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Startup e aziende: un’alleanza fondamentale per innovare nelle Life Science

Perché ne stiamo parlando
“Nessuna azienda può innovare efficacemente da sola”, teorizzava l’economista americano Henry Chesbrough nel 2003. L’open innovation, il paradigma di innovazione che invita le imprese ad aprirsi alle idee esterne di startup, università o centri di ricerca, funziona particolarmente bene nel campo delle scienze della vita.

Startup e aziende: un'alleanza fondamentale per innovare nelle Life Science
Alessandra Luksch, Direttrice, Osservatorio Startup Thinking, Politecnico di Milano

«L’open innovation fa bene alle Life Science». Ne è convinta Alessandra Luksch, Direttrice dell’Osservatorio Startup Thinking della School of Management del Politecnico di Milano, che si occupa di seguire i processi di adozione dell’open innovation nelle imprese, e avvicinare queste ultime all’ecosistema startup. «È un paradigma vincente nei processi di innovazione delle aziende che operano nel settore delle scienze della vita, caratterizzato da tempi lunghi e dalla necessità di impiegare molte risorse: basti solo pensare alla durata dei trial preclinici e alle tante normative a cui le imprese devono attenersi. L’innovazione che arriva dall’esterno, da startup che hanno già lavorato a un prodotto o servizio che può essere incorporato nel modello di business di un’azienda, consente di essere più veloci e flessibili».

BioNtech e Moderna: due casi scuola

Il concetto di open innovation è stato elaborato dall’economista statunitense Henry Chesbrough nel 2003. “Nessuna azienda, non importa quanto capace o quanto grande, può innovare efficacemente da sola”, teorizzava nel suo libro Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology (Harvard University Press). «Due i casi che hanno fatto scuola in questi ultimi anni, entrambi legati ai vaccini anti Covid-19» continua Luksch. «BioNtech era solo una startup tedesca quando nel 2020 scoppia la pandemia. Oltre alla tecnologia innovativa per realizzare il vaccino (l’mRNA contenuto nel vaccino fornisce alle cellule le istruzioni per produrre la proteina spike, presente sulla superficie del virus, ndr), la sua mossa vincente è stata quella di allearsi con il colosso biofarmaceutico Pfizer, per la commercializzazione e la distribuzione di miliardi di dosi». E anche Moderna, nata a Cambridge (Massachusetts) nel 2010 con l’idea che il corpo umano potesse produrre i farmaci di cui aveva bisogno, pur essendosi quotata al Nasdaq nel 2018, aveva mantenuto una cultura da startup. Ha potuto sviluppare il vaccino grazie alla collaborazione con le istituzioni americane: circa due miliardi e mezzo di dollari pubblici sono finiti nelle sue casse per sostenere la ricerca.

L’open innovation permette di reagire a contesti mutevoli e avversi

«La risposta dell’open innovation è proprio questa» commenta Luksch. «Permette di reagire con efficacia a contesti mutevoli e avversi. Ecco perché dal 2020 al 2024, anni in cui le imprese si sono trovate davanti a scenari non del tutto prevedibili, il ricorso a questo tipo di paradigma innovativo è cresciuto». Se nel 2018 in Italia solo un’impresa su tre (il 33%) aveva avviato collaborazioni con startup, nel 2023 è stata una su due (il 58%). Si tratta di imprese di grandi dimensioni, ma anche le PMI si stanno cominciando a muovere: il 48% ha dichiarato di aver fatto “azioni” di open innovation (dati Osservatorio Startup Thinking).

Come facilitare l‘incontro tra imprese e startup

Tanti sono i modi per promuovere questa “alleanza” tra imprese e startup. «Il Gruppo Zambon nel 2003 ha dato vita a Zcube, un incubatore che supporta le startup che si concentrano sullo sviluppo di terapie innovative» continua Luksch (ne abbiamo parlato qui: https://www.innlifes.com/stakeholder/zcube-zambon-open-accelerator/). Angelini Pharma ha lanciato nel 2022 Angelini Ventures, un fondo di venture capital che investe in startup della digital health e del biotech. In dotazione, 300 milioni di euro. «Fa scouting e le finanzia in equity» aggiunge la direttrice dell’Osservatorio. «Questo consente di avere un canale alternativo di sviluppo dell’innovazione, per sperimentare sia in ambiti vicini al loro core business sia in campi limitrofi». In generale, le startup che seguono i criteri ESG (ambientale, sociale e di governo societario) ottengono maggior attenzione da parte non solo degli investitori ma anche di clienti e altri stakeholder. «È un aspetto che stiamo monitorando» conclude Luksch.

Human Technopole aggrega laboratori, centri di ricerca e aziende

Non solo startup ma anche centri di ricerca e università. Human Technopole, il più grande centro italiano di scienze della vita, creato dal Governo italiano nel 2018, con sede a Milano nell’ex Palazzo Italia di Expo, aggrega laboratori, centri di ricerca e aziende. A regime conterrà più di mille ricercatori. Si trova nella zona che oggi prende il nome di MIND (Milano Innovation District), un’area di un milione di metri quadrati dedicati a scienza e innovazione. Nel corso di quest’anno lancerà le “Piattaforme Nazionali”, aperte alla comunità scientifica nazionale nei campi della genomica, editing genomico, biologia strutturale, microscopia ottica e gestione e analisi dei dati.

Keypoints

  • “Nessuna azienda può innovare efficacemente da sola”: lo teorizzava nel 2003 l’economista americano Henry Chesbrough, che introduceva per la prima volta al mondo il concetto di open innovation
  • L’Osservatorio Startup Thinking della School of Management del Politecnico di Milano si occupa di seguire i processi di adozione dell’open innovation nelle imprese
  • L’open innovation funziona a maggior ragione in contesti mutevoli e incerti, ed è particolarmente adatta al settore delle Life Science
  • In Italia aziende come il Gruppo Zambon e Angelini Pharma hanno avviato iniziative per canalizzare innovazione al loro interno
  • Human Tecnopole, all’interno di MIND, è un esempio eccellente di open innovation: si fonda sulla collaborazione tra laboratori, centri di ricerca e imprese

 

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