Nata come spin-off del CNR, RoseBio intende rivoluzionare la diagnostica di precisione con una tecnologia innovativa di sequenziamento mirato del DNA. A differenza del Next Generation Sequencing (NGS), il suo approccio non rileva mutazioni sconosciute ma si concentra esclusivamente su quelle già note e clinicamente rilevanti, strettamente correlate a farmaci specifici, secondo i protocolli di medicina di precisione.
Questo permette di offrire un test diagnostico ad alta sensibilità con un costo contenuto di circa 100 euro, rendendolo più accessibile e facilmente integrabile nelle strutture ospedaliere esistenti. Abbiamo intervistato Marcella Chiari, CEO dello spin-off RoseBio.
Può raccontarci come è nata l’idea di RoseBio e quale è stato il ruolo del CNR in questo percorso?
«L’idea di RoseBio è nata durante il mio lavoro al CNR, dove ero dirigente di ricerca in un gruppo multidisciplinare che si occupava di chimica per la salute. Ci focalizzavamo su metodiche analitiche in microscala, come l’elettroforesi capillare e i microarray, sviluppando anche polimeri innovativi per funzionalizzare superfici e legare molecole biologicamente attive. Questo approccio applicativo ci ha portati a brevettare una tecnologia promettente e, nel tempo, abbiamo maturato l’idea di fondare uno spin-off per portarla sul mercato. Il CNR non partecipa al capitale dello spin-off, ma ne ha favorito la nascita dopo un rigoroso processo di valutazione che ha incluso la presentazione di un business plan dettagliato. L’essere uno spin-off del CNR ci consente, attraverso un’opportuna convenzione, di svolgere la nostra attività presso i laboratori dove la tecnologia è stata concepita e di collaborare con personale del CNR che può dedicare il 30% del proprio tempo allo spin-off, promuovendo così l’innovazione».
Quali sono state le difficoltà iniziali e come avete finanziato il progetto?
«Il processo è stato lungo e complesso, sia per il tempo richiesto dalla burocrazia sia per la gestione parallela delle attività di ricerca. Abbiamo iniziato con un piccolo capitale personale, affiancato da un dottorato industriale finanziato in parte dal PNRR. Questo ci ha permesso di partire, attrarre talenti e costruire un gruppo motivato, nonostante molti collaboratori lavorino ancora in forma volontaria. Tuttavia, siamo alla ricerca di seed capital: il nostro business plan prevede un fabbisogno di 2,5 milioni di euro entro il quarto anno e ulteriori 5 milioni successivamente, per raggiungere la certificazione IVD e sviluppare un’adeguata rete di stakeholder».
Quali sono le caratteristiche principali della vostra tecnologia e le sue applicazioni?
«La nostra piattaforma si basa sulla tecnologia microarray per l’analisi del DNA e si distingue per la sua capacità di identificare mutazioni note con grande sensibilità fino allo 0,1%. Estraiamo e amplifichiamo il DNA circolante, con un metodo non invasivo partendo da un campione di plasma, ad esempio, per poi analizzarlo utilizzando sonde complementari che interagiscono con le mutazioni d’interesse. Questa metodologia è rapida (è necessaria solo una mezza giornata di lavoro), economica (target price di circa 100 euro a test) e compatibile con attrezzature già presenti negli ospedali.
Abbiamo sviluppato pannelli diagnostici focalizzati su mutazioni che hanno già una corrispondenza con farmaci approvati per la medicina di precisione. La tecnologia è stata inizialmente applicata ai tumori colorettali, ma è estendibile ad altre patologie oncologiche, come il melanoma e il tumore al polmone, e a malattie infettive o farmacogenomica, e altri settori di medicina di precisione».
Come si colloca la vostra tecnologia rispetto al Next Generation Sequencing (NGS)?
