con fornitori che rispettano codici di condotta inclusivi, attenti alle tematiche di Environmental, Social, Governance (ESG). Infine, i finanziamenti: anche i fondi di Venture Capital e private equity preferiscono investire in società inclusive e dai team diversificati, poiché le considerano più performanti e con maggiore probabilità di scalabilità, per esempio, sul mercato estero grazie alla presenza in azienda di persone che provengono da altri paesi e capaci di comprendere al meglio il mercato locale e valorizzare l’azienda meglio di come farebbe un “semplice” partner commerciale. In altre parole, la D&I è una delle metriche che i fondi d’investimento valutano per scegliere quali startup finanziare, in quanto è dimostrato che permette di essere più performanti, resilienti e attrattivi per i nuovi talenti».
In che modo si può integrare la D&I nella propria strategia aziendale?
«È un errore relegare la D&I all’ufficio marketing o alle risorse umane. La D&I diventa un asset aziendale quando fa parte della governance e del mindset aziendale, quando c’è un impegno da parte del leadership team. Per far sì che la D&I contribuisca davvero agli obiettivi aziendali, deve essere parte integrante della strategia, declinata in tutte le sue sfaccettature, dalla parità di genere all’integrazione etnica e intergenerazionale. Fondamentale è capire cosa ci si guadagna dall’essere più inclusivi, in che modo e perché la D&I porterà a performare meglio: se non se ne comprendono i vantaggi, prima o poi si perdono di vista gli obiettivi e l’importanza di raggiungerli. E, ricordiamolo, la Diversity & Inclusion non è solo una questione etica, ma una leva strategica per il successo delle startup. Abbracciare la D&I fin dall’inizio può fare la differenza, non solo in termini di performance e attrattività per i talenti, ma anche per ottenere finanziamenti e crescere in un mercato sempre più globalizzato e attento alla sostenibilità sociale. Noi come WINclusion supportiamo i nostri partner proprio in questo: offriamo consulenza, organizzativa e di processo, con un approccio data driven per orientare la trasformazione verso un ambiente realmente inclusivo».