«L’NGS è una tecnologia eccellente per la ricerca, ma costosa e non sempre adatta a una diffusione capillare. Il nostro obiettivo è democratizzare la diagnostica molecolare, rendendo disponibili analisi avanzate e accelerando i tempi di risposta, anche in ospedali più piccoli, grazie a costi contenuti e semplicità d’uso. Non possiamo rilevare mutazioni sconosciute come l’NGS, ma la nostra tecnologia è sufficiente per rispondere ai bisogni della diagnostica di precisione, dove è necessario verificare mutazioni riconosciute come azionabili, in modo rapido e accessibile.
In particolare, ci concentriamo su mutazioni che hanno una corrispondenza con farmaci specifici, prescritti nei protocolli di medicina di precisione. Ad esempio, ci sono farmaci per il tumore al colon che vengono somministrati solo in assenza di determinate mutazioni. Questo rende la diagnostica un passaggio cruciale per garantire il successo terapeutico e diminuire gli effetti avversi».
Quali passi avete intrapreso per sviluppare il progetto e ampliare il vostro network?
«Abbiamo partecipato a numerose iniziative per il supporto all’imprenditoria, come il programma Life di Emblema, che promuove le imprese femminili, e competizioni come la StartCup Lombardia e la Borsa della Ricerca a Catania, dove abbiamo vinto un premio. Questi eventi ci hanno permesso di incontrare imprenditori, responsabili di acceleratori e altri stakeholder strategici.
In Italia il contesto è meno favorevole rispetto ad altri paesi, ma ci stiamo espandendo anche all’estero. Stiamo valutando di partecipare al programma SkyDeck di Berkeley, che rappresenta un’opportunità interessante per crescere e connetterci a un ecosistema internazionale».
Come è composto il team di RoseBio?
«Il nostro team è composto da persone altamente qualificate e motivate. Attualmente, abbiamo attratto talenti provenienti sia dal CNR che da altre realtà, molti dei quali come ho detto collaborano in forma volontaria, condividendo l’entusiasmo per il progetto. Tra di noi, c’è una figura cresciuta all’interno del CNR, Francesco Damin, che ha realizzato gran parte degli esperimenti fondamentali per lo sviluppo della tecnologia.
Quale responsabile della strategia del prodotto e dell’innovazione abbiamo Natasa Zarovni, che ha maturato una esperienza e una reputazione importante da esperto nell’ambito dello sviluppo di biopsie liquide e tecnologie abilitanti correlate. Un altro membro chiave è Alessandra Fischetti, che proviene dal mondo dei microarray e dei lab-on-chip, e ha competenze industriali specifiche per l’industrializzazione dei kit diagnostici.
Silvia Galbiati, ricercatrice presso il San Raffaele, ha contribuito alla concezione iniziale del progetto e del prototipo, e continua a collaborare con noi nell’ulteriore sviluppo e validazione. Abbiamo anche una partnership con la società Day One di Roma, che ci supporta nel trasferimento tecnologico e nel fundraising, aiutandoci a individuare potenziali investitori e opportunità di mercato. Infine, stiamo incorporando diverse collaborazioni che arricchiscono la nostra piattaforma con le componenti complementari, come la preanalitica e il computing/AI».
Quali sono i prossimi obiettivi per RoseBio?
«Continuiamo a lavorare su due fronti: lo sviluppo della tecnologia in laboratorio e il networking con medici, responsabili di politiche sanitarie e diversi altri stakeholder coinvolti nella ottimizzazione e nell’implementazione di innovazione nel settore healthcare. Collaboriamo con strutture come l’Istituto Nazionale dei Tumori e il San Raffaele di Milano. Il nostro obiettivo è trasformare la tecnologia in un prodotto certificato per la diagnostica umana, posizionandolo strategicamente sul mercato.
Siamo consapevoli delle sfide, ma crediamo fermamente nel nostro progetto e nella possibilità di fare la differenza nel campo della diagnostica molecolare, rendendola accessibile e di alta precisione».